La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 2 ottobre 2015

Università, serve un miliardo per ripartire

Intervista a Gaetano Manfredi di Donatella Coccoli
«Serve almeno un miliardo di euro per garantire il diritto allo studio e per assumere giovani ricercatori. Altrimenti l’università italiana muore». È il professor Gaetano Manfredi, rettore dell’Università Federico II da poco eletto alla presidenza della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) a lanciare l’ennesimo appello per salvare la formazione universitaria in crisi. Ingegnere, 51 anni, Manfredi propone anche soluzioni per la formazione tecnica superiore, un modo per agganciare gli studenti degli istituti tecnici e professionali.
Professor Manfredi quali sono le maggiori storture nel sistema universitario italiano?
"Il primo punto è il numero molto basso dei giovani che si iscrivono all’università. Purtroppo è un dato molto sconfortante se confrontiamo l’Italia con altri Paesi industriali."
Siamo all’ultimo posto in Europa anche per numero di laureati.
"Si e agli ultimi posti anche per iscritti. Tutto questo è preoccupante perché significa che siamo un Paese che non fa un investimento sul capitale umano."
Quali sono le soluzioni?
"Sicuramente si tratta di incidere sul diritto allo studio: noi abbiamo un sistema troppo frammentato e diseguale a livello nazionale. E nelle regioni con più sofferenza sociale ci sono meno risorse, il che è un vero paradosso. Bisogna quindi garantire la borsa di studio a tutti gli aventi diritto. È assurdo che ci siano gli idonei senza avere la borsa. Oltre al diritto allo studio c’è poi un altro tema che mi sta particolarmente a cuore."
Quale?
"Parto dalla mia esperienza di una università come quella di Napoli che si trova in una grande area metropolitana e in una regione con 6 milioni di abitanti. Per evitare i fallimenti, soprattutto al primo anno, bisognerebbe intervenire su alcuni aspetti che riguardano la filiera che va dalla scuola superiore all’università. Perché c’è sempre più distanza tra le abilità con cui i ragazzi escono dalle scuola di secondo grado e la domanda dell’università. Occorre quindi un orientamento attivo nell’ultimo anno delle superiori, in modo da cercare di colmare questo gap, soprattutto là dove i sistemi scolastici sono più deboli."
L’università deve intervenire nelle scuole superiori?
"Finora abbiamo considerato la formazione per compartimenti stagni: l’università, o ha guardato poco o non ha guardato affatto alla scuola, e quest’ultima, da parte sua, ha fatto altrettanto nei confronti dell’università. Bisogna mettersi attorno a un tavolo e cercar di lavorare insieme perché è lo studente a dover essere al centro di ogni progetto formativo."
Esiste poi un altro divario, perché tra gli iscritti all’università si registra sempre di più un calo degli studenti dei tecnici e dei professionali.
"È una gravissima perdita. Noi dobbiamo dare una risposta sull’offerta dell’università, magari guardando anche agli esempi delle scuole tecniche tedesche. Oggi abbiamo un po’ saturato l’idea di università tradizionale, orientata verso profili cosiddetti teorici. Dobbiamo puntare anche a profili un po’ più professionalizzanti che si potrebbero mettere meglio in relazione con gli istituti tecnico-professionali."
Lei si riferisce ai settori tecnologici?
"Mi riferisco anche alle aree umanistiche: si tratta di pensare lauree triennali che siano più vicine ad una applicazione pratica. Ci sono tanti giovani che vogliono crescere anche con una formazione di questo tipo."
Veniamo alla ripartizione delle risorse. Cosa pensa del divario esistente tra atenei del Nord e quelli del Sud? Il suo, è tra gli ultimi quanto a ricambio del turnover.
"Prima di tutto occorre aumentare il finanziamento alle università. Oggi c’è chi ha meno e chi di più ma il problema è che l’università è il settore della pubblica amministrazione più tagliato, quello dove il blocco dl turnover è stato più severo. Se non si aumenta il finanziamento, non ce n’è per nessuno, né per quelli competitivi né per quelli in difficoltà. Ora, se per la qualità della formazione universitaria non possiamo fare deroghe perché non possiamo ammettere che esistano università a due velocità, nella ripartizione delle risorse non si deve tener conto del valore assoluto ma dei miglioramenti relativi di quegli atenei che partono in condizioni di maggior svantaggio. In questo modo si potrebbe aiutare realtà che hanno ereditato un passato molto difficile e che ora stanno facendo sforzi per cambiare."

Fonte: Left.it

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