La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 settembre 2015

Una proposta di soluzione della crisi dell’euro

di Riccardo Achilli e Lanfranco Turci
Nel dibattito sull’euro che si è aperto finalmente nella sinistra italiana vorremmo provare a mettere in fila un ragionamento logico e un percorso realistico che la sinistra dovrebbe presentare in una piattaforma possibilmente unitaria. A differenza di tanti pericolosi populismi, una sinistra che vuole avere responsabilità di governo, è consapevole che solo un balzo verso una unione politica federale e democratica può consentire di avere gli strumenti politici per accentrare i debiti pubblici nazionali in un debito pubblico europeo riavviando politiche fiscali espansive, eliminando gli squilibri dei saldi nazionali di bilancia dei pagamenti, dotandosi di una politica fiscale e dei redditi comune, in grado di ridurre i differenziali nei costi dei fattori, nonché attuando pienamente quella Transfer Union necessaria per omogeneizzare le condizioni economiche, occupazionali e sociali del continente e renderlo resiliente alle crisi economiche.
Come opposizione responsabile, quindi, chiederemmo, come prima opzione, che tale balzo in avanti verso una unione politica e genuinamente democratica e solidale sia compiuto irreversibilmente, ma il realismo ci porta ad evidenziare che non vi sono le condizioni per andare verso tale direzione. Differenze di interesse nazionale, persistenti diffidenze reciproche, fisiologiche diversità di ordine culturale, istituzionale, organizzativo fra i diversi Stati membri, e l’acuirsi del solco che la risposta europea alla crisi greca ha prodotto, rendono, di fatto, l’idea dell’unificazione politica europea, così come inscritta nel manifesto di Ventotene, non realizzabile. 
Né i recenti documenti prodotti dalle classi dirigenti dell’Europa ( vedi il documento dei 5 presidenti) come risposta all’attuale crisi lasciano intravedere la volontà reale di superare le contraddizioni interne di una moneta unica senza Stato. 
Anche dalla parte del socialismo europeo, la proposta Gabriel-Macron ha la stessa impostazione di fondo neoliberista e mercantilistica, largamente insufficiente a delineare una strada comune di fuoriuscita dalla crisi. Infatti è anch’essa connotata dall’assenza di una visione che vada oltre la mera impostazione economicistica e mercantilistica dell’Europa, che restituisca spazio alla dinamica democratica dei popoli europei e che, superando austerità e riforme strutturali neoliberiste, rimetta al centro del progetto europeo quella necessaria solidarietà finanziaria e sociale. L’esperienza greca insegna, purtroppo, che molte illusioni riformistiche circa la possibilità di cambiare rotta con metodo negoziale rispetto alle politiche di austerità si scontrano con una egemonia di pensiero economico liberista, legata a doppio filo ad interessi politici, economici ed anche più banalmente elettorali, delle destre ordoliberiste nordiche, legate all’area economica tedesca. 
Tutto ciò ci deve condurre, quindi, per sano realismo politico, a farci trovare pronti nel caso in cui la nostra proposta “ideale”, di rafforzamento del processo di integrazione politica, democratica e sociale europea venga respinta.
Prima, tuttavia, di rinunciare a decenni di sforzi per costruire forme di cooperazione europea cercheremmo di avanzare una proposta pragmatica, mirata a mantenere un livello minimo di integrazione monetaria, commerciale e politica su scala comunitaria, pur recuperando quei necessari margini di autonomia nazionale nelle politiche monetarie e fiscali, senza i quali l’area-euro continuerà, in futuro, a caratterizzarsi per processi di disgregazione sociale, di deflazione e di stagnazione della crescita. Si tratterebbe cioè di una strategia di salvataggio dell’Europa da sé stessa. Una strategia che sia basata su due gambe, da negoziare contemporaneamente:
a) La riconquista di un certo spazio di sovranità delle politiche monetarie, sia pur nel quadro formale della permanenza nell’euro e nella Unione Europea;
b) La riforma radicale dei Trattati europei inscritti nel Patto di stabilità e crescita (al netto di alcuni specifici aspetti, come la trasparenza statistica, che rimarrebbero validi). 
Per il punto a) si propone di utilizzare il sistema del bancor e della clearing union proposto da Keynes (1944): trasformare l’euro in una unità di regolamentazione degli scambi internazionali fra gli Stati membri, che per gli scambi interni utilizzerebbero le loro valute interne, emesse dalle Banche Centrali nazionali ed agganciate all’euro da una parità centrale, da verificare su base annuale, con margini di oscillazione di almeno il 25% verso l’alto e verso il basso . La regola di creazione di massa monetaria interna delle singole valute nazionali sarebbe agganciata ad un target inflazionistico, onde evitare la riproduzione di pericolose divergenze inflazionistiche. Tale target verrebbe fissato in modo flessibile, aumentando nelle fasi cicliche negative e riducendosi in quelle espansive. L’attuale sistema di compensazioni dei pagamenti intra-euro verrebbe sostituito da una Camera di Compensazione così funzionante:
- In fase di partenza, per consentire agli stati membri di effettuare i pagamenti degli scambi esteri, ogni membro riceverebbe una riserva iniziale di euro, pari alla media aritmetica del valore dei flussi di import-export degli ultimi anni. Tale riserva iniziale sarebbe “intangibile”, nel senso che non potrebbe essere utilizzabile per fare politiche economiche interne, in virtù di specifici meccanismi di infrazione;
- Gli squilibri derivanti da disavanzi delle partite correnti di singoli Stati membri verrebbero affrontati con la svalutazione del tasso di cambio entro i margini consentiti e, ove insufficienti, da un riallineamento della parità centrale con l’euro;
- I Paesi cronicamente eccedentari che non volessero utilizzare il loro surplus per alimentare la domanda interna o effettuare investimenti in altri Stati dell’area-euro verrebbero sottoposti ad un obbligo di riserva temporanea degli euro incassati a seguito del surplus commerciale, incentivandoli, così, a ridurre il surplus stesso con politiche di incentivo alla domanda interna. 
Non riteniamo, tuttavia, che la mera questione monetaria risolva tutti i problemi dell’Unione Europea.
Occorre infatti affrontare con decisione la riforma dei Trattati Europei, per negoziare, almeno, i seguenti elementi:
- Un piano di investimenti pubblici serio, non cioè basato su illusori moltiplicatori di spesa privata, come il piano-Juncker, , senza alcun ancoraggio a pretese di “riforme strutturali” neoliberiste.
- Regolamentazione a livello europeo dei mercati finanziari. 
- introduzione di un “Social Pact”, che includa, in modo non sostitutivo alle normative nazionali più generose, una indennità di disoccupazione comune, un salario minimo europeo (commisurato al mercato del lavoro nazionale), standard minimi in termini di protezione dell’impiego e di sicurezza del lavoro. Il “Social Pact” deve fissare obiettivi di occupazione e inclusione sociale, che devono divenire tanto cogenti quanto quelli fiscali. 
- eliminazione del vincolo del bilancio nazionale in pareggio strutturale o, quantomeno, rinegoziazione del calcolo effettuato dalla Commissione Europea per la stima della componente ciclica del disavanzo. 
Evidentemente, se, oltre alla prima proposta di “balzo in avanti” verso un’Europa politica e solidale, anche questa seconda proposta mirata a preservare un vincolo associativo comunitario minimo fosse respinta, non rimarrebbe che la strada della fuoriuscita ordinata dall’euro. L’esperienza di Syriza ci dice che, per la finalità riformistica di modificare i Trattati e la direzione delle politiche economiche europee, occorre dotarsi di quello che viene comunemente chiamato il Piano B: un piano realistico ed articolato di fuoriuscita ordinata dall’area euro, che contempli almeno le seguenti previsioni programmatiche, effettivamente attivabili qualora i negoziati non andassero a buon fine. Tali elementi minimi dovrebbero contemplare:
- Misure amministrative di blocco delle fuoriuscite di capitali, da imporre comunque, già nella fase negoziale, sospendendo in via cautelativa ed eccezionale le regole dei Trattati sulla libertà di movimento dei capitali;
- Un parziale default “gestito” del debito pubblico, che effettui un haircut selettivo nei confronti delle categorie di creditori, offrendo comunque una varietà di possibili opzioni di rimborso dilazionato o ridotto, onde evitare vicende “argentine”;
- Un piano di nazionalizzazione e ricapitalizzazione delle banche di interesse sistemico;
- Il ripristino di un meccanismo di indicizzazione dei salari e delle pensioni all’inflazione, nella previsione di uno shock inflazionistico da svalutazione;
- La previsione di un piano di emergenza per la fornitura di beni e servizi di prima necessità alla popolazione, ivi compresa la previsione di controlli amministrativi sui prezzi dei generi essenziali.
Come ammettono onestamente tutti sostenitori razionali dell’uscita dall’euro si tratterebbe sicuramente di un percorso difficile, ma l’alternativa al rifiuto delle proposte precedenti, restando nell’euro, sarebbe solo un soffocamento progressivo del nostro paese, una ulteriore regressione economica, sociale e civile, oltre ai gravi prezzi che già stiamo pagando in termini di disoccupazione, smantellamento del welfare e dei diritti sociali. Non si tratta di scegliere fra una soluzione tranquilla e una pericolosa, ma tra un lento suicidio e una via, per quanto difficile, di liberazione.

Fonte: MicroMega online

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