La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 9 settembre 2015

L’ambivalente stigma della devianza

di Vincenzo Scalia
Nella società con­tem­po­ra­nea la tema­tica delle migra­zioni si con­nota come un fiume car­sico, che si ina­bissa e riaf­fiora in coin­ci­denza coi momenti di crisi e di tra­sfor­ma­zione delle società di acco­glienza. La pre­ca­rietà sociale dello stra­niero, al pari della sua eccen­tri­cità cul­tu­rale e della mar­gi­na­lità eco­no­mica, for­ni­scono da sem­pre ai cori­fei della legge e dell’ordine suf­fi­ciente mate­riale a cui attin­gere per intes­sere discorsi xeno­fo­bici e intol­le­ranti. Al di là delle iste­rie, del panico e della costru­zione delle ren­dite poli­ti­che, sus­si­stono tut­ta­via delle dina­mi­che sto­ri­che e sociali di lungo ter­mine, all’interno delle quali è pos­si­bile inqua­drare i feno­meni migra­tori come feno­meni fisio­lo­gici di ogni società, che ne ricon­fi­gu­rano la trama fon­da­tiva e ne gui­dano le tra­sfor­ma­zioni, anche al prezzo di pas­saggi trau­ma­tici, come quelli pro­dotti dall’interazione tra migra­zioni e sistema penale.Dario Melossi, nel suo ultimo lavoro Crime, Punish­ment, and Migra­tion (pp.90, Sage, Lon­don), ine­dito in Ita­lia, descrive e ana­lizza que­sti pro­cessi attra­verso le lenti della socio­lo­gia e della cri­mi­no­lo­gia cri­tica, adot­tando una pro­spet­tiva spazio-temporale che, par­tendo dalle ori­gini del sistema capi­ta­li­sta, mette a con­fronto l’esperienza sta­tu­ti­ni­tense con quella euro­pea.

I migranti, spiega Melossi, si carat­te­riz­zano per la loro spinta inno­va­tiva, in senso mertoniano.
In altre parole, l’ingresso sulla scena pub­blica di sog­getti indi­vi­duali e col­let­tivi, pro­duce una discre­panza tra i fini con­di­visi dall’intera società e i mezzi a dispo­si­zione per rag­giun­gerli. Già Karl Marx, nel Capi­tale, met­teva in evi­denza come la classe ope­raia discen­desse dalla massa di mano­do­pera agri­cola ecce­dente, affluita dalle cam­pa­gne in seguito alle enclo­su­res, e spesso costretta a vivere di espe­dienti in quanto il nascente sistema pro­dut­tivo mani­fat­tu­riero non era in grado di assor­birla tutta. È per loro, che a Lon­dra e ad Amster­dam, nascono all’inizio del XVII secolo, le prime isti­tu­zioni puni­tive che, alla fine del Set­te­cento, sfo­ce­ranno nelle isti­tu­zioni penali con­tem­po­ra­nee, vere e pro­prie fucine disci­pli­nari che pla­smano il moderno pro­le­ta­riato. Le cro­na­che odierne non stanno dun­que regi­strando nes­sun feno­meno ati­pico o cata­stro­fico. Si tratta, sem­mai, di un pro­cesso ciclico, che sta­volta si arti­cola su scala glo­bale. Le nuove classi peri­co­lose ecce­dono le guerre, la fame, la scar­sità di risorse pro­dotte dalle tra­sfor­ma­zioni del capi­ta­li­smo contemporaneo.
All’interno del cosid­detto «ciclo della cana­glia», uno schema ana­li­tico che Melossi pro­pone con effi­ca­cia da anni, si pro­du­cono le tra­sfor­ma­zioni all’interno della società di arrivo. Se le prime gene­ra­zioni di migranti, in seguito alla scar­sità di risorse sim­bo­li­che a loro dispo­si­zione, si adat­tano alle con­di­zioni di mar­gi­na­lità pre­di­spo­ste per loro nel loro nuovo Paese, la que­stione dell’innovazione si pone in tutta la sua cri­ti­cità con le seconde gene­ra­zioni. Una fascia sociale di per­sone nate e cre­sciute nella società di arrivo, della quale inte­rio­riz­zano le norme e i valori, si trova a fare i conti con l’accesso sbar­rato alle oppor­tu­nità di mobi­lità sociale. Que­sta dina­mica fini­sce per sfo­ciare in un esito con­flit­tuale nei periodi di crisi eco­no­mica o di fram­men­ta­zione sociale, oppure, come nell’Italia con­tem­po­ra­nea, nella cor­nice eco­no­mica del post­for­di­smo, che fa della seg­men­ta­zione e della pre­ca­rietà la pro­pria carat­te­ri­stica peculiare.
A que­sto punto, entra in gioco lo Stato, con le sue carat­te­ri­sti­che locali. Se negli Stati Uniti, paese di immi­gra­zione, la blanda repres­sione dell’immigrazione clan­de­stina pro­duce bassi tassi di devianza tra i migranti, nei Paesi euro­pei, e in par­ti­co­lare in Ita­lia, il ruolo attivo dello Stato nella rego­la­men­ta­zione dei pro­cessi migra­tori sor­ti­sce l’effetto oppo­sto. Privi di sta­tus legale, sog­getti ad azioni repres­sive, i migranti si dibat­tono nella pre­ca­rietà eco­no­mica e nella mar­gi­na­lità sociale, finendo a volte per oscil­lare tra i le eco­no­mie legali e quelle ille­gali. Inol­tre, le forze di poli­zia, agi­scono la loro azione pre­ven­tiva e repres­siva soprat­tutto su per­sone stra­niere, più facil­mente iden­ti­fi­ca­bili per i loro tratti soma­tici e per le con­di­zioni di segre­ga­zione resi­den­ziale in cui spesso ver­sano. Ne con­se­gue l’attivazione del pro­cesso di devianza secon­da­ria, in seguito alla quale i migranti inte­rio­riz­zano l’identità deviante come unica pos­si­bi­lità a loro dispo­si­zione per soprav­vi­vere nella società di accoglienza.
Come se ne esce? Melossi sug­ge­ri­sce che gli Stati dell’Unione Euro­pea pren­dano atto del fatto che si sono tra­sfor­mati in Paesi di immi­gra­zione, e che, di con­se­guenza, adot­tino delle poli­ti­che di inte­gra­zione che abbas­sino la guar­dia sul piano dello sta­tus legale e man­dino in sof­fitta le poli­ti­che neo-liberiste. L’Europa, d’altro canto, si trova con un appa­rato pro­dut­tivo fati­scente e una popo­la­zione sem­pre più «vec­chia». Le masse di gio­vani con aspet­ta­tive di una vita migliore rap­pre­sen­tano un’occasione da non per­dere. Sem­pre che non ci con­ten­tiamo dei for­mat di pla­stica alla Mat­teo Renzi.

Fonte: il manifesto

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