La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 settembre 2015

L’esercito in ritirata incontra un nemico in abiti civili

di Enzo Collotti
Il titolo dell’edizione ita­liana dell’importante libro di Carlo Gen­tile, I cri­mini di guerra tede­schi in Ita­lia 1943–1945 (Einaudi, pp. 580, euro 45) che nella ver­sione ori­gi­nale suona «Wehr­ma­cht e Waffen-SS nella guerra par­ti­giana in Ita­lia», rischia di essere fuor­viante, tanto più difronte allo sforzo di pre­ci­sione con­cet­tuale dell’autore, per­ché non con­sente al let­tore di cogliere l’escalation tra le pur bru­tali misure espres­sive di Kas­sel­ring e i veri e pro­pri cri­mini di cui si resero respon­sa­bili talune unità mili­tari di stanza in Italia.
Carlo Gen­tile è cer­ta­mente con Gerhard Schrei­ber il miglior cono­sci­tore degli archivi tede­schi rela­tivi al periodo dell’occupazione dell’Italia ed è per­tanto più che posi­tivo il fatto che il suo libro sia stato reso acces­si­bile in Ita­lia; la tra­du­zione non facile è gene­ral­mente buona, resta solo da lamen­tare che, come è già acca­duto altre volte nel periodo 1943–45 com­pa­iono sulla scena i sin­daci delle diverse loca­lità citate dall’autore, lad­dove si trat­tava dei pode­stà di marca fasci­sta: un det­ta­glio al quale il tra­dut­tore o quanto meno il com­pe­tente redat­tore einau­diano avrebbe dovuto pre­stare atten­zione, se è vero che basta un det­ta­glio di que­sta natura per decon­te­stua­liz­zare una intera situazione.
Rap­pre­sa­glie quotidiane
Nel set­tan­te­simo anni­ver­sa­rio della Resi­stenza il libro di Gen­tile appare come il con­tro­canto della guerra par­ti­giana: non a caso i fami­ge­rati ordini di Kas­sel­ring risal­gono al giu­gno del 1944, ossia al momento della mas­sima espan­sione della pre­senza par­ti­giana, che sot­to­li­nea come la perio­diz­za­zione dell’occupazione tede­sca oltre ché da l’avanzata anglo-americana lungo la peni­sola vada scan­dita secondo le tappe impo­ste dalla minac­cia par­ti­giana. È merito di Gen­tile ana­liz­zare come alle spalle del fronte di com­bat­ti­mento lungo il quale si distende la vera e pro­pria zona d’operazione il ter­ri­to­rio occu­pato sia gestito da una mol­te­pli­cità di sog­getti – la Wahr­ma­cht, le forze di poli­zia, le Waffen-SS e i reparti di terra della Luft­waffe, un vero e pro­prio eser­cito che non ha cor­ri­spet­tivi in altri ordi­na­menti mili­tari a comin­ciare da quello ita­liano – che danno luogo a una com­pli­cata catena di comando e ripar­ti­zione di competenze.
In que­sta fitta rete di dispo­si­tivi e di dispo­si­zioni, che non di rado si sovrap­pon­gono, Gen­tile cerca di seguire i per­corsi delle diverse unità mili­tari e di attri­buire la respon­sa­bi­lità delle loro azioni a sin­goli pro­ta­go­ni­sti uti­liz­zando gli orga­nici delle for­ma­zioni resti­tuiti dagli archivi ma anche le molte testi­mo­nianze emerse dai pro­cessi cele­brati nei decenni scorsi dalla giu­sti­zia tede­sca ed in anni più recenti anche dalla magi­stra­tura mili­tare ita­liana, che da una ricerca capil­lare come que­sta risulta essere stata più attiva di quanto l’opinione pub­blica può avere percepito.
Come è acca­duto nel resto dell’Europa occu­pata, il feno­meno par­ti­giano si è riper­cosso anche in Ita­lia sull’occupante in primo luogo con un riflesso psi­co­lo­gico gene­rando un senso di gene­rale insi­cu­rezza, la vera e pro­pria arma in più in una con­tesa che sul ter­reno pura­mente mili­tare con le forze della Resi­stenza era per­duta in par­tenza, lad­dove di fatto la loro effi­ca­cia era ampli­fi­cata dal fat­tore della sor­presa e dalla mobi­lità e impre­ve­di­bi­lità delle mosse dei gruppi alla mac­chia. È in que­sto qua­dro che, come sin­te­tizza Gen­tile, «a par­tire dal 1944 le azioni di rap­pre­sa­glia e la messa a morte di par­ti­giani pri­gio­nieri e civili sospetti diven­nero una realtà quo­ti­diana nell’Italia occupata».
Al di là della descri­zione delle ope­ra­zioni anti par­ti­giane e della vio­lenza dif­fusa che esse com­por­ta­vano (si pensi sol­tanto a un det­ta­glio che ancor oggi ci fa venire i bri­vidi al solo ricordo: che cosa signi­fi­ca­vano i rastrel­la­menti, in cui spesso spic­cava la respon­sa­bi­lità dei mili­tari di Salò), Gen­tile pre­sta par­ti­co­lare atten­zione alla natura e alla for­ma­zione delle unità che furono impe­gnate nelle ope­ra­zioni con­tro la Resistenza.
Una vio­lenza senza limiti
Le unità che com­bat­te­rono con con­ti­nuità in Ita­lia furono rela­ti­va­mente poche, fre­quenti furono i tra­sfe­ri­menti e le sosti­tu­zioni, tenendo conto che prima dello sbarco in Nor­man­dia e dopo la riti­rata sul fronte orien­tale, quello ita­liano era per la Wehr­ma­cht il fronte prin­ci­pale per fre­nare l’avanzata degli anglo-americani verso il Reich. Sotto que­sto punto di vista l’autore pre­cisa in quale senso si può con­si­de­rare che le unità impe­gnate nella lotta anti­par­ti­giana adot­tas­sero i metodi della guerra di ster­mi­nio con­dotta nell’Europa orien­tale. Non si trat­tava di unità che pro­ve­ni­vano diret­ta­mente da quel fronte ma del fatto che nella lotta anti par­ti­giana furono adot­tate le dispo­si­zioni dra­co­niane impar­tite nel 1942 da Hitler per la lotta con­tro le bande all’est, senza con­si­de­rare la diver­sità delle situa­zioni. Sicu­ra­mente nel com­por­ta­mento bru­tale delle forze tede­sche quelle dispo­si­zioni che auto­riz­za­vano l’uso della vio­lenza senza limiti alcuni ebbero una loro pre­cisa responsabilità.
Una delle parti più nuove della ricerca di Gen­tile è l’attenzione che egli pre­sta al tipo di per­so­nale di cui si com­po­ne­vano le unità ope­ranti nel tea­tro ita­liano. Se è vero che le mag­giori e peg­giori stragi vanno attri­buite alla SS-Panzer Gre­na­dier Divi­sion «Reichs-fürer-SS» e alla divi­sione «Herman-Göring», Gen­tile non si accon­tenta di sot­to­li­neare il par­ti­co­lare coin­vol­gi­mento ideo­lo­gico degli uomini di que­ste for­ma­zioni, la sua è una inda­gine al limite antro­po­lo­gica che inve­ste l’intero per­corso bio­gra­fico dei pro­ta­go­ni­sti delle for­ma­zioni interessate.
Come è evi­dente, si tratta tra l’altro dell’unico metodo che con­sente di distin­guere il com­por­ta­mento dei diversi sog­getti, al di là della con­si­de­ra­zione che dopo l’8 set­tem­bre del 1943 i sol­dati tede­schi che com­bat­te­vano nell’Italia occu­pata erano sicu­ra­mente ani­mati da sen­ti­menti ostili nei con­fronti della popo­la­zione ita­liana e non sol­tanto dal senso di supe­rio­rità raz­ziale che è stato sot­to­li­neato anche da stu­diosi tede­schi come Schrei­ber e Andrae.
La meti­co­losa ricerca di Gen­tile, men­tre con­sente di evi­tare gene­ra­liz­za­zioni, non fa sconti di nes­sun tipo alla realtà di una situa­zione (quella che a suo tempo Bat­tini e Pez­zino desi­gna­rono come «guerra ai civili») nella quale la popo­la­zione civile era ostag­gio della pro­pria impo­tenza ma anche dell’assenza di qual­siasi istanza pro­tet­tiva; da que­sto punto di vista anche la ricerca di Gen­tile non può che con­fer­mare l’inesistenza della Repub­blica di Salò o addi­rit­tura la pre­senza dei suoi militi tra gli stru­menti della repres­sione tedesca.
Col­pe­voli impuniti
Con­tro ogni deter­mi­ni­smo Gen­tile sta­bi­li­sce un nesso pre­ciso tra la for­ma­zione del per­so­nale e l’origine della vio­lenza che fu dispie­gata non solo con­tro par­ti­giani o sospetti tali ma anche con­tro donne e bam­bini e non solo sulla scia della riti­rata peral­tro inin­ter­rotta da Napoli al nord con la paren­tesi della sosta lungo la linea Gotica.
Le bio­gra­fie delle for­ma­zioni sono sin­te­tiz­zate in quat­tro pro­fili per­so­nali di pro­ta­go­ni­sti di cri­mini: Wal­ter Reder, Max Simon, Anton Gal­ler, Hel­mut Looss, quest’ultimo tra i respon­sa­bili dell’eccidio di Sant’Anna di Staz­zema e della Cer­tosa di Far­neta. Nel dopo­guerra finì la sua car­riera come inse­gnante ele­men­tare nella Bun­de­sre­pu­blik. Scrive Gen­tile: «Loos e Gal­ler sono un esem­pio degli innu­me­re­voli cri­mi­nali nazi­sti usciti illesi dalla guerra e sfug­giti alle san­zioni dell’apparato giu­di­zia­rio». Uno squar­cio sul dopo­guerra con il quale Gen­tile ci ricorda di quanta dene­gata giu­sti­zia sia fatta que­sta sto­ria. Gli «assas­sini sono fra noi» fu il titolo pre­coce di uno dei primi film del dopo­guerra nella Rdt: una sto­ria che attende ancora di essere rac­con­tata in tutta la sua atroce verità.

Fonte: il manifesto

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