La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 5 settembre 2015

Perdonate la povera Eva, anatemi pastorali

di Maria Teresa Busca
Perdono, perdono, perdono, cantava Caterina Caselli circa cinquantanni fa ottenendo un notevole successo. Bene, il tema è sempre attuale, il refrain di questa canzone potrebbe diventare l’inno del giubileo che si sta preparando. Infatti Bergoglio e il suo staff stanno lavorando soprattutto su questo tema. Ma Caterina aveva il grande merito di chiedere perdono per se stessa.
Invece nella lettera che Bergoglio scrive “al venerato fratello Rino Fisichella” riguardo l’indulgenza in occasione del Giubileo straordinario della misericordia c’è un pensiero per tutti i fedeli, ovviamente peccatori, loro, e le indicazioni necessarie per ottenere l’indulgenza giubilare.
Qui viene ricordato che Dio va incontro a tutti “con il volto del Padre che accoglie e perdona, dimenticando completamente il peccato commesso”. Queste bellissime parole dimenticano però che nella vita di tutti i giorni il perdono è opportuno che lo dia chi ha ricevuto l’offesa.
Sarebbe necessario un cammino meno rituale e un approccio meno metafisico per avvicinarsi veramente a chi è bisognoso di misericordia, che non è soltanto chi commette un peccato, ma anche chi da quel peccato ha ricevuto un danno. Come si può pensare che Dio, per i credenti, perdoni e dimentichi il peccato di chi ucciso migliaia di migranti, ovvero di donne, uomini, vecchi e bambini? Quei bambini che foto impietose come la realtà che rappresentano mostrano inanimati sulle spiagge dove avrebbero dovuto giocare e non morire.
Come si può credere che tutti i violentatori di donne e bambini siano perdonati e il loro peccato dimenticato? Come si può non dubitare almeno per un attimo che non basta un anelito di pentimento per ottenere il perdono e la dimenticanza dell’orrore commesso. E le vittime? Dobbiamo dimenticarle in un batter di ciglia? Sì, perché Dio, se fai tre giravolte intorno alla porta giusta perdona e dimentica.
A pensarci bene ci si trova di fronte a una fallacia metafisica. Si confonde il piano del perdono divino, oggetto esclusivamente di fede, con il piano della sofferenza delle vittime.
Anche quella va dimenticata? Nell’Antico Testamento, oggi passato di moda, le vittime avevano diritto di parola, avevano il diritto di chiedere vendetta e di vedere punito il loro carnefice. L’innocenza violata non può cedere il passo al perdono in maniera inopinata. Tra i tanti passi si pensi al Salmo35, 1-3: «Signore, accusa chi mi accusa,/combatti chi mi combatte./Afferra scudo e corazza/e sorgi in mio aiuto./Impugna lancia e scure contro chi mi insegue;/dimmi: “sono io la tua salvezza.”»
E per essere certo di essere ben capito nel suo progetto di assoluzione totale, Bergoglio passa al tema dell’amnistia per quanti sono in carcere, dove i reclusi “ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà”.
Dopo un veloce richiamo alle opere di misericordia spirituale e corporale, che in una lettera sul giubileo della misericordia è perfetto, si passa a parlare di un caso concreto di perdono. Udite, udite, saranno perdonate le donne che hanno abortito e quanti hanno contribuito tecnicamente al misfatto. Tutti i sacerdoti potranno somministrare l’assoluzione senza passare dal Vescovo e/o dal penitenziere per tutta la durata del giubileo.
A Torino, questo era già successo al tempo delle ultime ostensioni della sindone, a Cremona durante le quaresime. Tutti vogliono perdonare Eva. Sembra che sia ancora e sempre la vera peccatrice.
Sta di fatto che mettendo così sovente al centro dell’attenzione l’aborto lo si vuole elevare a simbolo del peccato, infatti la Chiesa ne evidenzia l’impasto tra sesso e omicidio, cosa può esserci di peggio di una donna che esercita liberamente l’attività sessuale e poi sopprime il non desiderato frutto? Tutte le donne in età feconda che si recheranno a un confessionale saranno guardate con sospetto dagli astanti. Pare di udire il mormorio…avrà abortito?…
Bergoglio sembra sicuro di fare un regalo alle infelici desiderose di perdono, dice di averne conosciute tante e di conoscere bene ciò che le ha condizionate. Quindi anche una buona dose di paternalismo fuori luogo. Senza dimenticare che mentre per i carcerati può valere l’equivalenza peccato uguale reato, le donne che abortiscono esercitano un diritto garantito dalla legge.
Al fondo della lettera si trova un riconoscimento indiretto alla Fraternità San Pio X movimento scismatico, meglio noto come i “lefebvriani”, ovvero i seguaci di Marcel Lefebvre fondatore di una comunità divenuta scismatica dal 1988 e scomunicata da quella data fino al 2009, quando il 21 gennaio Benedetto XVI decise di rimette la scomunica ai vescovi auspicando un ritorno alla piena comunione di tutta fraternità. Bergoglio stabilisce infatti che “quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati”.
In questa apologia del perdono c’è spazio per tutti, l’assoluzione è garantita dal pentimento. Ma tutto questo porta a chiedersi che cosa la Chiesa intenda veramente per peccato, confessione e assoluzione.
Nel I e II secolo non esisteva alcuna teologia della penitenza e la prassi veniva esercitata in modo diverso nelle singole chiese. Tra l’altro non erano previste numerose confessioni, dopo la conversione cui seguiva il battesimo non era più concesso peccare.
Soltanto con il passare del tempo l’Autorità Ecclesiastica si dovette arrendere al fatto che anche i battezzati peccavano e dovevano di nuovo confessarsi e essere assolti. Era compito del vescovo confessare e doveva avvenire pubblicamente. Il penitente veniva escluso dalla Chiesa, doveva trovare qualcuno che prendesse a cuore la sua causa e dopo vari passaggi veniva riammesso. Intorno al 600 questo modo cadde in disuso e una nuova forma, importata dai missionari irlandesi, detta prassi penitenziale celtica, di origine non rintracciabile, ne prese il posto.
La confessione divenne privata e ripetibile anche per i peccati mortali. L’alta frequenza delle confessioni richiese che al posto del vescovo intervenissero prevalentemente i preti. Per aiutare il prete nel suo compito valutativo vengono compilati libri penitenziali a modo di tariffari o di prontuari di tasse che tentano di enumerare tutti i possibili peccati (!) con la corrispondente indicazione del genere e della durata delle opere penitenziali richieste. Sparisce il rito penitenziale pubblico e l’azione penitenziale diviene privata e segreta.
È curioso l’altissimo apprezzamento che in questi secoli i fedeli nutrono per la confessione e ciò traspare dal costume di confessarsi, in mancanza del prete, a un amico, al compagno di viaggio o, quando si è soli al cavallo o alla spada.

Fonte: Caratteri liberi

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