La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 23 agosto 2015

No Border, la frontiera meticcia

di Geraldina Colotti
«Resi­stere dagli sco­gli con­tro ogni fron­tiera». Lo stri­scione sven­tola ancora vicino ai Balzi rossi, a due passi dal con­fine di San Ludo­vico, tra Ven­ti­mi­glia e Mentone.
Sulla sco­gliera è rima­sta qual­che tenda con qual­che mate­ras­sino, ma il grosso dei migranti che sta­ziona lì dal 12 giu­gno si è spo­stato sotto la pineta. Le grandi arcate che si ergono sotto il ponte dell’autostrada ospi­tano un accam­pa­mento improv­vi­sato ma ben alle­stito dal pre­si­dio per­ma­nente No Bor­der. La «bolla di Ven­ti­mi­glia», l’hanno defi­nita gli atti­vi­sti: uno spa­zio auto­ge­stito e con­di­viso, fuori dalle regole feroci e con­torte che deter­mi­nano l’esclusione. Un «non luogo» di rifu­gio e denun­cia per le cen­ti­naia di migranti che cer­cano di pas­sare la frontiera.
Da que­ste parti, il loro viag­gio si tra­sforma spesso in un «ping pong umano» tra le due poli­zie di con­fine, det­tato dal Trat­tato di Cham­bery (che regola i respin­gi­menti tra Ita­lia e Fran­cia dal 1997) e da quello di Dublino (2003), che vieta di pre­sen­tare domanda d’asilo in più di uno stato. Nes­suno vuole cer­ti­fi­care il pas­sag­gio di un migrante per evi­tare di dover­selo tenere sul pro­prio territorio. Chi viene preso, anche dopo aver pas­sato il con­fine fran­cese, è così ripor­tato indie­tro alla fron­tiera alta di San Luigi, messo nei con­tai­ner che ser­vono da pri­gione tem­po­ra­nea, in attesa di veri­fi­care se — da uno scon­trino o da un biglietto del treno — si possa tro­vare una trac­cia di pro­ve­nienza dall’Italia per rispe­dirlo a Ven­ti­mi­glia. E lì la par­tita ricomincia…
Nei magaz­zini adia­centi la sta­zione della cit­ta­dina di fron­tiera, è ospi­tato oltre un cen­ti­naio di migranti che ogni giorno prova ad andar­sene: affi­dan­dosi ai pas­seurs o alla for­tuna. Il sin­daco di cen­tro­si­ni­stra, Enrico Iocu­lano, ha chie­sto l’intervento del mini­stro Alfano e ha emesso un’ordinanza che vieta di distri­buire cibo per strada. L’unica depu­tata a farlo è la Croce Rossa, che però non va più al Pre­si­dio permanente.
Quelli che con­ti­nuano a farlo, ven­gono mul­tati: è suc­cesso alle asso­cia­zioni cari­ta­te­voli di Nizza, legate ai Fra­telli musul­mani, e rischia di suc­ce­dere agli atti­vi­sti, che ogni giorno sosten­gono la vita del campo.
Nel pre­si­dio, fun­ziona un forno con le ruote: «lo stesso — dice Pasquale — che abbiamo por­tato al G8 di Genova». E poi una cucina da campo, un pic­colo media-center e un labo­ra­to­rio medico, visi­tato set­ti­ma­nal­mente da Mede­cins Sans Fron­tiè­res. Ma le altre asso­cia­zioni ita­liane — afferma Ines — lati­tano. Fun­zio­nano anche corsi di lin­gua e di arte-terapia. Sui pan­nelli intorno, ci sono i dise­gni dei migranti.
«Se a Ven­ti­mi­glia come a Men­tone nes­suno vuole pren­dere le impronte ai migranti, è solo un bieco cal­colo poli­tico» affer­ma­Gianni, uno degli atti­vi­sti del pre­si­dio. E denun­cia «le pres­sioni della poli­zia» che sta­ziona sul mar­cia­piede di fronte alle tende «e rende impra­ti­ca­bili i due bagni chi­mici», e il costante peri­colo di sgombro.
Que­sta volta, però, i migranti hanno deciso di resi­stere, creando un inso­lito pre­ce­dente. Seduti sul muretto della pas­seg­giata, seguono il per­corso di una Limou­sine o di qual­che Fer­rari ral­len­tato dalla pre­senza delle auto usate dei mili­tanti, che ser­vono da rifu­gio durante la notte. Siamo a due passi dal risto­rante dei Balzi Rossi, dove una cena costa almeno 300 euro. I migranti si chia­mano Tom, Has­san, Moham­med. Quasi tutti ven­gono dal Sudan. Le sto­rie che rac­con­tano si asso­mi­gliano: in fuga da guerra e mise­ria, in un viag­gio verso la Libia e poi sui bar­coni per l’Italia. Un esodo di due o tre anni che ne ha segnato l’adolescenza, come nel caso del sedi­cenne Tom.
«All’ospedale di Impe­ria abbiamo curato una ragazza eri­trea, di cui non sap­piamo niente per­ché non parla inglese né arabo, ma ora che ne sarà di lei?», dice il segre­ta­rio pro­vin­ciale di Rifon­da­zione comu­ni­sta Mariano Mij, che è medico. Il peri­colo, per le migranti, è anche quello di cadere nelle mani di traf­fi­canti senza scru­polo che ser­vono le mafie di fron­tiera, e che sono venuti davanti al pre­si­dio a minac­ciare gli atti­vi­sti. «Oltre tre mesi fa» rac­conta Maria, «un gruppo di afri­cani si è accam­pato sugli sco­gli e con quel gesto ci ha messo di fronte al vero volto dell’Europa, alla sua inca­pa­cità di tro­vare rispo­ste ai disa­stri che pro­duce con le guerre e le poli­ti­che neo-coloniali. Per i migranti, oggi, ogni divisa è una fron­tiera. Qui si è creata una comu­nità metic­cia in cui siamo tutti in tran­sito, e in cui sta matu­rando una forte consapevolezza».
Sono molte le ragazze, atti­vi­ste gio­va­nis­sime come Maria o Debo­rah, arri­vate dalle Mar­che e dalla Toscana. Andrea, invece, arriva da Roma. Il 10 ago­sto, ha par­te­ci­pato a un momento di resi­stenza dei migranti, che è costato un foglio di via per tre anni a sei atti­vi­sti, ita­liani e francesi.
«Un cen­ti­naio di afri­cani – rac­conta Andrea – è par­tito in treno da Ven­ti­mi­glia e si è rifiu­tato di scen­dere alla fron­tiera. Tutti si sono fatti tra­sci­nare fuori uno a uno e si sono stesi sui binari, resi­stendo alle per­cosse e agli insulti. Ho fatto anch’io quel per­corso in treno. Nei pressi della fron­tiera con la Fran­cia, arriva una voce dagli alto­par­lanti che dice: “Ora le porte ver­ranno chiuse dall’esterno e sali­ranno gli agenti per i con­trolli”. Poi, ven­gono con­trol­lati i docu­menti solo a tutti i pas­seg­geri che hanno la pelle scura…».
Vale­rio, un por­tuale di Impe­ria, è stato pre­sente al Pre­si­dio fin dall’inizio. Rac­conta che, il 10 ago­sto, i migranti hanno avver­tito gli atti­vi­sti dal treno. E che in molti sono corsi a por­tare la pro­pria soli­da­rietà: «Noi face­vamo bat­ti­ture dall’esterno, loro rispon­de­vano dai con­tai­ner dove poi li ave­vano rinchiusi».
E Maria aggiunge: «Men­tre la poli­zia cer­cava di aprire il nostro cor­done per por­tare i migranti nei con­tai­ner, abbiamo cer­cato di sten­derci per terra, per impe­dire il pas­sag­gio delle mac­chine. Abbiamo par­lato con la gente, chie­dendo loro di tor­nare indie­tro come pic­colo gesto di soli­da­rietà, e in molti ci hanno ascoltato».
Al Pre­si­dio No Bor­der è arri­vato anche il segre­ta­rio di Rifon­da­zione comu­ni­sta, Paolo Fer­rero: per por­tare il suo appog­gio alla «bolla» auto­ge­stita. «Ogni giorno i tele­gior­nali fanno dei migranti un capro espia­to­rio. E così la destra è diven­tata ege­mone nel costruire un imma­gi­na­rio col­let­tivo: dob­biamo ribal­tarlo. Que­sto pre­si­dio è la prova di come si potreb­bero risol­vere le cose» sostiene.
E ieri, migranti e atti­vi­sti hanno ricor­dato la morte del pic­colo Todor Boka­no­vic, ucciso dalla poli­zia il 20 ago­sto 1995, men­tre i suoi geni­tori cer­ca­vano di pas­sare la fron­tiera franco-italiana di Sospel. «Ogni giorno – spiega Vick, mili­tante anar­chico fran­cese – la poli­zia uccide nelle ban­lieue. dob­biamo creare un coor­di­na­mento sta­bile: per dire no alle fron­tiere e allo stato di polizia».

Fonte: il manifesto

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