La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 agosto 2015

Il contagio colpisce l'Europa



di Rachele Gonnelli
C’è dif­fe­renza tra una “nor­male” gior­nata dif­fi­cile in Borsa e un crollo mon­diale, «un lunedì nero», «una tem­pe­sta per­fetta» o le altre locu­zioni dram­ma­tiz­zanti usate per descri­vere il botto pla­ne­ta­rio che si è veri­fi­cato ieri sui mer­cati finan­ziari a seguire il corso del sole. Il tuffo al cuore dei tra­der è arri­vato all’apertura delle con­trat­ta­zioni sulla prin­ci­pale piazza cinese, Shan­ghai, che ha aperto i bat­tenti per­dendo tra il 3 e il 4%. Quando anche la barra di oscil­la­zione obbli­ga­tro­ria del 10% non ha fun­zio­nato, è stato chiaro che il para­ca­dute sta­tale non si era aperto: caduta libera. Ed è suben­trato il panico.
Dopo una fer­mata per eccesso di ribasso, l’indice-guida, il Shan­ghai Com­po­site Index, ha chiuso a 3.209,91 punti, in calo dell’8,49%, bru­ciando in un colpo solo i gua­da­gni dell’intero anno. Un tonfo del genere non si vedeva dal 27 feb­braio del 2007, all’inizio della grave crisi finan­zia­ria che i governi di tutto il mondo spe­ra­vano di essersi appena lasciati alle spalle.

Da Shan­ghai l’ondata ribas­si­sta si è pro­pa­gata, veloce e ine­so­ra­bile, alla più pic­cola Shen­zen (in per­dita di oltre il 7,7% e con il Chi­next, l’indice delle aziende hi-tech, in calo dell’8), quindi a Hong Kong (- 4,8 per l’indice Hang Seng) e poi a rag­gera sui prin­ci­pali mer­cati asia­tici. Il Nik­kei di Tokyo ha perso il 3,21%. La borsa di Tai­wan è crol­lata del 7,46%, la peg­giore seduta mai regi­strata nella sua storia.
L’effetto domino si è river­sato sulle valute dei Paesi emer­genti. La rupia indo­ne­siana e il ring­git della Male­sia sono tor­nati al valore di cam­bio del ’98. Quindi il ciclone si è abbat­tuto sui futu­res petro­li­feri e sulle Borse occi­den­tali. Con Fran­co­forte, cuore finan­zia­rio d’Europa, che alla fine ha perso il 4,7% e infine con fre­nate meno bru­sche del Dow Jones (-1,15%) e del Nasdaq (-0,4) a Wall Street.
Non si può dire che non ci fos­sero stati segnali di ciò che poteva acca­dere. È dalla metà di giu­gno che Pechino porta avanti inter­venti di con­te­ni­mento verso rea­zioni scom­po­ste di fronte all’attesa di una cre­scita pro­dut­tiva cinese signi­fi­ca­ti­va­mente infe­riore alle pre­vi­sioni. Ultima delle misure messe in atto, l’annuncio — dome­nica scorsa — di sdo­ga­nare per la prima volta i fondi pen­sione sul mer­cato dei titoli.
Con l’obiettivo dichia­rato di ade­guare i ren­di­menti dei lavo­ra­tori in pre­vi­sione di un invec­chia­mento della popo­la­zione, il governo ha dato loro il via libera a inve­stire fino al 30% del capi­tale in azioni. Una mano­vra per con­tra­stare l’ondata di ven­dite, pun­tel­lare i prezzi dei titoli e arre­stare le fughe di capi­tali, sti­mata nell’ordine dei 3.500 miliardi di ren­minbi, pari a 550 milioni di dollari.
L’annuncio non ha fatto argine al dila­gare della paura sull’andamento dell’economia della Repub­blica Popo­lare, in par­ti­co­lare della sua indu­stria tra­di­zio­nale, magari pro­prio in rap­porto all’evoluzione demo­gra­fica che si prospetta.
Non è solo la con­tra­zione delle espor­ta­zioni (- 8%), o lo stallo dei con­sumi interni, con la ven­dita di auto, in par­ti­co­lare di lusso, ridotte del 7%, a pre­oc­cu­pare. In un Paese dove il wel­fare è ancora quasi ine­si­stente, la pro­spet­tiva di un invec­chia­mento della popo­la­zione attiva non dev’essere un ele­mento di serenità.
Appa­iono pro­fe­ti­che le parole di Hu Xing­dou, docente di eco­no­mia all’Institute of Tech­no­logy di Pechino, su ciò che sta acca­dendo. «La Cina — dice — sta cer­cando di ade­guarsi a un’economia in tra­sfor­ma­zione ma sarà dif­fi­cile miglio­rare la situazione».
E fa pre­sente che un ral­len­ta­mento della cre­scita è pos­si­bile che pro­duca un allar­ga­mento delle distanze tra la parte ricca e la parte povera della popolazione.
L’unico sal­va­gente che — secondo il Wall Street Jour­nal — può met­ter in campo la Banca del Popolo è un nuovo taglio di mezzo punto del coef­fi­ciente di riserva obbli­ga­to­rio per le ban­che (Rrr), libe­rando liqui­dità per 100 miliardi di dol­lari, poten­zial­mente utili a rilan­ciare i pre­stiti e il mer­cato immo­bi­liare, acce­le­rando l’andamento dell’economia.

Fonte: il manifesto

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