La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 settembre 2015

Energia, Eni ed Egitto: Zhor ci salverà?

di Antonio Tricarico
La sco­perta del gia­ci­mento gigante di Zohr 1X al largo delle coste egi­ziane nel Mar Medi­ter­ra­neo da parte dell’Eni ha sca­te­nato un grande giu­bilo nella sede del cane a sei zampe e nel mondo poli­tico, Renzi com­preso, corso a tele­fo­nare al «gol­pi­sta» al-Sisi per sot­to­li­neare l’importanza della sco­perta. A fronte di un balzo del prezzo del gas dell’un per cento subito dopo l’annuncio, in tanti si sono chie­sti cosa cam­bierà nel deli­cato scac­chiere ener­ge­tico medio­rien­tale ed europeo.
Che Clau­dio Descalzi, ad di Eni, esulti, è abba­stanza scon­tato. La sco­perta avrà un impatto posi­tivo anche sull’utile del gruppo. L’Eni è già il prin­ci­pale pro­dut­tore in Egitto e gode quindi, anche per motivi sto­rici, di una rela­zione pri­vi­le­giata con la diri­genza del paese. Ma il fatto che l’Eni diver­si­fi­chi le sue fonti e fac­cia più pro­fitti non signi­fica neces­sa­ria­mente che l’Italia ne bene­fi­cerà. In molti è bale­nata l’idea che con que­ste nuove sco­perte — per altro l’Eni sta svi­lup­pando un altro impor­tante gia­ci­mento di gas in Mozam­bico — il nostro paese si può pro­gres­si­va­mente eman­ci­pare dagli import dalla Rus­sia, e magari ridurre la dipen­denza da altri stati meno sta­bili del Medi­ter­ra­neo, vedi la Libia.
Ma il gioco non è così sem­plice. Dovrebbe averlo inse­gnato il post-sbornia Kasha­gan, dove a dicias­sette anni dalla sco­perta l’Eni (e il governo kazako) ancora atten­dono di vedere gas e petro­lio scor­rere, men­tre il gia­ci­mento è già pas­sato alla sto­ria come Cash-All-Gone, in un gioco di parole che da solo descrive un inve­sti­mento di oltre 43 miliardi ancora non produttivo.
Resta da vedere dove l’Egitto vorrà espor­tare in caso una sua ecce­denza del nuovo gia­ci­mento e quali rotte sareb­bero a dispo­si­zione. Si pensi che il gasdotto che col­lega l’Egitto a Israele tra­mite l’agitato Sinai è ber­sa­glio di atten­tati ter­ro­ri­stici che lo met­tono fuori uso. Il sogno di avere un gasdotto ad anello in tutto il medi­ter­ra­neo (sponda sud e est fino alla Tur­chia), dopo diversi decenni di pro­getti infrut­tuosi, resta un mirag­gio. Allo stesso tempo viviamo il para­dosso che, in nome della diver­si­fi­ca­zione delle fonti di approv­vi­gio­na­mento per aumen­tare la sicu­rezza ener­ge­tica euro­pea, si stanno pia­ni­fi­cando nume­rose nuove infra­strut­ture di con­nes­sione ben oltre le effet­tive necessità.
Si pensi al con­te­stato gasdotto Tap, che dovrebbe por­tare il gas azero dalla Tur­chia fino al Salento — per buona pace della bel­lezza delle coste pugliesi. La Banca euro­pea per gli inve­sti­menti è pronta a pre­stare ben due miliardi di euro di soldi pub­blici. Ma in realtà il Tap por­te­rebbe una quota limi­tata di gas rispetto al South Stream dalla Rus­sia alla Bul­ga­ria e poi all’Europa, recen­te­mente abor­tito dopo la crisi con la Rus­sia. Inol­tre tutte le pre­vi­sioni sui con­sumi di gas in Europa al 2050 ci dicono che in realtà le infra­strut­ture esi­stenti sono suf­fi­cienti per sod­di­sfare i bisogni.
E allora per­ché tanta eufo­ria poli­tica di Renzi e e com­pa­gni? L’Italia sogna di diven­tare l’hub ener­ge­tico del Medi­ter­ra­neo assi­cu­rando pro­fitti ai grandi attori ener­ge­tici, Eni in pri­mis, tra­mite un mer­cato del gas libe­ra­liz­zato e finan­zia­riz­zato. Poco importa se per rag­giun­gere l’obiettivo biso­gna strin­gere accordi con governi dit­ta­to­riali, quali quello azero e lo stesso al-Sisi in nome dell’imperativo di sot­trarsi alle grin­fie del despota Putin.
Senza par­lare dell’impatto cli­ma­tico che avrà tutto que­sto gas una volta bru­ciato, in Ita­lia e altrove. D’altronde in pre­pa­ra­zione della con­fe­renza sul clima di dicem­bre a Parigi Renzi è stato chiaro: dimen­ti­ca­tevi che smet­tiamo di bru­ciare petro­lio e gas. E allora che ci salvi il nuovo dio del mare Zhor…
Fonte: Re:Common

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