La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 17 settembre 2015

Berlino per il «welfare differenziato»

di Jacopo Rosatelli
I con­trolli alle fron­tiere non fer­mano l’arrivo di pro­fu­ghi in Ger­ma­nia: ieri mat­tina alla sta­zione fer­ro­via­ria di Monaco se ne con­ta­vano già 800 e altri treni erano attesi fino a sera. Dopo un lieve calo lunedì, seguito all’annuncio della sospen­sione della libera cir­co­la­zione, il movi­mento di migranti verso la Repub­blica fede­rale è tor­nato ai livelli pre­ce­denti: mar­tedì, a fine gior­nata, se ne con­ta­vano circa 3.500.
Non tutti arri­vano con treni o auto­bus: ieri si sono regi­strate le prime cen­ti­naia di migranti che hanno rag­giunto il Paese a piedi, var­cando il con­fine austro-tedesco presso il comune bava­rese di Frei­las­sing: a Sali­sburgo, in Austria, era sospeso il traf­fico fer­ro­via­rio verso la Germania.
Un por­ta­voce della poli­zia fede­rale tede­sca descri­veva la situa­zione in quel punto della fron­tiera come «molto critica».
Un effetto indi­retto, tut­ta­via, la sospen­sione di Schen­gen l’ha pro­dotto: come hanno rile­vato le stesse forze dell’ordine, sono in aumento gli ingressi «clan­de­stini». Molti pro­fu­ghi allar­mati dalla rein­tro­du­zione dei con­trolli alle fron­tiere, nell’incertezza della realtà che li attende, si stanno met­tendo nelle mani degli «sca­fi­sti di terra», che pro­met­tono loro accessi per vie secon­da­rie, meno bat­tute dalla poli­zia di fron­tiera. Il peri­colo di nuove tra­ge­die come quella del tir austriaco con 71 cada­veri, dun­que, è desti­nato a cre­scere, per­ché la paura delle fron­tiere bloc­cate ali­menta il busi­ness dei traf­fi­canti che spe­cu­lano sulle vite di chi fugge da guerra e fame.
La Ger­ma­nia «poli­tica», nel frat­tempo, cerca di venire a capo dell’emergenza-profughi, ma senza riu­scirci. Nella serata di mar­tedì un super-vertice fra il governo fede­rale e tutti i gover­na­tori dei Län­der non ha por­tato a risul­tati con­creti. I cen­tri di rac­colta scop­piano, ma nes­sun passo avanti sulla modi­fica delle len­tis­sime pro­ce­dure per smal­tire le domande di asilo (2 anni in media), e soprat­tutto molta distanza sul pro­blema prin­ci­pale: le risorse. Ber­lino ha stan­ziato finora 6 miliardi: una cifra lar­ga­mente insuf­fi­ciente secondo tutti i capi di governo regio­nali. Che ne chie­dono il doppio.
Ma il custode del bilan­cio fede­rale, l’austero mini­stro Wol­fgang Schäu­ble, non ha inten­zione di dero­gare alla sacra regola del pareg­gio di bilan­cio: per il vete­rano poli­tico demo­cri­stiano il defi­cit zero, rag­giunto dal Paese già l’anno scorso, è un punto d’onore. E quindi i soldi neces­sari per aprire nuovi cen­tri di acco­glienza e gestire meglio l’afflusso di richie­denti asilo pos­sono essere raci­mo­lati sol­tanto tagliando un po’ il bilan­cio di ogni ministero.
Una scelta che non va giù a Sahra Wagen­k­ne­cht, pros­sima a diven­tare capo­gruppo par­la­men­tare della Linke: «I miliar­dari che vivono in Ger­ma­nia dispon­gono di un patri­mo­nio totale di 2,5 mila miliardi di euro. Mal­grado que­sta esor­bi­tante ric­chezza, di fronte alla neces­sità di tro­vare soldi per l’aiuto ai pro­fu­ghi al mini­stro Schäu­ble non viene in mente altro che tagliare la spesa pub­blica. In que­sto modo uti­lizza i pro­fu­ghi con­tro il resto della popo­la­zione». Per la cari­sma­tica Wagen­k­ne­cht un’alternativa ci sarebbe: intro­durre subito una tassa sulle grandi ricchezze.
Una misura che la grosse koa­li­tion fra demo­cri­stiani e social­de­mo­cra­tici è ben lungi dal pren­dere. La poli­tica sociale si muove, anzi, in senso con­tra­rio, anche gra­zie a una sen­tenza pro­nun­ciata mar­tedì dalla Corte di giu­sti­zia dell’Ue in una con­tesa che oppo­neva il governo tede­sco a una cit­ta­dina sve­dese. L’oggetto: il red­dito minimo che Ber­lino ha con­cesso alla stra­niera comu­ni­ta­ria (con 4 figli) per soli 6 mesi, in virtù del fatto che la signora aveva lavo­rato in pre­ce­denza per appena 11 mesi.
La causa di fronte ai giu­dici euro­pei nasce dal fatto che per i cit­ta­dini tede­schi non è pre­vi­sto alcun limite tem­po­rale nel godi­mento di quella pre­sta­zione sociale: una discri­mi­na­zione, secondo la cit­ta­dina sve­dese. La Corte Ue ha dato invece ragione all’esecutivo di Ber­lino: il trat­ta­mento dif­fe­ren­ziato è ammis­si­bile, per­ché non con­tra­sta con le norme comu­ni­ta­rie. L’Europa della soli­da­rietà si allon­tana sem­pre di più.

Fonte: il manifesto 
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