La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 5 settembre 2015

L'Europa in marcia

di Piero Rossini
Alla fine hanno deciso di muo­versi. Si sono alzati e hanno rac­colto le loro cose. Hanno preso i bam­bini, riav­volto i teli stesi a terra sui quali hanno dor­mito, pie­gato i vestiti den­tro zaini e valige che hanno cari­cato sulle spalle e si sono messi in mar­cia. Stufi di aspet­tare dopo giorni e notti tra­scorsi davanti alla sta­zione di Buda­pest nella spe­ranza che le auto­rità unghe­resi si deci­des­sero a sbloc­care la situa­zione per­met­ten­do­gli di rag­giun­gere la Ger­ma­nia in treno. Così non è stato. E allora hanno deciso che Ber­lino se la pren­de­ranno da soli, o almeno ci pro­ve­ranno. E se con i treni non è pos­si­bile ci arri­ve­ranno a piedi, per­ché nes­suno li ferma.
Sono par­titi ieri mat­tina. All’inizio sem­brava che fos­sero in pochi, qual­che cen­ti­naio di pro­fu­ghi, siriani soprat­tutto, ma anche afghani e pachi­stani. Poi però il gruppo è cre­sciuto sem­pre di più fino a diven­tare un ser­pen­tone com­po­sto da migliaia di per­sone che len­ta­mente hanno comin­ciato a lasciare la sta­zione di Buda­pest. I pro­fu­ghi van via e met­tono fine al brac­cio di ferro durato giorni con il governo Orbàn che non voleva lasciarli andare senza prima iden­ti­fi­carli.
La par­tenza è stata incerta, ma dopo qual­che dub­bio sulla dire­zione da pren­dere il lungo cor­teo ha attra­ver­sato il ponte Eli­sa­betta sul Danu­bio e si è diretto verso l’autostrada che col­lega Buda­pest con Vienna. Prima tappa il con­fine austriaco, distante 150 chi­lo­me­tri. Seconda la capi­tale austriaca lon­tana 240.
Ad aprire la mar­cia c’è un uomo che sven­tola una ban­diera dell’Unione euro­pea, seguito da una mol­ti­tu­dine di dispe­rati con in testa una sola idea: rag­giun­gere a tutti i costi quella Ger­ma­nia pro­messa loro da Angela Mer­kel. Lei è la star indi­scussa della mar­cia. La fac­cia della can­cel­liera spunta da foto­gra­fie che uomini e donne alzano al cielo tra gli applausi e in cui è rap­pre­sen­tata men­tre stringe le mani in segno di vit­to­ria, oppure con il piglio deciso e alle spalle la ban­diera tede­sca. «Orbàn è la ver­go­gna dell’Europa», grida invece il car­tello scritto a penna esi­bito da un uomo. La nuova Ger­ma­nia, quella non più arci­gna e «affa­ma­trice» delle eco­no­mie più deboli, bensì quella aperta e ospi­tale è il sogno inse­guito da tutti. Fami­glie con il bam­bino in car­roz­zina, uomini cari­chi di baga­gli fin sopra la testa, donne con il velo che cam­mi­nano accanto a ragazze vestite all’occidentale. Ci sono per­fino un signore in sedia a rotelle e un altro che avanza con le stam­pelle. E tanti, tan­tis­simi bambini.
Tra gio­vedì e venerdì notte sono stati 3.313 i pro­fu­ghi entrati in Unghe­ria, mille in più rispetto alle 24 ore pre­ce­denti. Cifre che hanno fatto alzare ulte­rior­mente la ten­sione con le auto­rità unghe­resi che non ci stanno a fare la parte dei cat­tivi dell’Europa e che bol­lano come «inac­cet­ta­bili» le cri­ti­che di Bru­xel­les. «Noi appli­chiamo le regole», ha detto ieri il mini­stro degli Esteri Peter Szi­j­jarto men­tre da Praga, dove si tro­vava per il ver­tice Vise­grad, Orbàn è tor­nato ad attac­care i lea­der euro­pei: «L’atteggiamento dell’Ungheria è chiaro e forte — ha detto -: i migranti sono vit­time, gente imbro­gliata anche dai poli­tici euro­pei, per­ché sono stati loro a dare la spe­ranza che esi­ste la pos­si­bi­lità di venire in Europa».
Discus­sioni che sicu­ra­mente non inte­res­sano ai migranti in mar­cia. Al gruppo di Buda­pest si sono aggiunti anche alcuni pro­fu­ghi fug­giti ieri dal cen­tro di Roszke, al con­fine con la Ser­bia, dove erano trat­te­nuti. Sono scap­pati in 300, molti sono stati ripresi poco dopo dalla poli­zia e uno di loro, un pachi­stano, è morto dopo essere caduto sui binari. Ma qual­cuno ce l’ha fatta e si è unito alla lunga marca.
A spin­gere i pro­fu­ghi a par­tire è stata pro­ba­bil­mente pro­prio l’incertezza su quale sarebbe stato il loro futuro. La strada da per­cor­rere a piedi non è certo un pro­blema per que­sta gente. Sono par­titi dalla Siria, hanno attra­ver­sato la Tur­chia e risa­lito la Gre­cia. Al con­fine con la Mace­do­nia hanno sop­por­tato le cari­che della poli­zia di Sko­pje e hanno vinto loro, sono arri­vati in Ser­bia e poi in Unghe­ria. Il muro di Orbàn non li ha fer­mati e nean­che i suoi poli­ziotti. Figu­ria­moci se adesso si spa­ven­tano per i 240 chi­lo­me­tri che li sepa­rano da Vienna. Sono par­titi, anche se non è chiaro cosa suc­ce­derà tra qual­che giorno, una volta arri­vati al con­fine con l’Austria. Si vedrà. Intanto cono­scono una nuova Unghe­ria, per certi versi ine­dita dopo l’indifferenza dei giorni scorsi. Lungo il per­corso, men­tre i pro­fu­ghi riem­pi­vano i mar­cia­piedi e la car­reg­giata delle strade argi­nati in qual­che modo da agenti impe­gnati a deviare il traf­fico, molti auto­mo­bi­li­sti hanno fer­mato la mac­china e hanno offerto acqua e cibo ai migranti, oppure si sono messi a dispo­si­zione per un pas­sag­gio. Una gene­ro­sità con­ta­giosa, tanto che in poche sui social net­work più di 2.400 per­sone si sono messe a dispo­si­zione per orga­niz­zare nel fine set­ti­mana un con­vo­glio che rie­sca a tra­spor­tare tutti fino a Vienna.
Per il governo unghe­rese quella dei migranti è una vera emer­genza. «Se que­sti flussi con­ti­nuano a veri­fi­carsi sarà la fine dell’Europa», ha detto Orbán a Bru­xel­les. Ieri, nel pro­gramma «180 minuti» di Radio Kos­suth, il pre­mier ha affer­mato che se i paesi euro­pei non saranno in grado di difen­dere i loro con­fini decine e decine di milioni di migranti arri­ve­ranno nel nostro con­ti­nente. Posi­zioni estreme, riba­dite in diversi con­te­sti pub­blici dal capo del governo quando ha affer­mato di non vedere favo­re­vol­mente il fatto che genti di altra cul­tura si mesco­lino alla popo­la­zione unghe­rese. «Non è un bene», aveva detto espri­mendo timore per le radici cri­stiane euro­pee che lui si sente in dovere di proteggere.

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