La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 17 settembre 2015

Nel ring dell’euro. Con o senza un piano B

di Daniela Preziosi
Il bilan­cio del primi sette mesi di governo di Syriza è un calice amaro. Per poli­ti­che di inve­sti­mento oggi esi­stono solo «spi­ra­gli», («spazi negli inter­stizi del memo­ran­dum», la bella defi­ni­zione è del gior­na­li­sta Dimi­tri Delio­la­nes), e tut­ta­via è certo che «se dome­nica vin­ces­sero le forze del pas­sato la sini­stra tor­ne­rebbe all’opposizione e per noi tutto sarebbe più facile. Non per il popolo greco», spiega Marika Fran­ga­kis, eco­no­mi­sta vicina a Syriza a una pla­tea di col­le­ghi e di poli­tici chia­mati ieri in una sala di Mon­te­ci­to­rio a discu­tere della «Lezione greca» sull’Europa, e dell’euro. Fran­ga­kis non nasconde le dif­fi­coltà, del resto non potrebbe. Syriza ha subìto una scis­sione e gli ex com­pa­gni ora sono avver­sari. I son­daggi lasciano poche alter­na­tive a un governo di coa­li­zione, ma sta­volta senza il tra­vol­gente suc­cesso del gen­naio scorso. Il memo­ran­dum che a luglio Tsi­pras ha fir­mato dif­fi­cil­mente risol­le­verà l’economia. «Siamo alla fine della fase ini­ziale, ora per le poli­ti­che di cam­bia­mento biso­gna cam­biare i rap­porti di forza in Europa», spiega. C’è da tifare per la vit­to­ria delle sini­stre anti­au­ste­rity nelle pros­sime tor­nate elet­to­rali (dopo la Gre­cia, in Por­to­gallo a otto­bre e in Spa­gna a dicem­bre). Ma se non vincono?
Ed è il cuore del pro­blema, al di là delle tifo­se­rie poli­ti­che, delle oppo­ste pro­pa­gande, al di là delle con­ver­genze per­sino sen­ti­men­tali di quanti si sono iden­ti­fi­cati nel corso di tutto quest’anno con la duris­sima bat­ta­glia di Alexis-Davide con­tro il Golia-Troika, che però sta­volta ha vinto: il cal­va­rio di Tsi­pras, il suo ’piano A’, è l’unica strada per ten­tare di cam­biare i trat­tati? Se lo è, sarà effi­cace? -. Oppure la sini­stra euro­pea deve pren­dere atto che, come sostiene Ste­fano Fas­sina «il memo­ran­dum non ha evi­tato il Gre­xit, lo ha solo rin­viato», che l’euro è stato un errore e «den­tro que­sta gab­bia non c’è alter­na­tiva, o alli­neati o fuori», che quindi serve «imma­gi­nare un piano B per dotarsi di qual­che stru­mento in più per ridurre lo svan­tag­gio dei rap­porti di forza» fra isti­tu­zioni euro­pee a tra­zione tede­sca e stati pie­gati dalla crisi? La tesi è con­te­nuta in un docu­mento fir­mato anche dall’ex mini­stro greco Varou­fa­kis, dal tede­sco Lafon­taine e dal fran­cese Mélenchon.
In Ita­lia que­sto ragio­na­mento pesa forse più che altrove: cala alla vigi­lia di una annun­ciata ricom­po­si­zione a sini­stra e rischia di inne­scare un corto cir­cuito. Gli orga­niz­za­tori del semi­na­rio (i depu­tati Mar­con e Airaudo, Sel, l’economista Mario Pianta di Sbi­lan­cia­moci), che pure sono gra­ni­tici soste­ni­tori del pre­mier greco, si sfor­zano per non met­tere in con­trap­po­si­zione il piano A e il piano B. La ten­ta­zione della diver­genza insa­na­bile da noi è tra­di­zione con­so­li­data, per que­sto alla «sini­stra resi­dua» è indi­spen­sa­bile «un approc­cio laico», esorta Emi­liano Bran­cac­cio. Gli eco­no­mi­sti, soprat­tutto i poli­tici non cedano alla ten­ta­zione della sco­mu­nica. Sui tavoli cir­cola il libro «Grecia-Europa, cam­biare è pos­si­bile?» (sca­ri­ca­bile gra­tis sul sito Sbi​lan​cia​moci​.info, coe­di­tore il mani­fe­sto). Dal Cor­riere Varou­fa­kis spiega che il suo piano B per uscire dall’euro, «avrebbe avuto un costo altis­simo, ma nel lungo periodo magari non più alto della costante sot­to­mis­sione alla troika». Poi l’ex mini­stro la ret­ti­fica dal blog così: il solo ren­dere noto un piano B sca­tena il panico quindi «un piano B può essere pre­pa­rato solo a un livello astratto». La con­fu­sione regna, e il per­so­nag­gio Varou­fa­kis non aiuta.
«Accet­tare le tesi di Schoe­ble signi­fica avere già perso», attacca Alfonso Gianni. «Biso­gna distin­guere le colpe dell’euro e quelle dei governi», dice Anna­ma­ria Simo­nazzi del gruppo delle eco­no­mi­ste di InGe­nere. Ma il gio­vane Mas­si­mi­liano Tan­cioni replica: «Ragio­niamo dell’uscita dall’euro, prima che se suc­cede l’unica via sia quella della destra». E Nicola Fra­to­ianni (Sel) anche lui ale­xi­sta con­vinto ammette: «La firma del memo­ran­dum ha pro­dotto un colpo all’immaginario, non pos­siamo fare finta di niente». «Se salta l’euro non saremo noi a con­trol­lare la situa­zione, in Gre­cia e in tutta Europa, e allora addio demo­cra­zia», è la con­clu­sione di Luciana Castel­lina, «il pro­blema è restare nel ring, non abban­do­narlo come un pugile suo­nato». Per la rispo­sta ai molti punti inter­ro­ga­tivi c’è biso­gno di tempo. Per Tsi­pras dome­nica pros­sima arriva la nuova prova del nove del voto.

Fonte: il manifesto 

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