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di Antonio Sciotto
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha cercato di
rassicurare: «Le nuove norme non violano la privacy dei
lavoratori». Ma opposizione e sindacati si dicono preoccupati.
Ieri sono stati varati dal consiglio dei ministri gli ultimi quattro
decreti attuativi del Jobs Act, e tra le misure approvate ci sono
anche quelle sui controlli a distanza. Senza correttivi: il governo
non si è fatto influenzare dalle critiche mosse dai sindacati, né
ha voluto recepire, come era invece sembrato la settimana scorsa,
gli emendamenti suggeriti dalla Commissione Lavoro della Camera.
E così, come in tante altre occasioni, è andato dritto per la sua
strada.
In sostanza, le aziende potranno assegnare ai lavoratori
strumenti come pc, tablet e cellulari senza che sia necessario un
accordo sindacale o una autorizzazione del ministero, richiesto
invece per installare telecamere. Ma sarà sempre obbligatorio
informare preventivamente e in maniera adeguata gli stessi
lavoratori sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione
dei controlli, che devono comunque sempre avvenire nel rispetto
delle norme sulla privacy. In base a queste due condizioni, le
informazioni raccolte «sono utilizzabili a tutti i fini connessi
al rapporto di lavoro», quindi potenzialmente anche a fini
disciplinari.
I decreti approvati ieri sono quindi quattro, e vanno
a completare la riforma che ha avuto il suo battesimo il 16
dicembre 2014 (in tutto otto decreti): sono già stati introdotti il
contratto a tutele crescenti (che manda il soffitta l’articolo 18,
sostituendo il reintegro con un risarcimento monetario); la nuova
indennità di disoccupazione (detta Naspi), affiancata dalla
Dis-Coll (per i collaboratori) e dalla Asdi (per chi ha già
esaurito la Naspi); un allungamento dei congedi parentali e una
stretta sui contratti cocoprò, ma senza però eliminarli del tutto.
Con i decreti di ieri, si è riformata la cassa integrazione: limitandone la durata, sia per l’ordinaria che per la straordinaria, a 24 mesi in un quinquennio mobile. Questo tetto può salire a 36 mesi con il ricorso esclusivo ai contratti di solidarietà (24 mesi di solidarietà e poi 12 di cig). Allo stesso tempo, gli ammortizzatori sociali sono stati estesi alle piccole imprese oltre i 5 dipendenti e cioè a 1,4 milioni di lavoratori prima esclusi.
Con i decreti di ieri, si è riformata la cassa integrazione: limitandone la durata, sia per l’ordinaria che per la straordinaria, a 24 mesi in un quinquennio mobile. Questo tetto può salire a 36 mesi con il ricorso esclusivo ai contratti di solidarietà (24 mesi di solidarietà e poi 12 di cig). Allo stesso tempo, gli ammortizzatori sociali sono stati estesi alle piccole imprese oltre i 5 dipendenti e cioè a 1,4 milioni di lavoratori prima esclusi.
Inoltre, si è introdotto un meccanismo di «bonus-malus»: più le
imprese faranno ricorso agli ammortizzatori, più dovranno pagare al
sistema previdenziale. Ancora, si è data una nuova regolazione
contro le cosiddette «dimissioni in bianco» (quelle imposte
illegalmente al momento dell’assunzione, mediante la firma di un
foglio che poi resta a disposizione dell’impresa): le dimissioni
andranno fatte in via telematica su appositi moduli resi
disponibili nel sito del ministero. Moduli che potranno essere
trasmessi dal lavoratore anche tramite i patronati, i sindacati,
gli enti bilaterali e le commissioni di certificazione. Quanto
ai lavoratori disabili, le aziende potranno assumerli mediante la
richiesta nominativa, ma non effettuare l’assunzione diretta
(potranno essere assunti cioè solo disabili inseriti nelle apposite
liste). Infine, si è dato il via all’Anpal, l’Agenzia nazionale per le
politiche attive del lavoro: ma sarà attiva solo da inizio 2016. Ed
è stato varato l’Ispettorato nazionale del Lavoro, che dovrebbe
unificare, sotto la regia del ministero del Lavoro, tutte le
attività ispettive, incluse quelle di Inps e Inail.
Toni di trionfo da parte del ministro Poletti, e dai renziani.
Secondo il titolare del Lavoro «il governo ha scelto di mettere al
centro il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti», e
«molte centinaia di migliaia di precari ora hanno un contratto
stabile». E sui controlli a distanza: «Abbiamo colmato un vuoto non
sugli impianti fissi ma sugli strumenti in dotazione ai lavoratori.
Oggi abbiamo norme chiare e definite nel rispetto della privacy». Di
avviso contrario le opposizioni: per Renato Brunetta (Forza
Italia) «il Jobs Act non ha creato nessun posto, sono
trasformazioni di contratti a termine». Per Arturo Scotto (Sel) «i
lavoratori adesso potranno essere spiati». Per l’M5S si tratta di «un
attacco che svaluta il lavoro». E di «svalutazione» parla anche
Stefano Fassina, ex Pd. Sui telecontrolli si è fatta una «scelta
grave» per Cesare Damiano (Pd), presidente della Commissione Lavoro
della Camera: «Non sarebbe la prima volta che viene disatteso dal
consiglio dei ministri un accordo intervenuto con il Parlamento».
La Fiom, a cominciare è quella di Modena, lancia il «D-day» contro
il Jobs Act: il 9 settembre le Rsu di 250 aziende metalmeccaniche
manderanno in contemporanea ai titolari una lettera di diffida
ad applicare le nuove norme. La Uil nazionale teme che «sui controlli
aumenterà il contenzioso», e quindi annuncia che userà «la
contrattazione nazionale e di secondo livello per recuperare
i diritti ridimensionati».
Fonte: il manifesto
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