La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 settembre 2015

L’Odissea gotica del presente

di Raffaele K. Salinari
Norma Ran­geri invita ad una nuova resi­stenza con­tro l’assuefazione media­tica dalle morti dei migranti. Il tema viene ripreso da Tom­maso Di Fran­ce­sco con par­ti­co­lare riguardo alle respon­sa­bi­lità euro­pee nelle guerre da cui pro­ven­gono i pro­fu­ghi. Si tratta di un appello giu­sto e acco­rato, e di una ana­lisi sto­ri­ca­mente docu­men­tata, che com­pon­gono entrambi un qua­dro poli­ti­ca­mente pro­vo­ca­to­rio poi­ché chia­mano in campo non solo il sistema dell’informazione ma lo spi­rito stesso col quale ci pre­di­spo­niamo ad inter­pre­tare le notizie.
E allora vediamo di dare qual­che ele­mento con­cre­ta­mente sim­bo­lico a que­sta rin­no­vata bat­ta­glia di civiltà, par­tendo pro­prio dal deca­di­mento spi­ri­tuale delle nostra epoca, tutta orien­tata alla quan­tità, in cui ciò che uni­sce, al di la di ogni deter­mi­na­zione super­fi­ciale, gli esseri umani, sem­bra scom­pa­rire all’ombra del particulare.
Vic­tor Hugo nel suo Notre Dame di Parigi descrive a un certo punto la novità archi­tet­to­nica rap­pre­sen­tata dall’arte gotica. Il grande roman­ziere sostiene, a ragion veduta, che l’innovazione sti­li­stica che sor­passa il pre­ce­dente stile roma­nico, nasce da quella grande epo­pea non solo caval­le­re­sca ma anche popo­lare, che furono le cro­ciate. Il gotico mette al cen­tro dell’universo l’uomo stesso, non più dio, com’è nel roma­nico ma, sopra tutto, scar­dina l’ordine rap­pre­sen­tato in quelle costru­zioni medioe­vali dalla gerar­chia dio, clero, popolo. Ebbene, dice ancora Hugo, que­sto si deve alle influenze che ven­gono dall’arte orien­tale, dalla sua spi­ri­tua­lità ancora tumul­tuosa, effetto bene­fico che oltre­passa l’incontro/scontro tra gli eser­citi cro­ciati e quelli della mezzaluna.
E dun­que una delle grandi costru­zioni delle cri­stia­nità, con i suoi sim­boli alche­mici scol­piti nelle pie­tra, con le sue guglie lan­ciate verso lo Spi­rito, ci viene dall’incontro tra cul­ture che, appa­ren­te­mente, pos­sono essere solo in atteg­gia­mento oppo­si­tivo l’una dell’altra.
Ma, ecco l’arcano, la rina­scita della spi­ri­tua­lità euro­pea post medioe­vale, che diede vita allo stesso Rina­sci­mento di stampo neo­pla­to­nico, lo si deve ad influenze che, sul piano della geo­po­li­tica, appa­ri­vano invece con­tra­stanti. Oggi, a secoli di distanza, la situa­zione non sem­bra essere cam­biata nelle rela­zioni tra Europa e mondo musul­mano, in gene­rale tra la cul­tura del con­ti­nente tra i più ric­chi del globo, e le terre che sino agli anni set­tanta del secolo scorso furono le sue colonie.
Oggi il tema emer­gente, ma non emer­gen­ziale come si vor­rebbe far cre­dere all’opinione pub­blica, è deci­sa­mente quello delle migra­zioni da que­ste stesse zone.
E allora, ieri come oggi, se andiamo oltre le ragioni imme­diate e con­tin­genti, ci tro­viamo di fronte a delle moti­va­zioni che ripren­dono in pieno quel fecondo incon­tro che carat­te­rizzò l’epoca delle rina­scita dello spi­rito euro­peo dopo gli oscu­ran­ti­smi medioevali.
Se, infatti, si chiede a que­sti ragazzi e ragazze che sostano presso i cen­tri cosid­detti di acco­glienza, non cosa li ha spinti a intra­pren­dere un viag­gio poten­zial­mente mor­tale, cioè le guerre, la fame, le deva­sta­zioni ambien­tali, la man­canza dei più ele­men­tari diritti umani, ma il come hanno potuto sop­por­tare le tor­ture, le umi­lia­zioni, gli stu­pri, la soli­tu­dine, l’angoscia di vedere morire amici e par­tenti in viaggi che l’Odissea a con­fronto è una tour dei Club Medi­ter­ra­nee, ebbene torna pre­po­tente l’immagine del sogno e della sua forza spi­ri­tuale, della volontà di testi­mo­niare con il pro­prio corpo la potenza di una vita che, nono­stante tutto, vuole e deve affer­marsi a ogni costo, oltre ogni costo.
E allora, di fronte a una Europa smem­brata dalle ine­gua­glianze, dai rigur­giti xeno­fobi e dal cal­colo ragio­nie­ri­stico delle parità di bilan­cio, fran­tu­mata dalle spinte cen­tri­fu­ghe dei rina­scenti nazio­na­li­smi ma, forse e soprat­tutto, ora­mai spenta nell’ombra di un ideale comu­ni­ta­rio che si è con­su­mato al fuoco dell’economia libe­ri­sta, que­ste testi­mo­nianze, que­ste nuove pre­senze, desti­nate ad inne­starsi nel tes­suto mor­ti­fi­cato di un con­ti­nente che per secoli è stato il cen­tro del mondo, ebbene que­ste vite non pos­sono essere che una spe­ranza di rina­scita per il nostro Con­ti­nente, una occa­sione di far scor­rere nuova linfa nei calami esau­sti di una cul­tura ora­mai tropo ripie­gata in se stessa.
Non sono forse i brac­cianti immi­grati che spesso inse­gnano nuo­va­mente ai nostri a lot­tare nelle cam­pa­gne? Non è forse la loro gio­ventù tur­bi­nosa che può nuo­va­mente ispi­rare i ragazzi con­ti­nen­tali rosi dall’indifferenza a incon­trare altre visioni del mondo? Non sono altre lin­gue che pos­sono arric­chire quella grande lin­gua euro­pea che, come dice Bali­bar, è la traduzione?
Acco­gliere il diverso, dun­que, è una occa­sione da non per­dere, oltre che un dovere è una grande oppor­tu­nità di tra­sfor­ma­zione di un tes­suto scle­ro­tiz­zato da false con­trap­po­si­zioni e da una seco­la­riz­za­zione che non ci con­sente di sognare il sogno di una Europa inter­cul­tu­rale, inclu­siva, real­mente unita da quel grande col­lante che sono le sue diversità.

Fonte: Il manifesto

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