La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 23 agosto 2015

Crisi del sindacato? E’ il riflesso di un’Italia bloccata

di Roberto Romano
Qual­cosa non fun­ziona in que­sto Paese. All’inizio gior­na­li­sti ed eco­no­mi­sti di buon senso illu­strano la cre­scita eco­no­mica o il cam­bio di dire­zione, poi il governo regi­stra la ridu­zione della cassa inte­gra­zione e l’associa alle pro­prie poli­ti­che, alla fine arriva il gior­nale di governo che sot­to­li­nea la dimi­nu­zione delle iscri­zioni al sin­da­cato, ovvia­mente Cgil, il tutto con­dito da sod­di­sfa­zione smo­data senza uti­liz­zare nem­meno il politichese.
La rispo­sta è stata imme­diata, ma qual­cosa sfugge dalla discus­sione estiva o post-estiva. Non si tratta della disat­ten­zione verso Con­fin­du­stria, che se la passa male non meno dei sin­da­cati, piut­to­sto dal gioco gio­cato dagli attori inte­res­sati. Inol­tre, la crisi dei sog­getti inter­medi è pro­por­zio­nale alla crisi della classe diri­gente del Paese: il governo non governa e gioca al gam­bero dise­gnando un futuro pros­simo tutto da costruire. Alla fine tutto è teso a pun­tel­lare un recinto che dovrebbe essere inte­ra­mente cambiato.
Usando un titolo di uno dei migliori con­gressi della Cgil, occorre ripro­get­tare il Paese. Pos­si­bile che nes­suno si renda conto che la crisi di sin­da­cato, Con­fin­du­stria e isti­tu­zioni (governo) sono lo spec­chio fedele della “depres­sione” eco­no­mica e sociale del Paese? Pos­si­bile che nes­suno veda come e quanto il paese si è allon­ta­nato dall’Europa reale, che pure non è messa bene? Qual­cuno gioca con il fuoco. Occorre un pro­getto per riscat­tare il paese. Più che la pun­tua­liz­za­zione delle tes­sere rin­no­vate o meno, sarebbe stato il caso di ri-consegnare al paese il libro bianco per il lavoro e l’aggiornamento che sarà pre­sen­tato il primo set­tem­bre. Il Paese merita un progetto.
L’Italia è un paese depresso in ter­mini asso­luti e rela­tivi. Si ridu­cono le tes­sere del sin­da­cato e le iscri­zioni a Con­fin­du­stria? Siamo pro­prio sicuri che sia un buon segnale? Quando un paese pre­ci­pita e con­ti­nua a sca­vare per cadere sem­pre più in basso, nes­suno può sal­varsi. L’Italia è un Paese deva­stato dalla crisi eco­no­mica. Se un paese cre­sce di un terzo rispetto alla media euro­pea dal 1996 al 2014, cumu­lando una minore cre­scita di 220 miliardi di euro, la società e le per­sone cam­biano. Pote­vamo aspet­tarci qual­cosa di meglio, ma la pau­pe­riz­za­zione di “senso” è colpa della classe diri­gente e di governo che ha dipinto un paese diverso da quello che in molti, non ascol­tati, descrivevano.
L’Italia non è un paese euro­peo da qual­che tempo. Non tanto per la così detta finanza pub­blica. Qui il lavoro è andato ben oltre i vin­coli di Maa­stri­cht. Il vin­colo del Paese è pro­prio nella sua strut­tura eco­no­mica. Nono­stante tutto, in molti si affan­nano a lisciare il pelo al genio del made in Italy e a usarlo come modello. Il Paese è cre­sciuto meno dell’Europa, con valori nega­tivi dall’inizio della crisi — ben oltre il 10% — non per la buro­cra­zia, la rigi­dità del lavoro, le tasse troppo alte, i par­titi e da ultimo i sin­da­cati. L’Italia non ha un’industria attrez­zata per affron­tare la crisi eco­no­mica e gli inve­sti­menti delle stesse, in ragione della spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva, diven­tano mera impor­ta­zione di cono­scenza da altri Paesi e quindi lavoro buono per altri paesi. Per dirla con una bat­tuta, nem­meno con gli schiavi gran parte delle imprese ita­liane sarebbe competitiva.
Qual­cuno deve denun­ciare che il pro­blema dell’Italia non sono gli inve­sti­menti man­cati delle imprese. La solita e facile bat­tuta di opi­nio­ni­sti: non cre­sciamo per­ché le imprese non inve­stono. Se guar­diamo al rap­porto investimenti-Pil, l’Italia ha inve­stito quanto e come le imprese tede­sche. Altro che non inve­stiamo. Il dramma dell’industria ita­liana e per il lavoro buono, penso a tutti gli stu­denti che pre­pa­riamo per affron­tare il mondo di domani, è l’incapacità di pro­durre i beni capi­tali (inve­sti­menti) oppure di adat­tare la tec­no­lo­gia di altri paesi. In sostanza l’Italia inve­ste risorse finan­zia­rie nel futuro, ma non pro­du­cendo niente di quello che serve per il futuro, diven­tiamo sem­pre più poveri. In que­ste con­di­zioni la crisi di sin­da­cato e Con­fin­du­stria è lo spec­chio della crisi di strut­tura. Sarebbe il caso di inda­gare la natura dei pro­blemi, non basta denun­ciarli. For­tu­na­ta­mente la Cgil pre­sen­terà un bel lavoro sul tema svi­luppo, cre­scita e demo­cra­zia rea­liz­zato dal suo Forum degli eco­no­mi­sti, gui­dato da D. Bardi, R. Sanna e L. Pennacchi.
Spesso leg­giamo i dati della cre­scita del Pil come deci­sivi. Vero, ma la spie­ga­zione è indi­scu­ti­bil­mente più inte­res­sante. Con­fin­du­stria, sin­da­cati e paese in crisi, con oltre 7 milioni di per­sone che non cer­cano più lavoro? Alcuni appunti su tes­sere e tasse, inve­sti­menti, sono real­mente insop­por­ta­bili. Il paese ha perso il 20% della base pro­dut­tiva dal 2009 al 2014. Se il governo con­ti­nua a gio­care al circo, tra non molto potrebbe anche vin­cere la sua bat­ta­glia di gover­nare il paese senza corpi inter­medi, sem­pli­ce­mente per­ché non ci sarebbe più niente da intermediare.
Guar­dando al valore aggiunto al costo dei fat­tori di alcuni paesi euro­pei e divisi per Bassa, media-bassa, media-alta e alta tec­no­lo­gia, l’Italia è sem­pre lon­ta­nis­sima anni luce dalla media euro­pea e solo nei set­tori a bassa tec­no­lo­gia la distanza diventa esat­ta­mente la metà di quella tedesca.
La crisi è di tutti. Nes­suno si sal­verà senza ripro­get­tare il paese. Non ci sono con­fe­renze o tasse ridotte o meno che pos­sono creare le con­di­zioni libe­rali di un sano sistema eco­no­mico.
Non ho idea di cosa potrebbe essere la sini­stra o il sin­da­cato, ma la sini­stra e il sin­da­cato potreb­bero diven­tare sto­ria se non si get­tano le basi del “capi­tale”. La crisi che attra­versa l’Italia è pro­prio una crisi di capi­tale. Il governo dovrebbe essere inte­res­sato. Pec­cato che al netto di qual­che amico non si intra­veda classe dirigente.

Fonte: il manifesto

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