La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 settembre 2015

I “nostri” morti, la nostra normalità

di Vincenzo Vita
Le imma­gini ter­ri­bili e bru­tali dei cit­ta­dini del mondo (per­ché chia­marli migranti?) che pro­vano a soprav­vi­vere ai con­flitti e alla fame — cer­cando terra ed acco­glienza — sono diven­tate seria­lità nar­ra­tiva. Con il con­torno della defor­ma­zione iper­bo­lica dei dati reali (l’Italia ben al di sotto di altri paesi nelle richie­ste di asilo) e della stra­te­gia della paura, fun­zio­nale alle sub­cul­ture xeno­fobe e fasci­stoidi. Que­ste ultime pre­senti sotto trac­cia, come un malanno ende­mico che rie­splode quando le spe­ranze e il futuro cedono il passo al noir.
Ne ha par­lato con accu­rata argo­men­ta­zione Mario Mor­cel­lini su l’Unità di dome­nica scorsa. Ma non basta. Ormai è la morte ad essere diven­tata un’immagine normale.
E sì, pro­prio la per­dita della vita, che si tinge per­sino di pro­pa­ganda ideo­lo­gica quando fa poli­ti­ca­mente comodo (ricor­diamo l’amarissimo caso di Eluana Englaro, ad esem­pio), si sva­lo­rizza ad imma­gine pre­ve­di­bile e minore: una mera sequenza mediatica.

Car­rette del mare, gom­moni, tir diven­tano «ubi­ca­zioni fun­zio­nali», per dirla con Fou­cault. Gli ammaz­za­menti dei ter­ro­ri­sti dell’Isis o gli spari in diretta della Vir­gi­nia appar­ten­gono alla sfera dell’orrore. Men­tre i corpi di coloro che fug­gono dai luo­ghi dove la morte è altret­tanto incom­bente e per­sino più sicura sono com­parse di una ceri­mo­nia fune­bre di rou­tine. Che crea assue­fa­zione e pre­para lo spi­rito della guerra, quella nuova di cui varie volte ha par­lato Papa Francesco.
Il cam­bia­mento in corso della e nella geo­gra­fia poli­tica è il poten­ziale pro­logo di un allar­ga­mento espo­nen­ziale dei tea­tri del con­flitto. Del resto, ciò che sta avve­nendo è il frutto avve­le­na­tis­simo dei colos­sali errori dell’Occidente e dell’Europa: Iraq, Siria, Libia, Soma­lia, e così via. Il vec­chio colio­na­li­smo degli stati nazio­nali e il passo impe­riale degli Stati uniti hanno dato luogo al disa­stro, con la com­pli­cità dei ras locali. L’effetto è l’esodo inin­ter­rotto di per­sone cui pro­prio la glo­ba­liz­za­zione e l’informazione dif­fusa hanno dato l’opportunità di sognarsi cit­ta­dini del mondo: con il diritto alla feli­cità, pre­vi­sto dalla Dichia­ra­zione di indi­pen­denza ame­ri­cana. Tra l’altro.
Adriano Fabris ha descritto recen­te­mente il mec­ca­ni­smo della morte dorata, con gli assas­sini sco­perti da sofi­sti­cati mec­ca­ni­smi tec­no­lo­gici, cui ci rin­viano fic­tion di suc­cesso sul filone cri­mi­nale. Come Csi Miami inda­gato dal filo­sofo, ma il discorso si potrebbe allar­gare a nume­rosi tv-movie nei quali la morte è un gioco intel­let­tuale ad uso e con­sumo di stra­bi­lianti intel­li­gen­tis­simi detective.
Così, con le dovute dif­fe­renze, per serie cult come Gomorra, i Soprano o Romanzo cri­mi­nale. Lì le effe­ra­tezze esor­ciz­zano gli incubi e le ansie dell’immaginario col­let­tivo. Qui, sui bar­coni e i camion, la morte è rea­li­stica. Naturale.
Ci si abi­tua a con­vi­vere con la bru­ta­lità, le nefan­dezze, gli omi­cidi col­let­tivi, come è stato nelle sta­gioni deva­stanti delle per­se­cu­zioni e del terrore?
La media­tiz­za­zione non stop senza cri­tica pre­para le con­di­zioni cul­tu­rali e psi­co­lo­gi­che della Guerra. Non bastano le pur utili Carte scritte dagli orga­ni­smi pro­fes­sio­nali e dal sin­da­cato dei gior­na­li­sti. Cer­ta­mente, etica, atten­zione ai sog­getti deboli e ai minori, rispetto dei corpi sono essenziali. Il nodo, però, è tutto poli­tico. La tele­vi­sione deve diven­tare dav­vero adulta, facendo del dramma delle migra­zioni il primo capi­tolo degli appro­fon­di­menti e dei talk. L’analisi rigo­rosa e la memo­ria sto­rica sono cru­ciali, l’antidoto della malat­tia. Per carità, senza urla­tori da share.

Fonte: Caratteri liberi

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