di Daniela Preziosi
Il bilancio del primi sette mesi di governo di Syriza è un calice amaro. Per politiche di investimento oggi esistono solo «spiragli», («spazi negli interstizi del memorandum», la bella definizione è del giornalista Dimitri Deliolanes), e tuttavia è certo che «se domenica vincessero le forze del passato la sinistra tornerebbe all’opposizione e per noi tutto sarebbe più facile. Non per il popolo greco», spiega Marika Frangakis, economista vicina a Syriza a una platea di colleghi e di politici chiamati ieri in una sala di Montecitorio a discutere della «Lezione greca» sull’Europa, e dell’euro. Frangakis non nasconde le difficoltà, del resto non potrebbe. Syriza ha subìto una scissione e gli ex compagni ora sono avversari. I sondaggi lasciano poche alternative a un governo di coalizione, ma stavolta senza il travolgente successo del gennaio scorso. Il memorandum che a luglio Tsipras ha firmato difficilmente risolleverà l’economia. «Siamo alla fine della fase iniziale, ora per le politiche di cambiamento bisogna cambiare i rapporti di forza in Europa», spiega. C’è da tifare per la vittoria delle sinistre antiausterity nelle prossime tornate elettorali (dopo la Grecia, in Portogallo a ottobre e in Spagna a dicembre). Ma se non vincono?
Ed è il cuore del problema, al di là delle tifoserie politiche, delle opposte propagande, al di là delle convergenze persino sentimentali di quanti si sono identificati nel corso di tutto quest’anno con la durissima battaglia di Alexis-Davide contro il Golia-Troika, che però stavolta ha vinto: il calvario di Tsipras, il suo ’piano A’, è l’unica strada per tentare di cambiare i trattati? Se lo è, sarà efficace? -. Oppure la sinistra europea deve prendere atto che, come sostiene Stefano Fassina «il memorandum non ha evitato il Grexit, lo ha solo rinviato», che l’euro è stato un errore e «dentro questa gabbia non c’è alternativa, o allineati o fuori», che quindi serve «immaginare un piano B per dotarsi di qualche strumento in più per ridurre lo svantaggio dei rapporti di forza» fra istituzioni europee a trazione tedesca e stati piegati dalla crisi? La tesi è contenuta in un documento firmato anche dall’ex ministro greco Varoufakis, dal tedesco Lafontaine e dal francese Mélenchon.
In Italia questo ragionamento pesa forse più che altrove: cala alla vigilia di una annunciata ricomposizione a sinistra e rischia di innescare un corto circuito. Gli organizzatori del seminario (i deputati Marcon e Airaudo, Sel, l’economista Mario Pianta di Sbilanciamoci), che pure sono granitici sostenitori del premier greco, si sforzano per non mettere in contrapposizione il piano A e il piano B. La tentazione della divergenza insanabile da noi è tradizione consolidata, per questo alla «sinistra residua» è indispensabile «un approccio laico», esorta Emiliano Brancaccio. Gli economisti, soprattutto i politici non cedano alla tentazione della scomunica. Sui tavoli circola il libro «Grecia-Europa, cambiare è possibile?» (scaricabile gratis sul sito Sbilanciamoci.info, coeditore il manifesto). Dal Corriere Varoufakis spiega che il suo piano B per uscire dall’euro, «avrebbe avuto un costo altissimo, ma nel lungo periodo magari non più alto della costante sottomissione alla troika». Poi l’ex ministro la rettifica dal blog così: il solo rendere noto un piano B scatena il panico quindi «un piano B può essere preparato solo a un livello astratto». La confusione regna, e il personaggio Varoufakis non aiuta.
«Accettare le tesi di Schoeble significa avere già perso», attacca Alfonso Gianni. «Bisogna distinguere le colpe dell’euro e quelle dei governi», dice Annamaria Simonazzi del gruppo delle economiste di InGenere. Ma il giovane Massimiliano Tancioni replica: «Ragioniamo dell’uscita dall’euro, prima che se succede l’unica via sia quella della destra». E Nicola Fratoianni (Sel) anche lui alexista convinto ammette: «La firma del memorandum ha prodotto un colpo all’immaginario, non possiamo fare finta di niente». «Se salta l’euro non saremo noi a controllare la situazione, in Grecia e in tutta Europa, e allora addio democrazia», è la conclusione di Luciana Castellina, «il problema è restare nel ring, non abbandonarlo come un pugile suonato». Per la risposta ai molti punti interrogativi c’è bisogno di tempo. Per Tsipras domenica prossima arriva la nuova prova del nove del voto.
Fonte: il manifesto
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