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di Matteo Bortolon
Luglio 2015. Si avvicinano alcune le scadenze per il pagamento
dei debiti dello Stato. Standard & Poor’s ha appena abbassato il
rating del paese, ed il default è quasi certo. Il direttore del
bilancio non pare particolarmente rassicurante: «La priorità
del governo è quella di fornire servizi pubblici, e non di
effettuare pagamenti per ripagare i creditori; conosciamo tutti la
difficile situazione in cui ci troviamo in termini di flussi di
denaro, e abbiamo deciso in che modo gestire questi flussi,
considerando che la nostra priorità è quella di fornire servizi ai
cittadini: salute, sicurezza e istruzione».
Non siamo in Grecia – dove le cose stavano andando un po’ diversamente – ma al di là dell’Atlantico. A Porto Rico.
Pochi in Europa hanno fatto attenzione alle vicende del piccolo paese caraibico. Non si tratta di uno Stato sovrano, ma di un territorio associato direttamente agli Usa, con un passato di colonialismo che pesa ancora, in cammino per diventare uno stato della Federazione. Ma non ancora giunto a tale passo.
La sua posizione
costituzionale è difficile da capire; non è uno Stato sovrano,
e quindi non può accedere ai salvataggi del Fondo Monetario
internazionale. Ma non essendo ancora pienamente incorporato
negli Stati uniti non può nemmeno attivare le procedure di
fallimento come hanno fatto enti locali come Detroit o stati come la
California.Pochi in Europa hanno fatto attenzione alle vicende del piccolo paese caraibico. Non si tratta di uno Stato sovrano, ma di un territorio associato direttamente agli Usa, con un passato di colonialismo che pesa ancora, in cammino per diventare uno stato della Federazione. Ma non ancora giunto a tale passo.
Essendo la sua economia in recessione da molti anni, la piccola
isola (con 3,6 milioni di abitanti) ha affrontato un indebitamento
crescente, fino a questa estate dove il capo del Governo è comparso
in Tv il 29 luglio dichiarando che la rata dei primi di agosto non
sarebbe stata pagata: «Il debito è impagabile». Lo stesso giorno le
autorità hanno diffuso un rapporto scritto da tre economisti
ex-Fmi le cui ricette non splendono proprio di ardore
rivoluzionario già dai titoli dei paragrafi: riforme strutturali,
riforme fiscali e debito pubblico, credibilità istituzionale.
Solo che al secondo punto compare il termine ristrutturazione del
debito. In altre parole, un taglio: i creditori non rivedranno tutti
i loro soldi.
Fra essi c’è qualcuno particolarmente poco raccomandabile.
Circa il 20% (secondo Fortune addirittura il 50%) del debito
è detenuto dai temuti Hedge Fund, più noti come fondi-avvoltoio: la
punta di diamante della più rapace finanziarizzazione. Questi si
sono mossi molto velocemente, minacciando azioni legali in caso di
ristrutturazione, (assoldando uno dei più temibili uffici legali di
Washington, quello che ha ottenuto la condanna dell’Argentina),
adoperandosi per bloccare il ricorso a procedure di fallimento
e pagando 3 economisti (pure loro del FMI…) per proporre un piano di
pagamento. Questo, comicamente intitolato Per Porto Rico C’è un
Via Migliore, propone un ulteriore indebitamento e delle misure di
austerità schiaccianti: quando nell’isola il 56% dei bambini vive in
povertà si stigmatiza l’eccesso di spesa per la scuola… Quando le
autorità ne hanno già chiuse 100.
I fondi-avvoltoio si sono consorziati in due gruppi che
perseguono strategie differenti anche se convergenti; regna una
certa opacità, non si conosce per certo nemmeno la lista completa di
essi. Ma si sa che diversi sono coinvolti nel debito greco e lo erano
anche in quello argentino (dal quale uno di essi ha ricavato un
guadagno del 1380% (sic!) sull’investimento iniziale. Inoltre
i fondi-avvoltoio stanno usando il Porto Rico come paradisco fiscale:
dopo aver speculato sulle difficoltà di bilancio e spingendo per
la stretta austeritaria, ne sfruttano la bassa tassazione. Anche
con Freddy (Krueger) il confronto appare impari.
Fonte: il manifesto
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