La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 agosto 2015

L’incertezza e la grande paura di Wall Street

di Luca Celada
Più che una caduta, nei primi minuti di ope­ra­zioni, ieri Wall Street è sem­brata cadere nel vuoto con l’indicesotto di oltre mille punti – record sto­rico (ma non in ter­mini per­cen­tuali) — prima di ritro­vare una misura di stabilità.
Il terzo giorno di per­dite ingenti dopo quelle di gio­vedì e venerdì scorso hanno «uffi­cia­liz­zato» il panico anche sui mer­cati ame­ri­cani, mai così vola­tili dalla crisi del 2007–8. Il recu­pero poi è stato altret­tanto dram­ma­tico ma l’altalena veri­ti­gi­nosa dei titoli segnala una insta­bi­lità accen­tuata dalla per­ce­zione di una sin­drome cinese tutt’altro che pre­ve­di­bile, soprat­tutto in assenza di effi­caci inter­venti mone­tari da parte di Pechino. Gli ana­li­sti hanno avuto un bel daf­fare a ras­si­cu­rare i rispar­mia­tori ame­ri­cani par­lando di «cor­re­zione fisi­lio­gica» o affer­mando, come ha fatto Kevin Rose che «se siete a più di dieci anni dalla pen­sione non avete nulla di cui preoccuparvi». Ras­si­cu­ra­zioni che hanno avuto solo l’effetto con­tra­rio di far intra­ve­dere l’incertezza degli ope­ra­tori di fronte ad una crisi dai con­torni glo­bali dif­fi­cil­mente inter­pre­ta­bili e pre­ve­di­bili.

Un qua­dro in cui la Cina da grande rivale da con­te­nere rischia di tra­sfo­marsi in grande lia­bi­lity. La grande paura è che con la sta­gna­zione euro­pea, il ral­len­ta­mento della fab­brica cinese possa minac­ciare la fra­gile ripresa ame­ri­cana fon­data su cre­scita pur mode­sta di Pil, occu­pa­zione e ora anche mer­cato immobiliare.
Para­dos­sal­mente negli otto anni che ci sono voluti per ripor­tare in posi­tivo que­gli indici, la finanza ha vis­suto una vera e pro­pria esplo­sione, più che tri­pli­cando il livello dal crack dei sub­prime. È l’argomento addotto da chi con­si­dera l’attuale cor­re­zione come parte di una flut­tua­zione strut­tu­rale e financo neces­sa­ria per riflet­tere l’economia reale.
Ma l’attuale crisi serve pro­prio ad illu­strare il ruolo della finanza come motore spe­cu­la­tivo di un eco­no­mia fit­ti­zia sem­pre più rimossa da quella «reale» sulla quale ha non­di­meno una per­va­siva inge­renza, dalla gestione dei debiti sovrani all’instabilità dei mer­cati alla dise­gua­glianza nella crea­zione di benes­sere. Con gli effetti della crisi ingi­gan­titi dalla spe­cu­la­zione glo­bale si ha la sen­sa­zione che gli inter­venti dei governi sten­tino ad avere un effetto concreto.
Nei giorni imme­dia­ta­mente pre­ce­denti il tonfo, in Usa ave­vano ripreso a cir­co­lare insi­stenti le voci su un pros­simo ritocco dei tassi da parte della Fed – il primo in otto anni.
Non è chiaro che effetto avrà l’attuale crisi sulla deci­sione della banca cen­trale ame­ri­cana che gio­vedì ospi­terà ban­chieri e ammi­ni­stra­tori finan­ziari nell’annuale con­ve­gno di Jack­son Hole.

Fonte: il manifesto

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