
di Richard Falk
Negli anni successivi alla II Guerra mondiale, c’era l’opinione diffusa che sarebbero prevalse le menti razionali e che le armi nucleari non sarebbero state ulteriormente sviluppate e che possederle e adoperarle come minaccia e usarle sarebbe stato proibito. L’inizio della Guerra Fredda, l’acquisizione sovietica della bomba, e la minaccia di Eisenhower di usare le armi nucleari, se necessario, per porre fine alla Guerra di Corea, ha fondamentalmente estinto qualsiasi reale prospettiva di disarmo nucleare. Naturalmente, la diplomazia della difesa della pace e della non proliferazione nucleare ha reso opportuno continuare ad affermare il disarmo nucleare come scopo della politica estera. E di fatto fino agli anni ’60, sia Washington che Mosca negoziavano le proposte di disarmo con una certa ostentazione , e tuttavia mancavano della volontà politica di affrontare ciò che era già diventato il potente establishment nucleare che era una componente principale del complesso militare-industriale che è stato descritto in maniera così memorabile nel Discorso di Addio di Eisenhower che è ancora rilevante.
E’ su questo sfondo che diventò sempre più chiaro che le armi nucleari sarebbero rimaste parte della scena geopolitica fino a quando il loro ruolo veniva lasciato ai governi e alla normale politica. Abbastanza presto tutti i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU optarono per il possesso delle armi nucleari che di conseguenza sembrò connettere lo status di grande potere a livello globale con l’ingresso nel club del nucleare. La sua espansione oltre il circolo dei vincitori della II Guerra mondiale è stata più problematica dato che l’ulteriore diffusione degli armamenti si scontrò con la priorità geopolitica della non proliferazione e con la mentalità oligopolistica che era già condivisa dagli stati con armi nucleari, e smentiva l’affermazione fondamentale dell’Occidente che le armi nucleari erano necessarie ed efficaci in una posizione deterrente, mantenendo la pace scoraggiando gli attacchi e le provocatorie iniziative internazionali. La ragione fondamentale strategica degli armamenti nucleari su cui fanno affidamento gli Stati Uniti e l’Europa, mettevano in evidenza la necessità di controbilanciare la superiorità sovietica e l’accesso territoriale dalla loro base alla massa continentale asiatica.
Fin dagli anni ’80 i pacifisti, specialmente quelli con profonde convinzioni religiose, lanciarono campagne della società civile incentrate sull’immoralità di minacciare o di usare le armi nucleari, e anche sul possederle e anche sul prendere in considerazione un loro possibile uso. Questi attivisti con profondissime convinzioni hanno fatto ripetutamente ricorso alla disobbedienza civile non violenta, talvolta in forme provocatorie (facendosi uscire il sangue presso le strutture nucleari, danneggiando le testate nucleari, bloccando i treni che trasportavano i missili), per comunicare la profondità della loro opposizione e la loro personale disponibilità di accettare condanne al carcere affinché il loro messaggio venisse sentito meglio. Sono stato profondamente commosso e influenzato dalla purezza di parecchie delle principali personalità che seguivano questa linea di pensiero e azione e vi ho partecipato con un ruolo di sostegno essendo un testimone esperto in vari casi giudiziari di alto profilo. Tra le personalità che ho conosciuto tramite questo contatto e che ammiravo particolarmente, c’erano i fratelli Berrigan, Daniel and Philip, Elizabeth McAlister, and James Douglass. Erano e rimangono per me alcune delle figure più carismatiche e stimolanti nella mia esperienza di vita, non soltanto per la loro limpidezza anti-nucleare (accompagnata da precedenti forte posizioni contro la Guerra del Vietnam e da più ampi impegni di servizio ai poveri), ma per il modo in cui collegavano queste forti identità spirituali agli stili della loro vita quotidiana e agli impegni di cittadini che fondevano armoniosamente valori religiosi con la comprensione morale/politica profondamente sentita e materia di riflessione, circa il modo in cui vivere nel mondo.
Ero particolarmente attratto verso l’opera e la prospettiva del Centro Ground Zero per la Protesta Non-violenta, fondato da James and Shelley Douglass in Bangor, nello stato di Washington, perché riuscivano ad aprire un dialogo con molte persone nell’area metropolitana di Seattle con la loro opposizione inflessibile e duratura al nuclearismo, incentrata in parte sulle cosiddette armi da primo colpo nucleare: https://it.wikipedia.org/wiki/Primo_colpo_nucleare. Questa visione del mondo, si univa alla loro accettazione del Cristianesimo pre-Costantiniano, proprio quello delle prime comunità cristiane che venivano perseguitate e che tuttavia aderivano alle loro convinzioni e pratiche, e di Gandhi, la cui vita, opera e pensiero stabilivano la potenzialità radicalmente trasformativa della non violenza militante. Durante gli anni in cui ero in contatto con le persone di Ground Zero, fui colpito dalla loro convinzione profonda che il punto di confronto è sempre la conversione alla verità e all’azione giusta, e non un giudizio effimero su male. In virtù di questi sforzi, riuscivano a creare una vasta comprensione con la loro opera, alla fine persuadendo l’Arcivescovo di Seattle, Raymond Hunthausen, che una volta era apolitico, a unirsi a loro nella disobbedienza civile non violenta e a ottenere il rispetto e anche l’appoggio di alcuni procuratori locali.
Un elemento importante nelle loro vite di dedizione, era la forte convinzione di essere all’altezza della morale di Norimberga, compreso il rispetto per la Carta dell’ONU e per la legge internazionale in generale. Il mio ruolo è stato di dimostrare che le loro convinzioni in ciò che chiamavo ‘l’obbligo di Norimberga’, creava un dovere civile, se non legale, di opporsi, in limiti ragionevoli, alle politiche e al comportamento del governo se questo violava direttamente la legge internazionale e, ancora di più, se il contesto implicava fare la guerra. Ho dato anche la mia opinione che era saggio che gli individui credessero che tutte le attività connesse con le armi nucleari implicassero o stessero portando a commettere il più grave crimine di guerra, e che quelle persone che venivano accusate credessero di aver agito così.
Da un punto di vista alquanto più laico, Daniel Ellsberg seguiva queste orme, affrontando un viaggio che lo ha portato dai pinnacoli del potere di stato a Washington come massimo consigliere di strategie alla sua coraggiosa decisione che ha creato un precedente, di diffiondere i Pentagon Papers (“Documenti del Pentagono”) che divulgarono i segreti erroneamente taciuti al pubblico americano, una scioccante testimonianza documentaria delle politiche e della condotta del governo statunitense in relazione alla Guerra del Vietnam.
Conoscevo Ellsberg da quando eravamo entrambi studenti ad Harvard negli anni ’50 e originariamente eravamo agli estremi opposti dello spettro politico. Dan era uno studente brillante della strategia della Guerra Fredda all’interno del paradigma realistico esistente e io ero un critico sconosciuto e alienato, ma riuscimmo a mantenere un certo contatto negli anni successivi; ero uno di coloro a cui affidò il deposito dei documenti di massima segretezza che costituivano i Pentagon Papers, e che fu in seguito chiamato a testimoniare davanti al Grand Jury di Boston (convocato per indagare sulla punibilità della loro diffusione ) e in seguito come esperto nel processo penale che il governo iniziò e perse riguardo a Ellsberg e al NY Times.
Mentre era al Pentagono, Ellsberg aveva lavorato ai piani di guerra nucleare, il segreto dei segreti, condiviso irresponsabilmente nel corso degli anni con quegli incauti avventurieri militari come Curtis LeMay e Dick Cheney, e con i loro colleghi meno estremisti. E’ un miracolo che con la conoscenza “incubata” della realtà più letale che la specie umana abbia mai affrontato, queste catastrofi che la mettono a repentaglio, non abbiano ancora oscurato l’orizzonte.
La perseveranza di Ellsberg rispetto agli armamenti nucleari è diventata emblematica. Inoltre, tenendo conferenze in tutto il mondo, ha commesso disobbedienza civile almeno 100 volte, impegnato lunghe in veglie e digiuni dedicate a drammatizzare i fallimenti dell’ONU e del governo degli Stati Uniti di realizzare il disarmo nucleare. Recentissimamente, durante un evento svoltosi il 7 agosto per commemorare il 70° anniversario degli attacchi nucleari, Ellsberg si è unito ad altri 50 dimostranti in un ‘die-in’ (una protesta in cui i partecipanti fanno finta di essere morti) davanti ai Laboratori Lawrence Livermore dove da decenni si sono sviluppate di continuo le testate nucleari per raggiungere più alti livelli di perfezione annientatrice. Vale la pena osservare che i Laboratori Livermore si trovano in California, che è nella Zona della Baia di San Francisco e che l’ampio bilancio per il lavoro sulle armi, spesso superiore a un miliardo, è finanziato a livello federale dal Dipartimento dell’Energia e l’operazione viene portata avanti in partenariato tra l’Università della California e varie grosse aziende; è un’alleanza che fa pensare ai legami tra governo, università e il settore privato. Le parole pronunciate da Ellsberg a Livermore meritano che le consideriamo e che vi prestiamo attenzione nel modo migliore possibile dovunque ci situiamo: “Le uccisioni di Hiroshima sono state un omicidio di massa….Nei piani specifici ai quali ho lavorato e in quelli a cui ho lavorato in Russia, il fumo salirà nella stratosfera come è successo a Hiroshima con una tempesta di fuoco più grande. Simultaneamente, però, migliaia di città con pilastri di fumo si uniranno in tutto il globo bloccando la luce dl sole in modo che basterà a uccidere i raccolti in tutto il mondo, e a condannare a morte quasi l’intera popolazione del mondo. E’ la macchina del Giorno del giudizio, la Fine. Lo sapevamo, non all’epoca della Crisi dei missili cubani, ma negli scorsi 25 anni, e tuttavia queste minacce vanno avanti; le minacce vanno avanti. Sono minacce di porre fine a quassi tutta la vita. Non è mai un giorno adatto per morire, ma è un giorno adatto per essere arrestati.”
E’ un messaggio sobrio ma anche un riconoscimento del punto in cui siamo come nazione, e di che cosa fa presagire per la vulnerabilità della specie, ma anche di che cosa significa, dal punto di vista culturale quando la sicurezza nazionale si fonde in maniera immorale con una minaccia latente di mettere in atto un massiccio genocidio, anche un omicidio. 70 anni dopo Hiroshima e Nagasaki, è deplorevole che più che mai sono le voci nel deserto quelle che parlano più chiaramente a coloro che sono i gestori globali della sicurezza per i popoli del mondo. Possiamo essere grati a coloro che hanno messo a rischio i loro corpi in questa tradizione ininterrotta di obbedienza civile anti-nucleare. Un aspetto del problema deriva dal fatto che i media usano quasi tutto il loro peso a favore dei militaristi che sostengono il nucleare, e si rifiutano di prestare attenzione o di dare spazio a coloro che da decenni cercano altruisticamente di svegliarci da questo lungo, rischioso e immorale ‘sonno nucleare’.
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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