La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 24 agosto 2015

Le «resistenze» del Pcc alla leadership di Xi

di Simone Pieranni
La situa­zione in Cina con­ti­nua a pro­vo­care insta­bi­lità sui mer­cati inter­na­zio­nali. Le cause sono dovute ai dubbi sulla salute dell’economia cinese, tra ral­len­ta­mento, pro­ble­ma­ti­che legate al mer­cato interno, mano­vre della Banca cen­trale cinese. Il dato del Pmi (l’indice d’acquisto del mani­fat­tu­riero) in ago­sto è al 47,1, al di sotto di quel 50 che costi­tui­sce il con­fine tra cre­scita e contrazione.
A luglio le espor­ta­zioni hanno segnato un meno 8%, men­tre gli shock delle borse di Shan­ghai e Shen­z­hen hanno por­tato per­dite ingenti per quella classe media che la diri­genza aveva eletto a poten­ziale motore della tra­sfor­ma­zione eco­no­mica del paese. Cause ed effetti eco­no­mici di una dif­fi­coltà a gover­nare il paese nel mer­cato e segnali che qual­cosa non torna nean­che nella gestione del potere poli­tico, se è vero che tutto quanto accade anche all’esterno della Cina ha moti­va­zioni e fina­lità interne.
Meno ana­liz­zato, infatti, è stato quanto sta suc­ce­dendo all’interno del paese, dal punto di vista poli­tico. I dubbi sullo stato dell’economia cinese sono legit­timi, il ral­len­ta­mento di Pechino poten­zial­mente può dare vita a feno­meni nega­tivi per tutta l’economia mon­diale, per­ché l’intreccio tra Cina e Usa ad esem­pio, deter­mina la natura degli assetti eco­no­mici glo­bali. Tutto è col­le­gato, ma le que­stioni poli­ti­che cinesi seguono una logica pro­pria e rap­pre­sen­tano lo sce­na­rio del paese anche nella sua pro­po­si­zione internazionale.
Negli ultimi tempi si è sem­pre descritta la potenza della lea­der­ship di Xi Jin­ping, capace di accen­trare parec­chio potere, pro­vo­cando la fine dell’era «col­le­giale» del Par­tito. Ma la sua cam­pa­gna anti cor­ru­zione ha pro­vo­cato non pochi malu­mori all’interno di gruppi di potere che non sem­brano inten­zio­nati ad abdi­care al pro­prio ruolo. In Cina l’economia, la finanza vanno a brac­cetto con la politica.
I gruppi di potere poli­tico del Par­tito gesti­scono impor­tanti fette dell’economia nazio­nale (sicu­rezza, risorse, inve­sti­menti). Que­sto pro­voca scon­tri tra gruppi di inte­ressi che il più delle volte non emer­gono in super­fi­cie, ma si con­su­mano in bat­ta­glie sot­to­trac­cia. Xi Jin­ping, met­tendo sotto inchie­sta e arre­stando cen­ti­naia di fun­zio­nari, ha scom­bus­so­lato le acque che pare­vano essersi pla­cate dopo il grave scan­dalo che aveva pre­ce­duto pro­prio la sua inco­ro­na­zione (il caso Bo Xilai).
Ora, però, pare che lo scon­tro sia palese. I dati sono i seguenti: nelle set­ti­mane scorse un duris­simo edi­to­riale del Quo­ti­diano del Popolo cri­ti­cava l’attivismo poli­tico di ex lea­der che ormai si sono riti­rati. Il rife­ri­mento era chia­ra­mente a Jiang Zemin, i cui alleati sono caduti uno die­tro l’altro per i colpi di Xi. Ma l’editoriale è un avver­ti­mento ad un ex lea­der che ancora conta all’interno della mac­china del Par­tito e dello stato. E un paio di giorni fa un altro arti­colo sem­bra aver lan­ciato una nuova minac­cia: le riforme di Xi Jin­ping sta­reb­bero incon­trando una «inim­ma­gi­na­bile» resi­stenza nel Partito.
Si tratta di un arti­colo impor­tante, ripor­tato anche dal sito della Cctv e che sta facendo discu­tere parec­chio in Cina.
La diri­genza del Pcc, quindi, sarebbe divisa e sta­rebbe ingag­giando una bat­ta­glia con­tro le volontà di cam­bia­mento di Xi. Ma su que­ste ultime è bene essere chiari: non si tratta di cam­bia­menti in senso demo­cra­tico (come si è chie­sta ad esem­pio Marianna Maz­zu­cato qual­che giorno fa su Repub­blica) quanto di «riforme» che mirano a sosti­tuire le vec­chie cupole del potere con nuove alleanze.
Come spe­ci­fi­cato su Foreign Affairs di luglio da You­wei, pseu­do­nimo uti­liz­zato da un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio cinese, Xi ha rea­liz­zato impor­tanti riforme per l’agricoltura, per lo svi­luppo dell’imprenditoria, sulla sicu­rezza sociale. Ma, spe­ci­fica il pro­fes­sore, man­cano ancora quelle più impor­tanti sulle aziende di stato, sulla terra e sui poteri fiscali dell’Assemblea nazio­nale. Riforme for­te­mente osteg­giate. Il desi­de­rio di quasi tutti i potenti del Par­tito è che in realtà nulla cambi: che il socia­li­smo di mer­cato della Cina possa rifor­marsi, senza dover pro­vo­care scos­soni ai cen­tri di potere.
Ma que­sto atteg­gia­mento è ormai messo in discus­sione da un’economia in dif­fi­coltà, nella quale pro­prio la gestione del potere clien­te­lare e basata sulla volontà di car­riera dei fun­zio­nari, porta a inve­sti­menti fal­li­men­tari. La cam­pa­gna anti cor­ru­zione, inol­tre, pare aver bloc­cato molti degli inve­sti­menti (spe­cie nel mat­tone) che fino a poco tempo costi­tui­vano uno dei motori prin­ci­pali dell’economia.
Allo stesso tempo, que­ste lotte interne sem­brano ral­len­tare gli inve­sti­menti nell’innovazione e nel set­tore dei ser­vizi, deter­mi­nanti per un mer­cato interno trainante.
Le dif­fi­coltà eco­no­mi­che potranno tro­vare una loro con­ferma o smen­tita a breve, per­ché il Par­tito a set­tem­bre pre­sen­terà i numeri gene­rali della pro­pria eco­no­mia, ben­ché sus­si­sta sem­pre la dif­fi­coltà a sapere se i dati pre­sen­tati da Pechino siano rea­li­stici o meno. Intanto nei giorni scorsi la Banca cen­trale cinese ha immesso sul mer­cato 110 miliardi di yuan per 14 isti­tuti finan­ziari per un periodo di 6 mesi, ad un tasso del 3,35%.

Fonte: il manifesto

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