La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 3 settembre 2015

Jobs Act: se non è una bolla, sono bollicine

di Aldo Carra
All’indomani dell’approvazione del Jobs Act alcuni auto­re­voli ana­li­sti si erano spinti a pre­ve­dere una “bolla lavoro”, cioè, una impen­nata dell’occupazione per effetto dei con­si­stenti incen­tivi asse­gnati a chi assu­meva col con­tratto a tutele cre­scenti. E sic­come in attesa della nuova legge alcuni impren­di­tori ave­vano rin­viato le assun­zioni neces­sa­rie, quell’attesa non era infondata.
In quella stessa occa­sione il Pre­si­dente del Con­si­glio aveva pro­nun­ciato una frase che la dice lunga sulle sue inten­zioni e sulla sua idea di poli­tica e di eco­no­mia. Aveva detto, rivolto agli impren­di­tori, che lui aveva con­cesso loro tutto quello che ave­vano chie­sto e che, quindi, adesso toc­cava a loro man­te­nere le pro­messe di pro­ce­dere a nuove assunzioni.
L’idea di poli­tica che sta sotto quella frase era la poli­tica come scam­bio: tu mi chiedi di poter avere la mas­sima fles­si­bi­lità della forza lavoro come con­di­zione per inve­stire e cre­scere, io lo fac­cio e adesso mi aspetto che tu fac­cia la tua parte. L’idea di eco­no­mia è quella, forse con­nessa ad una certa con­ce­zione cat­to­lica, che gli impren­di­tori sono ani­mati da buone inten­zioni e che se si da loro fidu­cia essi non esi­te­ranno ad assu­mere. La prima idea non è nuova alla cul­tura cen­tri­sta del nostro paese, la seconda è stata rin­vi­go­rita dai rap­porti anche per­so­nali di Renzi col mondo della finanza e dell’impresa (ultima dimo­stra­zione la pagina appello sul Cor­riere con l’invito ad andare avanti) e asso­mi­glia molto a una idea di eco­no­mia da libro Cuore che sem­bra pre­scin­dere dalle leggi della domanda e dell’offerta, della con­cor­renza e della com­pe­ti­ti­vità, leggi rese sem­pre più dure dalla glo­ba­liz­za­zione dei mercati.
Sulla base di que­ste con­vin­zioni e ipo­tesi nei mesi scorsi, mesi di col­laudo della nuova legi­sla­zione del lavoro, ci si è affan­nati a cer­care nei dati la con­ferma di quelle bislac­che teo­rie e si è fatto di tutto per for­zare i dati fino a toc­care un vero e pro­prio stato di “eufo­ria sta­ti­stica” e a for­nire dati tanto cla­mo­ro­sa­mente falsi da doverli ret­ti­fi­care e cor­reg­gere come veri e pro­pri errori (natu­ral­mente se quell’errore l’avesse fatto l’Istat qual­che pol­trona sarebbe sal­tata o, secondo l’ultima moda, affian­cata da un commissario).
In que­sto dibat­tito tutto poli­ti­ciz­zato e stru­men­ta­liz­zato si è dimen­ti­cato che in effetti alcuni fat­tori, que­sti si capaci di influen­zare l’andamento dell’economia, si sono veri­fi­cati negli ultimi mesi. La sva­lu­ta­zione dell’euro, il crollo del prezzo del petro­lio e le misure atti­vate dalla Bce colQuan­ti­ta­tive Easing sono tre fat­tori straor­di­nari, un colpo di for­tuna impre­ve­di­bile, che avreb­bero dovuto, secondo diverse stime, influire di qual­che punto sulla cre­scita del Pil.
Adesso che sono pas­sati un po’ di mesi si può comin­ciare a trarre un primo, sep­pur prov­vi­so­rio, bilan­cio degli effetti dei fat­tori eso­geni — i tre di cui abbiamo par­lato — e di quelli endo­geni atti­vati dal governo italiano.
Gli ultimi dati di due giorni fa — fonte Istat — segna­lano 235 mila occu­pati in più rispetto a Luglio 2014 e 181 mila nel periodo Gennaio-Luglio. Se ci si limita agli ultimi quat­tro mesi nei quali hanno comin­ciato a mani­fe­starsi gli effetti del Jobs Act l’aumento medio è di 110 mila occu­pati in più. Non c’è la bolla lavoro pre­vi­sta, ma qual­che bol­li­cina è meglio di niente ed è giu­sto vederla e spe­rare che si espanda.
Natu­ral­mente per capire meglio gli effetti distinti dei fat­tori eso­geni e di quelli endo­geni è neces­sa­rio con­fron­tare la dina­mica della nostra eco­no­mia con quella dei paesi euro­pei. Pochi giorni fa sono stati resi noti i dati sul Pil e da essi emerge che l’incremento medio nei primi sei mesi è stato nell’Europa a 19 dell’1,1 %. In Ita­lia siamo allo 0,3%. Que­sta non è una buona noti­zia. Signi­fica che i fat­tori endo­geni citati, che negli altri paesi hanno agito soprat­tutto sull’incremento dell’export oltre che sulla domanda interna, in Ita­lia sono stati sostan­zial­mente inin­fluenti. Signi­fica che la nostra distanza dall’Europa aumenta invece di dimi­nuire. Signi­fica che il nostro appa­rato pro­dut­tivo non rie­sce ancora ad uti­liz­zare gli sti­moli favo­re­voli di calo del prezzo del greg­gio e la sva­lu­ta­zione che per il nostro paese sono sem­pre stati una leva impor­tante di ripresa economica.
Se poi si volesse ipo­tiz­zare che lo 0,3% di Pil sia inte­ra­mente l’effetto sulla nostra eco­no­mia di quei tre fat­tori signi­fi­che­rebbe ammet­tere che i prov­ve­di­menti sul lavoro sono stati sostan­zial­mente inef­fi­caci. Ma disqui­sire su que­sti deci­mali è impro­prio ed inu­tile e resta una con­sta­ta­zione amara: la somma di incen­tivi esterni e sti­moli interni non rimette in moto l’economia ita­liana. A ben guar­dare anche l’economia euro­pea non sem­bra godere di buona salute ed il modo in cui si stanno affron­tando sia la crisi greca che l’esplosione del feno­meno migra­to­rio, non sono estra­nei a que­ste dif­fi­coltà di cre­scita. Se già quando si cre­sce è dif­fi­cile per chi sta meglio accet­tare di dover redi­stri­buire quello che si pos­siede, figu­ria­moci quando non si cresce.
Ma la cruda realtà è que­sta: l’economia euro­pea non cre­sce e pro­prio in Europa si stanno sca­ri­cando gli effetti delle poli­ti­che mili­tari e di sfrut­ta­mento del terzo mondo e delle sue risorse.
Non si tratta né di crisi eco­no­mica con­giun­tu­rale, né di emer­genza immi­gra­zione. Si tratta di feno­meni nuovi e strut­tu­rali. Basta guar­dare come i nuovi migranti si pon­gono nei con­fronti dei nostri paesi: non più solo come richie­denti pie­tosi di ospi­ta­lità, ma come por­ta­tori di un loro diritto a spo­starsi dove si può vivere, a rag­giun­gere i loro parenti e amici, por­ta­tori dell’idea che il mondo è di tutti quelli che ci sono nati.
Insomma sta­gna­zione eco­no­mica e nuove migra­zioni sono l’altra fac­cia della glo­ba­liz­za­zione che noi abbiamo voluto e teorizzato.
Que­ste novità ci impon­gono scelte dif­fi­cili, ine­dite che richie­dono uno sguardo lungo. Ben oltre i pic­coli ed aridi numeri degli equi­li­bri di bilan­cio e delle rego­lette sull’austerità.
Che il governo non si ine­bri di que­ste bol­li­cine di lavoro e che la sini­stra, e soprat­tutto la nuova che vor­remmo, si col­lo­chi all’altezza di que­sta nuova sfida epocale.
Senza que­sto grande salto a rischio sono la demo­cra­zia e la pace. E non è poco.

Fonte: Il manifesto

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