La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 settembre 2015

Guatemala, la caduta di Manodura Molina

di Geraldina Colotti
L'ex gene­rale Otto Pérez Molina, pre­si­dente del Gua­te­mala, ha perso l’immunità par­la­men­tare ed è com­parso davanti ai giu­dici. Dopo aver resi­stito fino all’ultimo, ha dovuto infine dimet­tersi, alla vigi­lia delle ele­zioni pre­si­den­ziali di dome­nica. Si è pre­sen­tato in tri­bu­nale spon­ta­nea­mente e così potrà evi­tare il car­cere, dispo­sto dal giu­dice Miquel Angelo Gal­vez. Molina, 64 anni, è accu­sato di asso­cia­zione a delin­quere e tan­genti nell’ambito di una grossa frode doga­nale chia­mata La Linea, che ha già por­tato in galera la vice­pre­si­dente Roxana Bal­detti e un’altra qua­ran­tina di per­sone. Ogni anno, sono state sot­tratte alle casse dello stato circa 130 milioni di dollari.
Con una deci­sione sto­rica che fa di Molina il primo pre­si­dente gua­te­mal­teco obbli­gato dai giu­dici a lasciare l’incarico, il Con­gresso aveva deciso di pri­varlo dell’immunità par­la­men­tare: i 132 depu­tati ave­vano votato all’unanimità. Molina ha pro­cla­mato la sua inno­cenza, ma sono state pro­dotte diverse prove. Ad accu­sarlo è soprat­tutto un’intercettazione tele­fo­nica in cui avrebbe chie­sto la sosti­tu­zione di un diri­gente per far entrare un altro coin­volto nella truffa. L’interim è stato assunto dal vice­pre­si­dente Ale­jan­dro Mal­do­nado, 79 anni, un con­ser­va­tore che è stato pre­si­dente della Corte costi­tu­zio­nale e che ha assunto l’incarico dopo le dimis­sioni di Bal­detti, il 14 maggio.
Nel 2012, Molina ha vinto le ele­zioni fidando sul suo sopran­nome, Mano­dura: pro­met­tendo il pugno di ferro con­tro la cor­ru­zione e la cri­mi­na­lità, che pro­voca circa 6.000 morti all’anno. Invece è finito nell’inchiesta della magi­stra­tura e della Com­mis­sione Onu con­tro l’impunità in Gua­te­mala (Cigic). Men­tre il Con­gresso discu­teva il suo caso, fuori si è radu­nata una folla di mani­fe­stanti che gri­dava: «Molina vat­tene». Tra i mani­fe­stanti, rap­pre­sen­tanti delle orga­niz­za­zioni indi­gene che da anni vor­reb­bero man­darlo a pro­cesso anche per i mas­sa­cri com­messi durante la san­gui­nosa guerra civile, durata 36 anni. Per aver fir­mato a nome dell’esercito gli accordi che hanno posto fine alla guerra, nel 1996, Molina pre­fe­riva però farsi chia­mare «il Gene­rale della pace».
I car­telli innal­zati dalla sini­stra gua­te­mal­teca e dai movi­menti popo­lari chie­de­vano un cam­bio strut­tu­rale e l’annullamento delle ele­zioni. Dome­nica, oltre al pre­si­dente e al vice­pre­si­dente, i 7,5 milioni di aventi diritto eleg­gono 338 sin­daci, 158 depu­tati al Con­gresso e 20 al Par­la­mento Cen­troa­me­ri­cano. I can­di­dati alla pre­si­denza sono 14, ma il favo­rito è sem­pre il campo della destra (di oppo­si­zione) con il Par­tito Lider di Manuel Bal­di­zon. Si pre­senta anche San­dra Tor­res, la ex moglie dell’ex pre­si­dente Alvaro Colom, con cui il paese ha pro­vato a muo­vere qual­che passo in senso pro­gres­si­sta. E si can­dida Zury Rios, figlia dell’ex dit­ta­tore Efrain Rios Montt, sotto pro­cesso per geno­ci­dio. Se nes­suno ottiene il 50% dei voti, si svol­gerà il secondo turno, il 25 ottobre.
In un paese sal­da­mente in mano a vec­chie e nuove oli­gar­chie e a un per­vi­cace intrec­cio di mafia e poli­tica, alle forze di sini­stra restano ben pochi spazi di agi­bi­lità isti­tu­zio­nale. Secondo dati della Fao e della Cepal, il Gua­te­mala è il terzo paese dell’America latina con la mag­gior per­cen­tuale di popo­la­zione che vive sotto la soglia di povertà (il 54,8%) e il primo quanto a mal­nu­tri­zione cro­nica. Oltre 3 milioni di per­sone, soprat­tutto con­ta­dini indi­geni, sof­frono la fame, e sono mal­nu­triti per quasi l’80%. Il Gua­te­mala è il paese più dise­guale dell’America latina, con un indice di Gini dello 0,628. Nelle mani del 2% di lati­fon­di­sti si con­cen­tra oltre il 50% della terra, ben­ché oltre la metà della popo­la­zione sia costi­tuita da con­ta­dini, che acce­dono solo al 3% della terra.
Nono­stante l’inedita mobi­li­ta­zione popo­lare di que­sti mesi, la pro­fonda crisi eco­no­mica e poli­tica che attra­versa il paese non può tro­vare solu­zione in una com­pe­ti­zione isti­tu­zio­nale già pre­co­sti­tuita. Per que­sto, nume­rose orga­niz­za­zioni popo­lari chie­dono che il nuovo governo sia di tran­si­zione verso un pro­cesso costi­tuente. Una richie­sta che sale dal basso, dai movi­menti in diverse parti di quell’America latina che non è stata toc­cata dal vento del socia­li­smo del XXI secolo. Le pro­te­ste con­tro la cor­ru­zione che si sono svolte e si svol­gono in Hon­du­ras, Costa Rica e Panama, mostrano l’inquietudine di ceti medi impo­ve­riti, ma covano un disa­gio pro­fondo che potrebbe anche por­tare ad altri sboc­chi. Logico, quindi, rile­vano molti ana­li­sti, che gli Stati uniti cer­chino di anti­ci­pare e gover­nare il percorso.
Nella con­du­zione della crisi, il ruolo degli Stati uniti è stato deter­mi­nante, soprat­tutto nell’appoggiare la Cigic, che è un orga­ni­smo delle Nazioni unite. Il vice­pre­si­dente Usa, Joe Biden ha peral­tro espresso la ferma inten­zione di rad­dopp­piare l’attenzione sul Cen­troa­me­rica e di appog­giare i «cam­bia­menti demo­cra­tici»: anche per evi­tare — ha detto — che nuove ondate di minori dispe­rati, senza lavoro e preda delle bande gio­va­nili, si river­sino alle fron­tiere con gli Usa. Con l’Alleanza per la Pro­spe­rità del Trian­golo del Nord, che coin­volge Hon­du­ras, Sal­va­dor e Gua­te­mala, gli Stati uniti cer­cano di creare con­di­zioni di gover­na­bi­lità che pos­sano con­trol­lare. La sto­ria del Gua­te­mala è figlia delle pesanti e san­gui­nose inge­renze Usa.
In que­sto senso, la caduta di Molina è solo una vit­to­ria par­ziale e può anche indi­care una scossa di asse­sta­mento all’interno dei poteri domi­nanti e di chi li guida da fuori. Molina aveva perso potere ed era diven­tato sco­modo anche per aver voluto caval­care il tema della lega­liz­za­zione delle dro­ghe in uno dei prin­ci­pali snodi del narcotraffico.

Fonte: il manifesto

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