La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 17 settembre 2015

Palazzo Madama, il mercato è aperto

di Andrea Colombo
Non si può dire che il Senato della Repub­blica chiuda in bel­lezza. Più che come poli­tici spre­giu­di­cati, governo e mag­gio­ranza Pd si muo­vono ormai su un piano con­fi­nante col gang­ste­ri­smo poli­tico. Nei cor­ri­doi di palazzo Madama lo sanno tutti e ne par­lano tutti. Pare più o meno nor­male a quasi tutti. La mano­vra a tena­glia del governo ha fun­zio­nato: evviva. Con­si­steva nell’intimidire il pre­si­dente del Senato con una bru­ta­lità senza pre­ce­denti, nel for­zar­gli la mano facendo anti­ci­pare alla pre­si­dente della com­mis­sione Affari costi­tu­zio­nali una deci­sione, quella sulla emen­da­bi­lità dell’art.2, che sulla carta spet­tava solo a Piero Grasso, nel far sal­tare ogni cor­retto pas­sag­gio pro­ce­du­rale evi­tando il voto in com­mis­sione senza nem­meno più cer­care alibi, col sem­plice diritto del più forte.
Quel voto andava evi­tato per­ché lì, in com­mis­sione, il governo non dispo­neva di una mag­gio­ranza. In aula, invece, la par­tita è aperta. La si com­batte, ha detto in aula la pre­si­dente del gruppo Misto Lore­dana De Petris, «rac­cat­tando voti» dove capita. Ogni sin­gola testa può essere pre­ziosa, ogni sin­golo sena­tore ha la sua grande occa­sione per chie­dere e otte­nere. Men­tre la banda spa­dro­neg­gia, il suq si rianima.
Quando si tratta di lavo­rare col pal­lot­to­liere nes­suno vale Denis Ver­dini. Ha sbri­gato tante volte l’incombenza per l’amico Sil­vio, nulla di strano se ripete la per­for­mance a van­tag­gio del par­golo. Ma la cac­cia al voto non basta, biso­gna allo steso tempo fre­nare l’emorragia, recu­pe­rare dis­si­denti. Se ne occupa soprat­tutto Luca Lotti. Ogni mezzo è buono: il ten­ta­tivo di rin­viare a scopo di ricatto il voto sulla sin­da­ca­bi­lità o meno di Roberto Cal­de­roli era spu­do­rato. Meno vistoso, non meno sfron­tato, il rin­vio del voto sull’autorizzazione all’arresto per l’Ncd Bilardi per garan­tirsi uno stru­mento di pres­sione valida sul par­tito di Alfano.
Lavo­rano i pro­fes­sio­ni­sti del mer­cato nero, lavo­rano anche gli ex primi cit­ta­dini. Gior­gio Napo­li­tano, a onta dell’età, sarebbe infatti atti­vis­simo nel cer­care di ripor­tare all’ovile i dis­si­denti del Pd. Sono 30, quelli in via di recu­pero non vanno oltre i 6, sia nei cal­coli dei diri­genti della mino­ranza che in quelli della mag­gio­ranza. Se con­fer­mato, per palazzo Chigi sarebbe un bilan­cio da bri­vido. Le cose vanno meglio sul fronte Ncd. Tutto il pro­met­ti­bile sarebbe stato pro­messo, inclusa, quale parte pre­sen­ta­bile del pac­chetto, la modi­fica dell’Italicum. La for­tuna della cam­pa­gna la si veri­fi­cherà solo al momento del voto, ma di certo ieri era per­ce­pi­bile un note­vole sol­lievo nei ran­ghi di Renzi. I dis­si­denti non sareb­bero ora più di 3 o 4, dispo­sti a uscire dall’aula invece che con un ben più peri­co­loso voto contrario.
Anche così e nono­stante l’appoggio della banda Ver­dini (nome in codice: gruppo Ala; voti pre­ziosi: 10 tondi, tra cui quel sena­tore D’Anna che in prima let­tura era stato forse il più inca­ro­gnito e a volte sboc­cato avver­sa­rio della riforma) i conti senza recu­pe­rare i dis­si­denti Pd non tor­nano. Ma per for­tuna che Denis c’è. Ha già acqui­stato, par­don con­qui­stato, due voti in arrivo del gruppo di Raf­faele Fitto, dicono i mal­pen­santi distri­buendo pro­messe di alti inca­ri­chi come fos­sero spic­cetti: Ciro Falanga ed Eva Longo. Ven­gono entrambi dalle prime file dell’area gui­data da Nicola Cosentino.
Grandi mano­vre sono in corso per por­tare a casa anche due sena­tori del gruppo misto com­po­nente verde, Pepe e De Pin, men­tre una par­tita a sé riguarda la com­pa­gine delle tre sena­trici ex leghi­ste. Pas­se­ranno al gruppo di Fitto, ma sono in corso trat­ta­tive dirette tra palazzo Chigi e Fla­vio Tosi (dicono con un’autostrada di mezzo) per posti­ci­pare la dipar­tita delle sena­trici che hanno lasciato il Car­roc­cio per seguire il sin­daco di Verona espulso da Sal­vini. Giu­sto il tempo di votare le riforme prima di tor­nare a opporsi .
Poi c’è la pres­sione su Forza Ita­lia per­ché lasci l’aula al momento oppor­tuno. Più che le pro­messe lì vale la minac­cia: attenti che si fini­sce per votare. I for­zi­sti non ci cre­dono («figu­rarsi se Renzi vota con il Con­sul­tel­lum», sbotta Paolo Romani, il capo­gruppo). Finirà come finirà, ma tra minacce, ricatti, for­za­ture e com­pra­ven­dite il senato somi­glia sem­pre più al set di un film noir. Lo si potrebbe tito­lare Il clan dei fiorentini.

Fonte: il manifesto 

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