La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 16 settembre 2015

L’attualità dei valori della sinistra

di Laura Boldrini
Per inter­ve­nire nel dibat­tito assai inte­res­sante pro­mosso dal mani­fe­sto parto da un dato che mi pare scom­parso troppo rapi­da­mente, quasi rimosso, dalla discus­sione poli­tica degli ultimi mesi: il pesante calo dell’affluenza regi­strato alle ultime Regio­nali.
Sono per­cen­tuali che devono con­ti­nuare a tenere in ansia tutti coloro che cre­dono ad una con­ce­zione non for­ma­li­stica della demo­cra­zia, ed in par­ti­co­lare la sini­stra ita­liana che dei tassi di par­te­ci­pa­zione elet­to­rale tra­di­zio­nal­mente alti ha fatto per decenni, e giu­sta­mente, una sua bandiera.
A que­sto impo­ve­ri­mento della vita pub­blica non ci si può rassegnare.
Né con­vince la spie­ga­zione che vor­rebbe spac­ciarlo come “alli­nea­mento alle dina­mi­che occi­den­tali”. Serve invece un coin­vol­gi­mento pieno dei cit­ta­dini, dei corpi inter­medi, delle rap­pre­sen­tanze asso­ciate. Credo si debba dare visi­bi­lità e rap­pre­sen­tanza poli­tica alle forme di par­te­ci­pa­zione vec­chie e nuove, com­preso quell’attivismo digi­tale capace di costruire cam­pa­gne che arri­vano a farsi sen­tire e ad inci­dere anche nelle stanze delle istituzioni.
Insieme ai dati elet­to­rali, c’è un’altra per­cen­tuale che uso come chiave di ana­lisi e di orien­ta­mento poli­tico. E’ quella che ricorda Michele Ainis in un suo libro di qual­che mese fa: «In Ita­lia la dise­gua­glianza fra le classi sociali è cre­sciuta del 33% dopo gli anni Ottanta, con­tro una media Ocse del 12%. Insomma, il tri­plo». Una situa­zione così bloc­cata che «il 53% degli ita­liani rimane intrap­po­lato nel suo ceto d’origine».
Vor­rei che la sini­stra ita­liana, nelle sue mul­ti­formi arti­co­la­zioni, non dimen­ti­casse mai que­ste poche cifre, e tro­vasse in esse una delle ragioni essen­ziali del neces­sa­rio impe­gno comune.
Non ha nulla di nove­cen­te­sco, il cri­te­rio delle dise­gua­glianze sociali: in forme nuove, man­tiene una duris­sima cen­tra­lità che la bat­ta­glie “anti­ca­sta” e “anti­bu­ro­cra­zia” non devono offu­scare. Ad una sini­stra che sia con­sa­pe­vole dei pro­pri valori e della loro attua­lità, si offre oggi un campo di azione poten­zial­mente per­sino più ampio che in passato.
Un campo di azione che — ormai lo stiamo com­pren­dendo tutti — non può più avere i con­fini degli Stati nazio­nali. Il ter­reno sul quale la sini­stra, anche ita­liana, deve dimo­strare la sua vita­lità è sem­pre più quello europeo.
Negli ultimi mesi ce lo hanno detto due vicende di por­tata epocale.
Da un lato la crisi greca, dove l’incontrovertibile fal­li­mento dell’austerità messa in atto negli anni scorsi non è tut­ta­via bastato ad assi­cu­rare un’inversione nelle poli­ti­che eco­no­mi­che dell’Unione. L’Europa, que­sta Europa, non sa ancora assu­mere come metro di valu­ta­zione delle scelte finan­zia­rie il loro impatto sociale, e con­ti­nua a tenere al lac­cio di un rigore miope le espe­rienze nazio­nali più pena­liz­zate dal modello “troika”.
Dall’altro la que­stione dei rifu­giati, che sui libri di sto­ria ricor­de­remo un giorno anche attra­verso il com­mo­vente titolo “Niente asilo” con cui il manifesto ha reso omag­gio al pic­colo Aylan.
E’ evi­dente che nes­suno Stato può rispon­dere da solo: serve una poli­tica comune dei 28 Paesi, tale da con­sen­tire un’equa distri­bu­zione di oneri e respon­sa­bi­lità. Ed è altret­tanto chiaro che, sul filo spi­nato della fron­tiera unghe­rese, l’Europa si gioca una parte deter­mi­nante della sua cre­di­bi­lità come terra dei diritti e delle libertà.
Per que­sto, alla domanda che fa Norma Ran­geri nel “deca­logo” che ha avviato que­sto dibat­tito — «l’idea degli Stati Uniti d’Europa ha ancora una forza trai­nante?» — rispondo con il sì più netto.
Se resta così com’è, l’Europa affonda tra la disaf­fe­zione dei cit­ta­dini e gli assalti pro­pa­gan­di­stici dei dema­go­ghi. Ma tor­nare den­tro gli Stati nazio­nali è ana­cro­ni­stico e illusorio.
Serve uno scatto deciso verso l’integrazione, verso un’unione fede­rale di Stati in cui l’economia sia al ser­vi­zio delle scelte poli­ti­che e dove la dimen­sione sociale assuma indi­spen­sa­bile cen­tra­lità, se non vogliamo che le nostre demo­cra­zie collassino.
Su que­sti temi, così come sulle que­stioni della cit­ta­di­nanza e delle unioni civili, mi pare che le varie anime della sini­stra ita­liana abbiano più ragioni di dia­logo e di azione comune che non di scontro.
Resto con­vinta, come ripeto da ini­zio legi­sla­tura, che sia inna­tu­rale la col­lo­ca­zione su fronti oppo­sti di forze che hanno ideali e obiet­tivi lar­ga­mente comuni. Dai ter­ri­tori, dalle espe­rienze fatte in impor­tanti Comuni — a par­tire dalla Milano di Giu­liano Pisa­pia, che ha svolto e svolge un ruolo di “ponte” essen­ziale anche a livello nazio­nale — viene una lezione che va messa a frutto innan­zi­tutto nelle Ammi­ni­stra­tive della pri­ma­vera prossima.

Fonte: il manifesto
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