La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 5 settembre 2015

Palmira e le altre in ostaggio

di Valentina Porcheddu
Maa­moun Abdul­ka­rim è uno stu­dioso di archeo­lo­gia romana e pro­fes­sore all’Università di Dama­sco, dove – dal 2009 al 2012 – è stato a capo del Dipar­ti­mento di Anti­chità. Nel 2012, col pre­ci­pi­tare della crisi siriana, è stato nomi­nato diret­tore gene­rale delle Anti­chità e dei Musei, ruolo che rico­pre a tutt’oggi.
Nel 2014, per il suo impe­gno nella sal­va­guar­dia del patri­mo­nio siriano, l’Unesco gli ha con­fe­rito il pre­sti­gioso Cul­tu­ral Heri­tage Rescue Prize. «Appena assunto l’incarico, che svolgo senza retri­bu­zione alcuna, ho prov­ve­duto a chiu­dere i musei e a tra­sfe­rire le col­le­zioni in luo­ghi sicuri – ci dice al tele­fono da Dama­sco – . Que­sto piano ha per­messo di por­tare in salvo più di tre­cen­to­mila oggetti, che rap­pre­sen­tano un secolo di ricer­che effet­tuate da mis­sioni archeo­lo­gi­che siriane ma anche ita­liane, tede­sche, fran­cesi, inglesi e giap­po­nesi. Restare in Siria per difen­dere il patri­mo­nio è stata una sfida, che ho accet­tato per­ché sup­por­tato da molti amici e soprat­tutto da tanti fra i miei ex-studenti che sono dive­nuti ora col­le­ghi. Dirigo due­mi­la­cin­que­cento fun­zio­nari e il nostro obiet­tivo è non solo di sal­vare un patri­mo­nio ric­chis­simo ma anche di docu­men­tarlo.
Ad esem­pio, abbiamo fatto due­cen­to­mila nuove foto dei reperti e stiamo pro­ce­dendo alla digi­ta­liz­za­zione degli archivi. Parte del nostro impe­gno è stato rivolto, inol­tre, alla sen­si­bi­liz­za­zione della popo­la­zione locale, al fine di spro­narla a pro­teg­gere l’eredità comune da van­dali e ladri, supe­rando le dif­fe­renze e la con­trap­po­si­zione lea­li­sti / oppo­si­tori. La domanda che ci si deve porre, infatti, è come con­tri­buire a sal­vare il nostro patri­mo­nio per­ché la poli­tica cam­bia ma i danni restano per le gene­ra­zioni future».
Dopo la distru­zione dei tem­pli di Baal­sha­min e Bêl, Pal­mira è stata nuo­va­mente col­pita. Sei tombe fune­ra­rie del tipo a torre sono state abbat­tute. Sem­bre­rebbe che le mili­zie dello Stato Isla­mico non temano solo i «falsi» idoli ma anche i morti che ven­gono dal pas­sato. In assenza di inter­venti, cosa dob­biamo aspet­tarci?
"Sono pes­si­mi­sta. Di que­sto passo, faranno esplo­dere tutto il sito. I mili­ziani hanno tra­sfor­mato il museo archeo­lo­gico in pri­gione e tri­bu­nale. Hanno con­cesso per­messi per scavi clan­de­stini, che sono ini­ziati un mese fa. La città è in ostag­gio e se resta nelle loro mani la per­de­remo. Abbiamo tra­sfe­rito le sta­tue prima che, nel mag­gio scorso, lo Stato Isla­mico ne pren­desse pos­sesso e tre col­le­ghi sono stati feriti durante le ope­ra­zioni. Siamo con­tenti di aver almeno sal­vato pre­ziose testi­mo­nianze dell’arte pal­mi­rena per­ché avreb­bero distrutto o ven­duto tutto. Resta il rim­pianto per i monu­menti: nell’impossibilità di recarci sul sito, non sap­piamo ancora se – dopo le esplo­sioni – soprav­vi­vano ele­menti archi­tet­to­nici che ci con­sen­tano, un giorno, di rico­struire i tem­pli. Aver accet­tato che i jiha­di­sti agis­sero indi­stur­bati è una scon­fitta per la civiltà moderna."
Il 18 ago­sto, Kha­led As’ad, ex-direttore del sito e del museo di Pal­mira, è stato bar­ba­ra­mente ucciso. Que­sto tra­gico evento non è stato sce­vro da stru­men­ta­liz­za­zioni e pro­cessi di «eroiz­za­zione». Come vuole ricor­dare il suo col­lega?
"Mal­grado fosse in pen­sione, As’ad lavo­rava alla Dire­zione Gene­rale come esperto; le sue immense cono­scenze erano utili soprat­tutto per l’expertise sugli oggetti per­ché era in grado di sta­bi­lire quali – fra i reperti inter­cet­tati dalla poli­zia – fos­sero ori­gi­nali. Lo avevo avvi­sato del rischio che cor­reva nel restare a Pal­mira ma non mi ha dato retta. Era nato accanto al tem­pio di Bêl e diceva che non gli restava più niente da per­dere nella vita. Il suo assas­si­nio è stato una ven­detta ma anche un mes­sag­gio volto a ter­ro­riz­zare la popo­la­zione di Tad­mor. Kha­led non era solo un archeo­logo ma anche un uomo molto rispet­tato in città. Cin­quanta fun­zio­nari della Dire­zione Gene­rale delle Anti­chità sono ancora in ser­vi­zio a Pal­mira, ma in incognito."
Finora come si è mani­fe­stato il soste­gno della comu­nità scien­ti­fica inter­na­zio­nale nei suoi con­fronti?
"Mi duole dire che, nel 2012, io e i miei col­le­ghi siamo stati attac­cati per­ché con­si­de­rati come un’emanazione del Regime. È vero, la Dire­zione delle Anti­chità è un’istituzione pub­blica, che dipende dallo Stato. Ma io non sono un poli­tico, sono un fun­zio­na­rio e m’inquieta il fatto che alcuni paesi si rifiu­tino di col­la­bo­rare o sco­rag­gino i loro stu­diosi ad avere con­tatti con noi a causa delle dif­fe­renti posi­zioni poli­ti­che. Essere con­tro il governo siriano non dovrebbe signi­fi­care essere, a priori, anche con­tro il popolo siriano per­ché una simile atti­tu­dine ha delle con­se­guenze nega­tive sulla sal­va­guar­dia del patri­mo­nio. Tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014 l’Unione Euro­pea ha lan­ciato un pro­gramma di coo­pe­ra­zione da due milioni di euro. Tra­mite que­sto pro­getto, una cin­quan­tina di fun­zio­nari siriani sono stati accolti presso la sede Une­sco di Bei­rut. Alcuni paesi, come l’Italia – che ha dato un grande con­tri­buto alla sto­ria delle ricer­che in Siria – hanno mostrato fedeltà ma man­cano azioni con­crete sul ter­reno. La comu­nità inter­na­zio­nale tace e noi abbiamo urgen­te­mente biso­gno di soste­gno per­ché non sap­piamo per quanto tempo le col­le­zioni potranno restare in salvo e fin quando resisteremo."
Avete messo in sicu­rezza i reperti che erano custo­diti nei musei, ma ce ne sono altre migliaia che sono entrati nel mer­cato ille­gale in con­se­guenza di scavi clan­de­stini. I siti restano espo­sti a deva­sta­zioni e sac­cheggi. Qual è il bilan­cio attuale?
"In Siria ci sono die­ci­mila siti. Migliaia ven­gono pro­tetti dalla popo­la­zione locale ma tre­cento hanno subìto finora dan­neg­gia­menti di diverso livello. Una prima cate­go­ria di danni è quella che deriva dagli affron­ta­menti di guerra, come ad Aleppo; poi ci sono le ragioni ideo­lo­gi­che, che hanno por­tato nelle regioni con­trol­late dallo Stato Isla­mico alla distru­zione di impor­tanti monu­menti di Pal­mira ma anche di mau­so­lei isla­mici e mona­steri cri­stiani. Un cen­ti­naio di siti sono quo­ti­dia­na­mente minac­ciati da scavi clan­de­stini, e que­sto suc­cede anche nei ter­ri­tori dove l’Isis non è arri­vato. La man­canza di un’autorità cen­trale, inol­tre, favo­ri­sce la spe­cu­la­zione edi­li­zia a ridosso delle zone archeo­lo­gi­che. Ad Aleppo sono stati dan­neg­giati due­cen­to­cin­quanta edi­fici sto­rici, senza con­tare i suq, dove mille bou­ti­ques sono andate a fuoco."
Che noti­zie può darci di Bosra e degli altri siti archeo­lo­gici in peri­colo?
"Bosra è sotto il con­trollo dell’esercito, abbiamo pre­ser­vato sta­tue e mosaici e di recente è stato nomi­nato un nuovo diret­tore. Il governo non c’è, ma la popo­la­zione sì. È un esem­pio ben riu­scito di coo­pe­ra­zione, che vogliamo espan­dere nel Nord della Siria. Al con­fine con la Tur­chia, ci sono inol­tre dei siti pro­tetti dai com­bat­tenti curdi. Nelle regioni sotto il con­trollo dell’Isis non c’è nulla da fare. A Mari e Dura Euro­pos ven­gono usati mezzi mec­ca­nici pesanti che hanno già cau­sato deva­sta­zioni irre­ver­si­bili. Pur­troppo que­ste noti­zie non fanno scal­pore per­ché non tutti i siti sono cono­sciuti come Pal­mira né hanno lo stesso impatto emo­tivo sulla gente."
Da quando le distru­zioni nei siti archeo­lo­gici hanno avuto un grande risalto sulla stampa, molte voci si sono levate per con­te­stare l’eccessiva atten­zione rivolta alle rovine rispetto ai mas­sa­cri dei civili. Cosa pensa al riguardo?
"C’è una rispo­sta in un certo senso ita­liana a que­sta domanda. Nel 2014, Fran­ce­sco Rutelli – il quale pre­siede l’Associazione Prio­rità Cul­tura – lan­ciò, in col­la­bo­ra­zione con il decano degli orien­ta­li­sti ita­liani Paolo Mat­thiae, una cam­pa­gna che s’intitolava «La vit­tima dimen­ti­cata», rife­ren­dosi con quest’espressione al patri­mo­nio siriano che scom­pa­riva nel silen­zio. È vero, i diritti umani sono prio­ri­tari. Io stesso temo per la mia vita e quella dei miei fami­liari. Ma noi archeo­logi non siamo dei poli­tici. Il nostro com­pito è di pro­teg­gere e difen­dere il patri­mo­nio, la nostra è una bat­ta­glia cul­tu­rale. Se ci tiriamo indie­tro, qual­cuno un giorno ci rim­pro­ve­rerà di esser venuti meno al nostro dovere. Gli inter­venti di forza e le nego­zia­zioni di pace spet­tano ai governi."

Fonte: il manifesto

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