La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 17 settembre 2015

L’«ex sinistra» non è certo Tsipras

di Faber Fabbris
In que­ste ultime set­ti­mane si è inten­si­fi­cata la cam­pa­gna di cri­ti­che a Tsi­pras. Da eroe mon­diale, il primo mini­stro greco è pas­sato a «yesman» delle con­sor­te­rie libe­rali. Tutto que­sto nel giro di qua­ran­totto ore (12–13 luglio).
La lista è lunga: per­sino (l’ottimo) Can­fora ha defi­nito da que­ste colonne Syriza «ex-sinistra», decisa (non meno che il Pds-Ds-Pd) a «pun­tare, con qua­lun­que alleato, ad andare al governo a qua­lun­que costo per fare una qua­lun­que poli­tica» (sic). Tanto che Tsi­pras ha scelto di dimet­tersi per la rot­tura della sua mag­gio­ranza poli­tica piut­to­sto che cer­care di rag­gra­nel­lare qual­che fuoriuscito.
Mi pare che i neo­cri­tici di Tsi­pras pro­ce­dano secondo un approc­cio da con­ci­lio medie­vale, nel quale sia neces­sa­rio deci­dere, nel chiuso di una stanza, se lo spi­rito santo pro­cede dal padre e dal figlio o dal padre uni­ca­mente. Ragio­nano, cioè, come se il com­pito della poli­tica fosse quello di defi­nire il miglior esito astrat­ta­mente con­ce­pi­bile (pla­to­ni­ca­mente), piut­to­sto che met­tere in opera ciò che sia agi­bile nelle con­di­zioni sto­ri­ca­mente date (come invece rac­co­manda Aristotele).
E le con­di­zioni date, qui ed ora, sono lo spec­chio feroce dei rap­porti di forza, non tanto tra Gre­cia e Ger­ma­nia ma fra chi difende gli inte­ressi del capi­tale e chi cerca di fare scudo a quelli del lavoro. Che la bat­ta­glia per la rimessa in discus­sione delle poli­ti­che eco­no­mi­che libe­ri­ste fosse una bat­ta­glia «di vita o di morte» è stato chiaro fin dall’inizio della trat­ta­tiva. Gli inte­ressi con­ver­genti della finanza e del con­ser­va­to­ri­smo sono stati difesi con i denti e con le unghie, con metodi ai limiti del gang­ste­ri­smo (il taglio delle liqui­dità, già dal 4 febbraio).
Tsi­pras ha com­bat­tuto con luci­dità que­sta bat­ta­glia, ben cosciente di que­sto sce­na­rio, esplo­rando tutto il mar­gine dell’azione con­sen­tita dagli eventi.
Sapendo che un’azione di que­sto tipo si inse­ri­sce in un pro­cesso sto­rico, e non è certo un derby cal­ci­stico o una par­tita a scac­chi. Dove ciò che conta è un’inflessione di lungo periodo degli eventi, che operi sulle con­trad­di­zioni del fronte avverso, che rimo­duli pro­gres­si­va­mente il senso comune, che apra un nuovo ciclo. E non certo la «sor­tita» abile e riso­lu­tiva, che porta al trionfo.
Insomma, come indi­cava Gram­sci, piut­to­sto che la guerra «di movi­mento», si impone quella «di posi­zione, di asse­dio», che è «com­pressa, dif­fi­cile, in cui si doman­dano qua­lità ecce­zio­nali, di pazienza e di spi­rito inven­tivo. Nella poli­tica l’assedio è reci­proco, nono­stante tutte le appa­renze, e il solo fatto che il domi­nante debba far sfog­gio di tutte le sue risorse dimo­stra quale cal­colo esso fac­cia dell’avversario» (Qua­derno VI).
Chie­dere a Tsi­pras di sup­plire alle defi­cienze sto­ri­che, poli­ti­che, intel­let­tuali della vera «ex-sinistra» (Hol­lande, D’Alema, Gabriel, per inten­derci) mi pare insopportabile.

Fonte: il manifesto 
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