La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 5 settembre 2015

Una Grecia oltre Atlantico

di Matteo Bortolon
Luglio 2015. Si avvi­ci­nano alcune le sca­denze per il paga­mento dei debiti dello Stato. Stan­dard & Poor’s ha appena abbas­sato il rating del paese, ed il default è quasi certo. Il diret­tore del bilan­cio non pare par­ti­co­lar­mente ras­si­cu­rante: «La prio­rità del governo è quella di for­nire ser­vizi pub­blici, e non di effet­tuare paga­menti per ripa­gare i cre­di­tori; cono­sciamo tutti la dif­fi­cile situa­zione in cui ci tro­viamo in ter­mini di flussi di denaro, e abbiamo deciso in che modo gestire que­sti flussi, con­si­de­rando che la nostra prio­rità è quella di for­nire ser­vizi ai cit­ta­dini: salute, sicu­rezza e istruzione».
Non siamo in Gre­cia – dove le cose sta­vano andando un po’ diver­sa­mente – ma al di là dell’Atlantico. A Porto Rico.
Pochi in Europa hanno fatto atten­zione alle vicende del pic­colo paese carai­bico. Non si tratta di uno Stato sovrano, ma di un ter­ri­to­rio asso­ciato diret­ta­mente agli Usa, con un pas­sato di colo­nia­li­smo che pesa ancora, in cam­mino per diven­tare uno stato della Fede­ra­zione. Ma non ancora giunto a tale passo.
La sua posi­zione costi­tu­zio­nale è dif­fi­cile da capire; non è uno Stato sovrano, e quindi non può acce­dere ai sal­va­taggi del Fondo Mone­ta­rio inter­na­zio­nale. Ma non essendo ancora pie­na­mente incor­po­rato negli Stati uniti non può nem­meno atti­vare le pro­ce­dure di fal­li­mento come hanno fatto enti locali come Detroit o stati come la California.
Essendo la sua eco­no­mia in reces­sione da molti anni, la pic­cola isola (con 3,6 milioni di abi­tanti) ha affron­tato un inde­bi­ta­mento cre­scente, fino a que­sta estate dove il capo del Governo è com­parso in Tv il 29 luglio dichia­rando che la rata dei primi di ago­sto non sarebbe stata pagata: «Il debito è impa­ga­bile». Lo stesso giorno le auto­rità hanno dif­fuso un rap­porto scritto da tre eco­no­mi­sti ex-Fmi le cui ricette non splen­dono pro­prio di ardore rivo­lu­zio­na­rio già dai titoli dei para­grafi: riforme strut­tu­rali, riforme fiscali e debito pub­blico, cre­di­bi­lità isti­tu­zio­nale. Solo che al secondo punto com­pare il ter­mine ristrut­tu­ra­zione del debito. In altre parole, un taglio: i cre­di­tori non rive­dranno tutti i loro soldi.
Fra essi c’è qual­cuno par­ti­co­lar­mente poco raccomandabile.
Circa il 20% (secondo For­tune addi­rit­tura il 50%) del debito è dete­nuto dai temuti Hedge Fund, più noti come fondi-avvoltoio: la punta di dia­mante della più rapace finan­zia­riz­za­zione. Que­sti si sono mossi molto velo­ce­mente, minac­ciando azioni legali in caso di ristrut­tu­ra­zione, (assol­dando uno dei più temi­bili uffici legali di Washing­ton, quello che ha otte­nuto la con­danna dell’Argentina), ado­pe­ran­dosi per bloc­care il ricorso a pro­ce­dure di fal­li­mento e pagando 3 eco­no­mi­sti (pure loro del FMI…) per pro­porre un piano di paga­mento. Que­sto, comi­ca­mente inti­to­lato Per Porto Rico C’è un Via Migliore, pro­pone un ulte­riore inde­bi­ta­mento e delle misure di auste­rità schiac­cianti: quando nell’isola il 56% dei bam­bini vive in povertà si stig­ma­tiza l’eccesso di spesa per la scuola… Quando le auto­rità ne hanno già chiuse 100.
I fondi-avvoltoio si sono con­sor­ziati in due gruppi che per­se­guono stra­te­gie dif­fe­renti anche se con­ver­genti; regna una certa opa­cità, non si cono­sce per certo nem­meno la lista com­pleta di essi. Ma si sa che diversi sono coin­volti nel debito greco e lo erano anche in quello argen­tino (dal quale uno di essi ha rica­vato un gua­da­gno del 1380% (sic!) sull’investimento ini­ziale. Inol­tre i fondi-avvoltoio stanno usando il Porto Rico come para­di­sco fiscale: dopo aver spe­cu­lato sulle dif­fi­coltà di bilan­cio e spin­gendo per la stretta auste­ri­ta­ria, ne sfrut­tano la bassa tas­sa­zione. Anche con Freddy (Krue­ger) il con­fronto appare impari.

Fonte: il manifesto

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