La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 ottobre 2015

Vizi poetici, pubbliche virtù. Un ricordo per Ingrao

di Fausto Curi
Un giorno Luciano Anceschi, mio maestro all’Università di Bologna, mi disse: “Dobbiamo presentare un libro di poesie di Pietro Ingrao. Vorrei ci fossi anche tu. Lui sarà presente e parteciperà alla discussione”. Fui doppiamente sorpreso: non sapevo che Ingrao scrivesse poesie e sapevo bene, invece, che Anceschi, lucido storico di poesia e di poetiche del Novecento, non era solito partecipare a discussioni pubbliche. La mia sorpresa venne meno quando, poco dopo, venni a sapere che la manifestazione con Ingrao era nata per iniziativa del mio condiscepolo Nanni Scolari, indimenticabile e indimenticato. Scolari era militante del Partito comunista italiano e era ammiratore di Ingrao. Evidentemente pensava fosse suo dovere adoperarsi per far conoscere l’aspetto meno noto del grande dirigente politico. Non so come, era riuscito a persuadere Anceschi. Sono sempre stato diffidente dei poeti non professionali, quindi da principio rifiutai di partecipare alla presentazione. Anceschi però insisteva, quindi finii per accettare. Ho alcuni ricordi chiari, altri piuttosto confusi. Ricordo bene che alla presentazione, che si svolse a Reggio Emilia, città di Scolari, partecipavano Ingrao, Anceschi, Scolari, e io. Non ricordo invece chi fosse, o chi fossero, gli altri partecipanti. La sala era gremita di pubblico, per lo più militanti. Da comunista senza tessera, quale ero, provavo una forte simpatia per Ingrao, ma quando lessi il suo libro di poesia, fornitomi da Scolari, rimasi deluso. Il linguaggio, non lontano da quello degli ermetici, alla cui generazione Ingrao apparteneva, era certamente dignitoso, ma era privo di precisione. La passione, saggiamente controllata, si affidava a parole spesso sprovviste di nettezza e di pertinenza. Anceschi e gli altri partecipanti espressero giudizi molto positivi.
Quando fu la mia volta, fui rispettosamente freddo nella mia analisi. Abbastanza sorprendente il comportamento di Ingrao. Prendendo la parola al termine dei vari interventi ringraziò tutti e rispose in modo abbastanza particolareggiato ai rilievi compiuti da ciascuno dei partecipanti. Tacque del mio intervento. Né ci fu modo di parlarsi al di fuori della manifestazione, come avrei voluto, perché gli impegni politici obbligarono Ingrao a congedarsi rapidamente. Anceschi non mi disse niente. Ma io capivo che non era contento.
Ho rivisto Ingrao poco tempo dopo. Era diventato Presidente della Camera e si muoveva senza scorta, se si esclude una persona, non so se un segretario o un carabiniere in borghese che lo accompagnava sempre. I sindaci e i prefetti delle varie località in cui andava erano disperati. Erano gli anni delle Brigate rosse e benché Ingrao fosse benvoluto a sinistra anche fuori del Partito, non si poteva essere assolutamente tranquilli. Eravamo in un albergo della Toscana fornito di piscina termale. Ingrao vi giunse, fece un bagno, pranzò e ripartì subito, prima che i carabinieri della vicina stazione, chiamati non so da chi, facessero in tempo a raggiungerlo. Immersi nell’acqua della piscina, a pochi metri da lui, mia moglie Silvia e io lo guardavamo insistentemente mentre godeva del benefico calore dell’acqua. Intanto chiacchieravamo. Si accorse che parlavamo di lui e a un certo punto ci chiese cosa stessimo dicendo. “Presidente, dicevamo che, grazie alla Sua presenza, il pranzo oggi sarà migliore”. “Vedo che avete molta fiducia nelle Istituzioni” rispose ridendo.
Effettivamente il pranzo, di solito ottimo, fu squisito.
Ingrao non è stato un poeta memorabile ma ha portato nella politica italiana, che ne è sempre stata sprovvista, alcune qualità che sono proprie di un bravo scrittore: massima libertà intellettuale, lucida intelligenza critica, capacità di analisi, capacità di dubitare. Non sempre queste qualità gli hanno giovato e gli hanno evitato errori e sconfitte. Ma erano capacità, non difetti.

Fonte: Scenari Mimesis

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