
di Alain Badiou
1.Si era creduto di capire che Syriza, vinte le elezioni in Grecia, avesse come parola d’ordine unvigoroso “no” all’austerità; avrebbe quindi categoricamente respinto tutte le condizioniantisociali, regressive, minacciose dei più elementari principi dell’aspirazione all’uguaglianza e auna vita accettabile per gli strati popolari, poste per il loro prestito dalle varie autorità finanziariee dalle loro coperture europee. Molti allora si rallegravano per la possibilità che emergessefinalmente, in Europa, un orientamento politico del tutto diverso dal consenso reazionario in cuitutti gli Stati, da trent’anni, mantengono le rispettive opinioni pubbliche, spontaneamente o con la forza.
2.Naturalmente, era già possibile trovare non pochi argomenti per mitigare questa speranza. Non foss’altro, il termine molto infelice di “austerità”, che lasciava intendere che si sarebbepotuto ottenere il contrario (che poi, che cos’è? Il “benessere”?) senza cambiare granché. Einvece tutto stava ad indicare che gli avversari, la gente al potere e i loro mandanti dell’economiaselvaggia mondializzata, non avevano la minima intenzione di cambiare alcunché, anziintendevano consolidare e aggravare la tendenza dominante, di cui sono i gestori e da cuitraggono benefici.
Si avvertiva anche il pericolo che rappresentava l’accettazione, per arrivare al potere, di regoleimmutabili: elezioni, maggioranze incerte, scarso controllo sull’apparato statale, ancor menosulle potenze finanziarie, tentazione organizzata del compromesso corruttore, in breve unmargine di manovra molto ristretto.
Infine, si vedeva che Syriza non aveva davvero, con la massa della gente, legami politici saldi eorganizzati: il suo era un successo d’opinione, versatile per definizione, e soprattuttoincontrollato, senza garanzia contro l’assalto, interno ed esterno, degli opportunismi secondo cuipervenire al potere e restarvi è l’unica regola. Per tutti questi motivi io appartenevo al campodegli scettici.
3.Debbo confessare che, quanto i cinque mesi di “trattative”, senza che il governo Tsiprasprendesse una qualche iniziativa spettacolare, erano scoraggianti e davano ragione al miopessimismo argomentato, tanto la decisione di ricorrere al referendum e, più ancora, il suoeccellente risultato (un “no” franco e massiccio ai creditori) si potevano interpretare come quelche avrebbe aperto, finalmente, una sequenza politica assolutamente nuova. Sembrava cheall’ordine del giorno vi fosse una vera avventura, in una ritrovata dialettica tra lo Stato e il suopopolo. Ho testimoniato io stesso su queste colonne [di Libération] di questa speranza.
4.Possiamo dire che non se ne è fatto niente e che la mia è stata una valutazione sbagliata.
5.Chi immaginava, a quanto pare a torto, che potesse accadere? Semplicemente, si pensava cheil governo greco e Alexis Tsipras scegliessero una nuova tappa della loro politica decidendo diricavare le conseguenze del referendum e solo di questo. Il che significava dire: ormai c’è unmandato popolare imperativo per rifiutare, categoricamente - del resto, in conformità con ilnocciolo duro del programma di Syriza – le misure richieste dai creditori. E questo andava detto, non solo senza dichiarare che la Grecia lasciava l’Europa ma, assolutamente al contrario,dichiarando esplicitamente e con forza che restava in Europa – come vuole la maggioranza deigreci. E che le decisioni greche d’ora in poi, prese dallo Stato sotto l’autorità e la sorveglianza diun popolo mobilitato, avrebbe fornito, a tutti i popoli e a tutti i governi, l’esempio di un nuovo elibero modo di stare in Europa.
6.Era possibile, sulla scia del referendum, rinviare la palla nel campo degli eurocrati, in questitermini: “noi stiamo in Europa e nell’euro, ma abbiamo ricevuto dal nostro popolo il mandato peril rifiuto categorico delle vostre condizioni. Le trattative vanno riprese senza ripetere il graveerrore di queste condizioni che, il referendum lo dimostra, lavorano contro l’Europa dei popoli e non per essa”. Questo doveva essere oggetto di una solenne dichiarazione la sera del referendum.
7.Una politica esiste solo se si sostituisce al problema posto dagli avversari un altro problema.L’avversario dice: “o mi ubbidite, oppure lasciate l’Europa”. È lui e solo lui a creare e brandire ilGrexit. Il governo greco non deve in alcun modo rispondere recitando la stessa parte di quelladegli europei, con la cattiva mamma tedesca, il gentile ma pavido papà francese e il cattivoragazzo greco, sceneggiata in cui, purtroppo, sembra che Tsipras alla fine si sia infilato. Perchénon rispondere instancabilmente: “il Grexit non è nel nostro orizzonte. Non se ne parla neanche. Il nostro problema è: o voi cambiate le vostre condizioni dietro trattativa, o noi inauguriamo inEuropa, da cui voi non avete alcun modo di espellerci e assumendocene tutte le implicazioni, unaltro modo di affrontare la crisi, un altro modo al quale proponiamo che si ricolleghino tutti igoverni, se ve ne sono e ne sono capaci, e tutte le forze politiche disponibili nell’intera Europa”?
8.In altri termini: Probabilmente non c’era, quanto alla questione monetaria, un piano Bimmediatamente praticabile (e ancora non è del tutto sicuro), ma c’era, e bisognava portarloavanti senza cedimenti, un problema politico B, irriducibile al problema “accettate, oppure è ilGrexit!”. Ma non è stato questo l’atteggiamento di Tsipras e del gruppo che lo consiglia e loappoggia. Hanno accettato di recitare la parte dello scolaro capriccioso, ma che farà progressi,nell’opera teatrale montata dal serraglio capitalista europeo. Si sono lentamente masicuramente posti nei termini del problema dell’avversario, continuando a farlo giorno dopogiorno, unicamente per far credere che è un bene che ci siano loro al governo piuttosto che glialtri partiti greci (altri partiti con i quali ben presto governeranno!).
In realtà, se le cose stanno come dicono loro stessi che stiano, andarsene sarebbe più dignitoso,preparando infinitamente meglio il futuro. Questo tipo di capitolazione è peggiore della molle eabietta acquiescenza dei precedenti governi, perché indebolisce ancora di più l’idea, già moltosofferente in Europa, di una reale indipendenza politica, e questo per guadagni insignificanti, se non al prezzo di un aggravamento sensibile della situazione popolare.
9.In tutta questa faccenda, il referendum, e solo questo, creava una situazione che definireipreliminare agli eventi. Il governo faceva appello al popolo. Il popolo rispondeva positivamente,attendendo che il governo rispondesse alla sua risposta nel registro degli atti concreti. Era unmomento unico. Alexis Tsipras ha “risposto” dicendo… che avrebbe continuato a fare come prima. Ha rifiutato ogni coerenza, nel registro della decisione politica, con quello che lui stessoaveva organizzato. Quel che si può dire di un simile atteggiamento non è neanche una questionedi destra o di sinistra: Tsipras e i suoi consiglieri si sono dimostrati incapaci di fare ciò che sonoriusciti a fare, non dico grandi rivoluzionari, ma conservatori come de Gaulle o Churchill. Nonhanno voluto o non sono riusciti a prendere – il che, è vero, accade di rado – una vera decisionepolitica: quella che crea una nuova possibilità, di cui occorre esplorare le conseguenze,mobilitando, ben al di là delle sole autorità politiche, tutti coloro che sono presi dall’urgenzadell’agire. Non hanno adottato nei confronti dei burocrati europei lo stile di Mirabeau e deideputati del terzo stato nel 1789, cui il re aveva ingiunto di sciogliersi: “Noi siamo, come voi, inEuropa e nell’euro. Al contrario di voi, siamo portatori, per volontà popolare, di un’altra visione siadell’Europa sia dell’euro. Se volete il Grexit, ditelo chiaramente, e quindi provate ad infliggercelocon la forza!”.
10.Per farla breve, l’errore di Tsipras e del suo gruppo, a mio avviso, è semplicemente di non aver fatto politica quando, miracolosamente, e forse per poche ore (la sera del referendum?)farla dipendeva da loro. Dopo questo cedimento, ho paura che torneremo all’ordinario tran tran. La Grecia non significherà più niente per nessuno, pagherà quel che può, la gente sarà un po’ piùdemoralizzata e miserabile, e si dimenticherà tutto questo episodio nel grande caos del capitaleplanetario.
11. Se c’è una lezione da trarre dai grandi momenti della storia, è che l’occasione politica è rara, e che non ritorna. Dal XIX secolo, si può dire che la socialdemocrazia si definisce così: maicogliere praticamente la rara occasione di far esistere una possibilità politica nuova. Anzi, alcontrario, lavorare con accanimento a fare come se questa occasione non fosse mai esistita. Alexis Tsipras e la sua squadra governativa sono i nuovi socialdemocratici, di cui il capital-parlamentarismo ha grande bisogno, vista la continua e logora spregevolezza dei vecchi?
Se cosi fosse, se l’ora del ricambio fosse semplicemente in funzione dell’ordine stabilito e dellasua salvaguardia da sinistra, non parliamone più. Se nuove peripezie, inclusa la strutturazione el’ascesa in forze della frazione di Syriza che si oppone all‘attuale andamento delle cose,dimostreranno che la ricerca di una nuova strada politica su scala europea, se non mondiale, èancora viva in Grecia, non potremmo che rallegrarcene, senza riserve.
Fonte: Libération
ripreso da EuropeSolidaire Sans Frontières
Traduzione di Titti Pierini
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