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di Jacopo Rosatelli
Un risultato lo hanno già ottenuto. I sindaci progressisti
spagnoli, che si sono riuniti ieri a Barcellona su invito di Ada
Colau per il primo vertice delle «città per il bene comune», hanno
«convinto» il premier conservatore Mariano Rajoy a cambiare
atteggiamento di fronte alla crisi dei profughi. È soprattutto
grazie alla loro pressione, infatti, che il governo iberico ha
finalmente accettato di fare la propria parte nell’emergenza che sta
sconvolgendo l’Europa, abbandonando il fronte dei Paesi della Ue che
si oppongono alla suddivisione per quote dei profughi. «La
Spagna non negherà a nessuno il diritto d’asilo», ha assicurato ieri
Rajoy, che ha ricevuto la visita del premier britannico David
Cameron.
Nell’attesa che l’esecutivo concretizzi la propria
disponibilità all’impegno in favore dei migranti, i municipi
guidati dalle nuove giunte di sinistra plurale (con Podemos ma non
solo) si stanno già dando molto da fare. Innanzitutto creando una
«rete delle città per l’accoglienza» allo scopo di scambiarsi
informazioni e condividere «buone pratiche».
E poi investendo
risorse: Madrid, dove sindaca è Manuela Carmena, ha destinato 10
milioni per le necessarie misure di aiuto ai profughi. L’obiettivo
è chiaro: non farsi cogliere impreparati, ridurre il più possibile
il disagio per i richiedenti asilo, ed evitare che si creino
tensioni nei quartieri su cui le forze di destra (anche estrema)
possano speculare. La sintonia fra i sindaci e il Paese sembra
esserci: un’inchiesta di opinione resa nota ieri mostrava che oltre il
70% degli spagnoli è favorevole ad accogliere le persone che
fuggono dalle guerre e dalla fame. E il messaggio di benvenuto ai
rifugiati è risuonato forte e chiaro anche nell’iniziativa pubblica
organizzata ieri sera in un centro polisportivo del capoluogo
catalano, con tutti i sindaci giunti a Barcellona: «Anche molti
spagnoli dovettero abbandonare la propria terra dopo la guerra
civile».
Un evento, quello di ieri, con una forte carica simbolica, ma anche
con grande significato politico. È stata la rappresentazione
della nuova Spagna alternativa all’asfittico bipartitismo Pp-Psoe,
fondata su un municipalismo progressista che condivide con
Podemos la stessa matrice nel movimento degli indignados. Ma è stata
anche l’immagine di una possibile convivenza di tutte le zone del
Paese nel nome della giustizia sociale e non del nazionalismo
centralista: le centinaia di partecipanti hanno accolto con
applausi i sindaci di Saragozza, Pamplona, La Coruña, Santiago di
Compostela, e con autentiche ovazioni i primi cittadini di Madrid
e Cadice. Una manifestazione indigesta tanto per Rajoy (e quei
socialisti che tifano per la «grande coalizione» anche in Spagna)
quanto per il governatore catalano Artur Mas, esponente
dell’indipendentismo di centro-destra, socialmente affine ai
conservatori di Madrid. «La nostra è una rivoluzione democratica
in marcia, fatta dalla gente comune», ha detto il vicesindaco di
Barcellona, Gerardo Pisarello.
Che non ha nascosto le difficoltà dell’impresa. Anche perché
i sondaggi mostrano che il Pp sta recuperando terreno, tanto che
Rajoy sembra ormai deciso a indire le elezioni nell’ultima data
legalmente possibile, e cioè il 20 dicembre, convinto del fatto che
il trascorrere dei mesi porti acqua al mulino del suo partito. Il
leader di Podemos, Pablo Iglesias, non si mostra scoraggiato: «Non
credevo ai sondaggi quando ci davano in testa, non ci credo ora che ci
danno 10 punti sotto al Pp», ha dichiarato in un’intervista alla radio
Cadena Ser. Nel corso della quale è tornato anche a mostrare il
proprio appoggio ad Alexis Tsipras e a denunciare la politica
europea nei confronti dei profughi: «Occorre aprire ambasciate Ue
in Siria e ovunque necessario per poter concedere visti umanitari
alle persone che fuggono».
Fonte: il manifesto
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