La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 4 settembre 2015

La ripresa non c’è, Draghi lancia la stampella

di Domenico Cirillo
La pistola, anzi il bazooka com’è stato chia­mato sei mesi fa il Quan­ti­ta­tive easing (Qe) deciso dalla Banca cen­trale euro­pea, è sul tavolo. Ma l’Eurotower non spara un altro colpo, non adesso. Nes­suna nuova misura di allen­ta­mento mone­ta­rio, se si eccet­tua l’innalzamento del limite di acqui­sto di titoli di stato (è così che si rea­lizza in con­creto l’espansione mone­ta­ria, immet­tendo liqui­dità nel sistema) che passa dal 25% al 33% del totale dell’emissione, però solo in via teo­rica e dopo una veri­fica «caso per caso». Eppure Mario Dra­ghi, in con­fe­renza stampa, chia­ri­sce: «Non ci sono limiti par­ti­co­lari alla pos­si­bi­lità della Bce di poten­ziare la pro­pria poli­tica eco­no­mica. Il cam­bia­mento di uno dei para­me­tri del Qe è un segnale». Per il resto il pro­gramma «con­ti­nua a pro­ce­dere senza intoppi» il che signi­fica, garan­ti­sce il gover­na­tore, che «noi attue­remo in pieno i nostri acqui­sti men­sili da 60 miliardi di euro fino alla fine del set­tem­bre 2016 o oltre, se necessario».
Il pro­blema è che, tra­scorsi sei mesi, l’impatto del Qe, il colpo di bazooka, è assai limi­tato. Tant’è che il board della Banca cen­trale euro­pea (che ieri si è riu­nito per la prima volta dopo le ferie) ha dovuto rive­dere al ribasso sia le stime di cre­scita dell’Eurozona che quelle dell’inflazione. Il Pil com­ples­sivo nei paesi dell’euro, secondo Fran­co­forte, salirà nel 2015 del 1,4% e non più del 1,5% men­tre la dina­mica dei prezzi resterà sostan­zial­mente vicina allo zero, +0,1% per il 2015 invece che il +0,3% pre­vi­sto (nei primi mesi dell’anno era ancora nega­tiva). Nem­meno nel 2017 l’inflazione si avvi­ci­nerà al 2% che è l’obiettivo dichia­rato della Bce, la ragione uffi­ciale che sostiene l’operazione Qe: i prezzi dovreb­bero cre­scere di +1,7% invece che +1,8% come pre­vi­sto sei mesi fa.
La ripresa, in sin­tesi, non si vede, e chi la intra­vede deve ammet­tere che è assai più gra­cile del pre­vi­sto. «I rischi per le pro­spet­tive di cre­scita dell’area euro riman­gono orien­tati verso il basso, riflet­tendo in par­ti­co­lare le incer­tezze legate a fat­tori esterni», ha detto ieri Dra­ghi. Aggiun­gendo che «i recenti svi­luppi nelle eco­no­mie emer­genti pos­sono poten­zial­mente influen­zare ulte­rior­mente la cre­scita glo­bale in modo nega­tivo». Va male, potrebbe andar peg­gio. L’economia «emer­gente» è (ancora) quella cinese, il cui ral­len­ta­mento «pesa sulla cre­scita mon­diale e sulla domanda estera delle espor­ta­zioni da area euro». Ser­vi­rebbe allora un mer­cato interno più dina­mico, ragiona il gover­na­tore della Banca cen­trale euro­pea: «La domanda interna dovrebbe essere ulte­rior­mente soste­nuta dalle misure di poli­tica mone­ta­ria e dal loro impatto favo­re­vole sulle con­di­zioni finan­zia­rie»: Dovrebbe, qui sta il punto. Non va così.
La mag­giore liqui­dità che da sei mesi la Bce pompa nel sistema, acqui­stando titoli di stato sul mer­cato secon­da­rio (dagli isti­tuti di cre­dito) si sta fer­mando sul tetto, al livello delle ban­che. Non scende al piano delle imprese e delle fami­glie. Che non chie­dono oppure non rice­vono cre­dito per­ché le con­di­zioni dell’economia reale non spin­gono a rischiare, e nem­meno a com­prare. Tant’è che Dra­ghi deve affi­darsi al calo del prezzo del petro­lio che «dovrebbe soste­nere il red­dito delle fami­glie e delle imprese e di con­se­guenza i con­sumi pri­vati e gli inve­sti­menti». Ma è pro­prio il calo del petro­lio che tiene bassa l’inflazione, allon­ta­nando così l’obiettivo del Qe.
Ser­vi­reb­bero poli­ti­che di bilan­cio al livello dei sin­goli stati, ma quelle sono con­ge­late dal patto di sta­bi­lità euro­peo, che Dra­ghi e più di lui il board della Banca cen­trale non inten­dono discu­tere: «L’attuazione piena e coe­rente del patto è cru­ciale per la fidu­cia nella nostra cor­nice di bilan­cio». Il mes­sag­gio — «piena e coe­rente» — vale anche per il governo ita­liano che in que­sti giorni sta costruendo la mano­vra spe­rando in ulte­riori mar­gini di «fles­si­bi­lità». Nella cor­nice dell’austerità, la poli­tica mone­ta­ria non può fare altro. Il denaro ormai è pra­ti­ca­mente gra­tis, la Bce non ha toc­cato il tasso inchio­dato al minimo sto­rico dello 0.05%. Ma il cavallo non beve.

Fonte: il manifesto

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