La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 3 ottobre 2015

La guerra civile americana

di Guido Moltedo
L’Oregon, tra la Cali­for­nia e lo stato di Washing­ton, fa pen­sare alle fore­ste che lam­bi­scono il Paci­fico, al verde sereno di grandi spazi incon­ta­mi­nati pun­teg­giati da comu­nità tol­le­ranti e pro­gres­si­ste. Niente di più lon­tano dal far west che gio­vedì si è sca­te­nato nelle aule dell’Umpqua Com­mu­nity Col­lege di Rose­burg. Ma la guerra civile ame­ri­cana non cono­sce con­fini, si com­batte anche nei cam­pus, anche in quelli come l’Umpqua Com­mu­nity, che è gun free zone, un’area dove sono vie­tate pure le pistole ad acqua.
Guerra civile? Come altro defi­nire l’interminabile, quo­ti­diano, con­flitto che si com­batte dap­per­tutto, all’interno degli Usa? Chi ricorda le cen­ti­naia di migliaia di morti — solo per par­lare degli ultimi due decenni — morti inno­centi pro­prio come i nove stu­denti di Roseburg?
C’è un monu­mento per com­me­mo­rare i caduti del Viet­nam, a Washing­ton, ma non sono anch’essi caduti, come in guerra, i die­ci­mila cit­ta­dini ame­ri­cani uccisi da un pro­iet­tile, da un’arma da fuoco? In una spa­ra­to­ria, in una strage? Die­ci­mila morti nel corso dei mesi di quest’anno.
Oltre quat­tro­mila nei quat­tro mesi dal discorso pro­nun­ciato da Barack Obama dopo l’uccisione di nove fedeli in pre­ghiera in una chiesa africano-americana di Charleston.
Già, quel discorso, molto bello, poteva rap­pre­sen­tare un primo forte argine al feno­meno delle armi, anche armi da guerra, che puoi por­tare dap­per­tutto, e che ucci­dono – quando c’è una sola vit­tima o due non fa nep­pure noti­zia – e che fanno massacri.
«Siamo l’unico paese moderno al mondo che vede que­sto tipo di spa­ra­to­rie quasi ogni mese. Sono diven­tate una rou­tine», ha detto due giorni fa, a caldo, Obama.
E l’editoriale del sito pro­gres­si­sta www​.blue​na​tion​re​view​.com arriva all’amara con­clu­sione, dopo Rose­burg, che «noi, come nazione, abbiamo deciso che le spa­ra­to­rie di massa, per quanto tri­sti pos­sano essere, sono parte dell’American life».
Sì, è un feno­meno che rischia, se non lo è già, di essere bana­liz­zato. Come i morti sulle strade. In fondo, le cifre annuali sono pres­so­ché iden­ti­che in Ame­rica. Quasi fos­sero, l’uccisione del vicino, la strage in una scuola ele­men­tare, in un col­lege – alla stre­gua degli inci­denti stra­dali — tri­buti da pagare alla società del benessere (!?).
Ma la guerra civile ame­ri­cana si com­batte anche sui ter­reni della poli­tica e della cul­tura.
Obama, dopo un ini­zio rilut­tante, nel primo man­dato, ha preso di petto la Natio­nal Rifle Asso­cia­tion (Nra), la lobby dei pos­ses­sori di armi da fuoco, con­si­de­rata il gruppo di inte­ressi e di pres­sione più potente, più ricco e meglio orga­niz­zato a Washing­ton e nelle capi­tali degli stati, un modello per le altre lobby. E il suo tono, le sue parole, sono state par­ti­co­lar­mente dure, dopo la noti­zia di Roseburg.
D’altra parte, il suo, era il quin­di­ce­simo discorso seguito a un mas­sa­cro. Un discorso poli­tico, di fronte all’ultimo di una catena di eventi che è frutto di una scelta poli­tica, ha scan­dito il pre­si­dente, quella di non far nulla per­ché acca­dano e si ripetano.
Attac­care la Nra è, di fatto, attac­care un pezzo di quello che il pre­si­dente Dwight Eise­n­ho­wer definì il com­plesso militare-industriale, defi­ni­zione appro­priata per met­tere in guar­dia la nazione, uscita dalla guerra, dall’eccesso di potere acqui­sito dall’industria bel­lica e dall’apparato mili­tare. La pro­du­zione, il com­mer­cio, la dif­fu­sione delle armi da fuoco – la Nra, dun­que – non sono forse parte di quel mondo lì, che gioca e fa pro­fitti con la morte?
Rara­mente, dif­fi­cil­mente, un poli­tico osa cri­ti­care la Nra e il grumo d’interessi che rap­pre­senta. Per dire, Jeb Bush, che è l’ala mode­rata dei repub­bli­cani, in un tweet per com­men­tare Rose­burg, si è guar­dato bene dal solo scri­vere o appena pro­nun­ciare la parola gun, come se i nove gio­vani fos­sero morti chissà per­ché, chissà come.
Ma c’è anche un dogma/tabù, che la spa­ra­to­ria di Rose­burg col­pi­sce, quello costruito dalla «nar­ra­zione» domi­nante dopo l’11 set­tem­bre, secondo cui l’unica vera grande minac­cia alla natio­nal secu­rity ame­ri­cana e all’American way of life pro­viene dal ter­ro­ri­smo, isla­mico, ovvia­mente.
Il nemico esterno. Finora imma­gi­na­rio o imma­gi­nato. E intanto, il nemico vero, quello interno, non solo non era e non è fron­teg­giato ma era ed è tute­lato e coccolato.
«Siamo l’unica nazione al mondo — ha detto il pre­si­dente demo­cra­tico– che non ha leggi ragio­ne­voli sulle armi. Sono stati uccisi più ame­ri­cani in que­ste spa­ra­to­rie che negli attac­chi ter­ro­ri­stici». E poi: «Spen­diamo oltre un tri­lione di dol­lari e appro­viamo innu­me­re­voli leggi, e dedi­chiamo intere agen­zie alla pre­ven­zione di attac­chi ter­ro­ri­stici sul nostro suolo, e fac­ciamo bene. Eppure, abbiamo un Con­gresso che espli­ci­ta­mente ci impe­di­sce per­fino di rac­co­gliere dati su come poter poten­zial­mente ridurre le morti da armi da fuoco. Com’è possibile?».
Obama ha con­fes­sato la sua ama­rezza e la sua impo­tenza: da solo non posso affron­tare una sfida così. Eppure s’impegnerà su que­sto fronte, sapendo che non dovrà essere rie­letto e che dun­que potrà sfi­dare la lobby delle armi come non ha voluto o non ha potuto fare nel primo man­dato. C’è da aspet­tar­selo, anche se, egli stesso ha detto, si deve muo­vere soprat­tutto il Con­gresso. Un Con­gresso domi­nato dal Par­tito repub­bli­cano, nel quale è ege­mone la destra oltran­zi­sta. È chiaro che farà di tutto, come ha fatto finora, per bloc­care la sia pur minima misura restrit­tiva, a livello fede­rale, nell’acquisto e nel pos­sesso delle armi.
Se alla mag­gio­ranza repub­bli­cana al senato e alla camera si aggiun­gerà, nel novem­bre 2016, un pre­si­dente dello stesso par­tito, la lita­nia delle stragi con­ti­nuerà nella totale indif­fe­renza.
Tutti i can­di­dati del Grand Old Party sono lau­ta­mente finan­ziati dalla Nra e dai gruppi a essa legati. Addi­rit­tura il benia­mino del tea party, Ted Cruz, ha avviato la sua cam­pa­gna per la nomi­na­tion repub­bli­cana con un video nel quale si fa ritrarre men­tre spara un paio di cari­ca­tori con un fucile d’assalto.
Intorno alla canna del fucile ha avvolto fette di bacon, poi rico­perte con sta­gnola, che dopo la spa­ra­to­ria sono cotte e croc­canti. Ecco come cuo­ciamo noi il bacon in Texas, ride dopo la sua bra­vata, con una fac­cia cre­tina e cat­tiva. Capito? Capito che tipi sono in corsa per la Casa Bianca? E potreb­bero per­fino conquistarla?

Fonte: il manifesto 

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