La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 16 settembre 2015

Nuove generazioni e antiche bandiere, l’antidoto contro la rassegnazione

di Simone Oggionni
Esi­ste da diversi anni una regola di pro­por­zio­na­lità inversa abba­stanza mor­ti­fi­cante: meno siamo effi­caci e più dibat­tiamo. E poi un para­dosso: più auspi­chiamo una sini­stra utile, forte, unita e più que­sta rimane inu­tile, debo­lis­sima, frammentata.
Norma Ran­geri e il mani­fe­sto pro­vano oppor­tu­na­mente a suo­nare la sve­glia e a ricor­darci che così non è più pos­si­bile andare avanti.
Abbiamo biso­gno di una svolta, di un vero shock che rime­scoli tutto e tutti, che costringa a ripar­tire dai fon­da­men­tali. Da fon­da­men­tali così sem­plici da sem­brare scon­tati, ma che negli ultimi venti anni si è riu­sciti, pun­tual­mente, a negare e contraddire.
Il primo è ricor­darsi che la sini­stra è innan­zi­tutto un sen­ti­mento di con­nes­sione tra la poli­tica e la vita reale, le sue pas­sioni, le sue imper­fe­zioni, le sue sof­fe­renze. È la con­nes­sione con le decine di migranti che ogni set­ti­mana sbar­cano sulle nostre coste in preda alla fame e alla dispe­ra­zione più nera e che, spesso, pian­gono i pro­pri morti nelle tra­ver­sate. È la con­nes­sione con le tra­ge­die nor­mali cui dà forma il rap­porto Svi­mez sul Mez­zo­giorno: un qua­dro umi­liante di un Sud senza più fab­bri­che, senza più lavoro, segnato dall’emigrazione e dalla nata­lità a tasso zero. È la con­nes­sione con l’indignazione di chi non accetta l’assoluzione degli stu­pra­tori della For­tezza da Basso, san­cita da un Tri­bu­nale che pre­tende di giu­di­care la ses­sua­lità di una donna, la sua vita, i suoi desideri.
Il secondo fon­da­men­tale è darsi l’ambizione di espri­mere un pro­getto, ben oltre una defi­ni­zione in nega­tivo rispetto alle poli­ti­che del governo. Si illude chi pensa che il pro­blema sia Renzi e dun­que che il nostro com­pito sia unire coloro che vi si con­trap­pon­gono. Renzi è sol­tanto l’epilogo di una sto­ria ven­ten­nale nel corso della quale la sini­stra ita­liana, come e più di quella euro­pea, ha ceduto sul ter­reno cul­tu­rale, passo dopo passo, all’egemonia dell’avversario. Per que­sto motivo è essen­ziale rico­struire, per i pros­simi vent’anni, una cul­tura poli­tica in grado di con­fron­tarsi con que­sta sfida e di espri­mere un punto di vista auto­nomo sul mondo, sull’economia, sulla società; una forza capace di indi­care un imma­gi­na­rio e di tra­durlo in con­cetti e pro­grammi di governo con­creti, né ana­cro­ni­stici né indicibili.
Il terzo fon­da­men­tale ha a che fare – come ha ricor­dato su il mani­fe­sto Felice Roberto Piz­zuti – con il peri­me­tro euro­peo della nostra sfida, che è stret­ta­mente con­nesso al tema dei rap­porti di forza e della massa cri­tica. Da qui non si sfugge: non è pos­si­bile indi­care scor­cia­toie nazio­nali per redi­vive pic­cole patrie né è cre­di­bile pro­porre la fuga dal ter­reno della poli­tica, del con­flitto e del governo come stru­menti della tra­sfor­ma­zione. La vicenda greca con­ferma e non smen­ti­sce la nostra tesi, per­ché un grande pro­getto rifor­ma­tore dell’Europa e della sua archi­tet­tura isti­tu­zio­nale ha biso­gno di rap­porti di forza che oggi non ci sono e che Tsi­pras, da solo, non può creare. Occorre allora tema­tiz­zare più e meglio il con­te­nuto della via mae­stra, per rico­struire una Europa nuova, con il bari­cen­tro più basso, nel Medi­ter­ra­neo, e lo sguardo verso i pro­ta­go­ni­sti del nuovo mul­ti­po­la­ri­smo mon­diale. Una nuova Europa in cui i trat­tati siano sot­to­po­sti al voto popo­lare, in cui il Par­la­mento abbia final­mente piene fun­zioni legi­sla­tive e in cui la Banca Cen­trale – come avviene negli Stati uniti e in Giap­pone – sia messa nelle con­di­zioni, strut­tu­ral­mente, di disin­ne­scare le spe­cu­la­zioni e di soste­nere la cre­scita dei Paesi membri.
A quest’altezza però inter­viene una domanda che non pos­siamo più elu­dere: dav­vero pen­siamo che rico­struire una forza poli­tica che abbia il cuore e le gambe nella società, nelle pie­ghe del lavoro e nel non lavoro; che si occupi di ripren­dere, con le parole dell’oggi, il filo di un pen­siero forte e di un discorso contro-egemonico valido per i pros­simi decenni; e che si inge­gni per imma­gi­nare e pro­get­tare un’Europa diversa, insieme a Tsi­pras e alle tante e gio­vani sini­stre euro­pee del Con­ti­nente, sia com­pito dei gruppi diri­genti e delle for­ma­zioni poli­ti­che del secolo scorso? E, in par­ti­co­lare, di quella forma men­tale redu­ci­sta, mino­ri­ta­ria e auto­re­fe­ren­ziale che ci ha inse­gnato ad allon­ta­nare la sini­stra dalla sua gente, a pen­sare al pic­colo cabo­tag­gio, a smet­tere di stu­diare, a perdere?
La mia impres­sione è che debba essere com­pito di altre intel­li­genze, altri pro­ta­go­ni­smi, altre gene­ra­zioni. Stando bene attenti a non com­piere due errori: non inse­guire gio­va­ni­li­smi senza con­te­nuti (pur­ché si cambi va tutto bene, anche peg­gio­rare) e non dipin­gere – in una cri­tica o auto­cri­tica spre­giu­di­cata – la clas­sica notte in cui tutte le vac­che sono nere. No, per for­tuna non è così: esi­ste anche chi in que­sti anni ha tenuto aperta la par­tita del cam­bia­mento e dell’innovazione, con curio­sità e intel­li­genza, e chi, rom­pendo la gab­bia del Pd, apre oggi una pos­si­bi­lità e una prospettiva.
Dall’incontro tra que­ste ener­gie e il mondo che c’è fuori – e non dalla som­ma­to­ria indi­stinta di tutti i pezzi dispersi – potrà nascere nei pros­simi mesi il nuovo par­tito. Se nascerà con que­ste pre­messe avrà già scon­fitto il primo nemico: la ras­se­gna­zione che nasce dalla coa­zione a ripe­tere gli stessi errori. E allora potremmo dav­vero met­terci in cammino.

Fonte: il manifesto 

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