di Andrea Colombo
Non si può dire che il Senato della Repubblica chiuda in bellezza. Più che come politici spregiudicati, governo e maggioranza Pd si muovono ormai su un piano confinante col gangsterismo politico. Nei corridoi di palazzo Madama lo sanno tutti e ne parlano tutti. Pare più o meno normale a quasi tutti. La manovra a tenaglia del governo ha funzionato: evviva. Consisteva nell’intimidire il presidente del Senato con una brutalità senza precedenti, nel forzargli la mano facendo anticipare alla presidente della commissione Affari costituzionali una decisione, quella sulla emendabilità dell’art.2, che sulla carta spettava solo a Piero Grasso, nel far saltare ogni corretto passaggio procedurale evitando il voto in commissione senza nemmeno più cercare alibi, col semplice diritto del più forte.
Quel voto andava evitato perché lì, in commissione, il governo non disponeva di una maggioranza. In aula, invece, la partita è aperta. La si combatte, ha detto in aula la presidente del gruppo Misto Loredana De Petris, «raccattando voti» dove capita. Ogni singola testa può essere preziosa, ogni singolo senatore ha la sua grande occasione per chiedere e ottenere. Mentre la banda spadroneggia, il suq si rianima.
Quando si tratta di lavorare col pallottoliere nessuno vale Denis Verdini. Ha sbrigato tante volte l’incombenza per l’amico Silvio, nulla di strano se ripete la performance a vantaggio del pargolo. Ma la caccia al voto non basta, bisogna allo steso tempo frenare l’emorragia, recuperare dissidenti. Se ne occupa soprattutto Luca Lotti. Ogni mezzo è buono: il tentativo di rinviare a scopo di ricatto il voto sulla sindacabilità o meno di Roberto Calderoli era spudorato. Meno vistoso, non meno sfrontato, il rinvio del voto sull’autorizzazione all’arresto per l’Ncd Bilardi per garantirsi uno strumento di pressione valida sul partito di Alfano.
Lavorano i professionisti del mercato nero, lavorano anche gli ex primi cittadini. Giorgio Napolitano, a onta dell’età, sarebbe infatti attivissimo nel cercare di riportare all’ovile i dissidenti del Pd. Sono 30, quelli in via di recupero non vanno oltre i 6, sia nei calcoli dei dirigenti della minoranza che in quelli della maggioranza. Se confermato, per palazzo Chigi sarebbe un bilancio da brivido. Le cose vanno meglio sul fronte Ncd. Tutto il promettibile sarebbe stato promesso, inclusa, quale parte presentabile del pacchetto, la modifica dell’Italicum. La fortuna della campagna la si verificherà solo al momento del voto, ma di certo ieri era percepibile un notevole sollievo nei ranghi di Renzi. I dissidenti non sarebbero ora più di 3 o 4, disposti a uscire dall’aula invece che con un ben più pericoloso voto contrario.
Anche così e nonostante l’appoggio della banda Verdini (nome in codice: gruppo Ala; voti preziosi: 10 tondi, tra cui quel senatore D’Anna che in prima lettura era stato forse il più incarognito e a volte sboccato avversario della riforma) i conti senza recuperare i dissidenti Pd non tornano. Ma per fortuna che Denis c’è. Ha già acquistato, pardon conquistato, due voti in arrivo del gruppo di Raffaele Fitto, dicono i malpensanti distribuendo promesse di alti incarichi come fossero spiccetti: Ciro Falanga ed Eva Longo. Vengono entrambi dalle prime file dell’area guidata da Nicola Cosentino.
Grandi manovre sono in corso per portare a casa anche due senatori del gruppo misto componente verde, Pepe e De Pin, mentre una partita a sé riguarda la compagine delle tre senatrici ex leghiste. Passeranno al gruppo di Fitto, ma sono in corso trattative dirette tra palazzo Chigi e Flavio Tosi (dicono con un’autostrada di mezzo) per posticipare la dipartita delle senatrici che hanno lasciato il Carroccio per seguire il sindaco di Verona espulso da Salvini. Giusto il tempo di votare le riforme prima di tornare a opporsi .
Poi c’è la pressione su Forza Italia perché lasci l’aula al momento opportuno. Più che le promesse lì vale la minaccia: attenti che si finisce per votare. I forzisti non ci credono («figurarsi se Renzi vota con il Consultellum», sbotta Paolo Romani, il capogruppo). Finirà come finirà, ma tra minacce, ricatti, forzature e compravendite il senato somiglia sempre più al set di un film noir. Lo si potrebbe titolare Il clan dei fiorentini.
Fonte: il manifesto
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