La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 9 settembre 2015

Podemos e Izquierda unida: spiragli di alleanza


 
di Jacopo Rosatelli
L’indipendenza della Cata­lo­gna? «Se cia­scuno farà il pro­prio dovere, non ser­virà alcun inter­vento dell’esercito». L’affermazione del mini­stro spa­gnolo della difesa, Pedro More­nés, è una di quelle ras­si­cu­ra­zioni che non ser­vono a tranquillizzare.
Al con­tra­rio: inquie­tano. In un’intervista alla radio pub­blica Rne, l’esponente del Par­tido popu­lar ha rispo­sto così a una domanda circa il pos­si­bile ruolo delle forze armate nel con­flitto poli­tico che con­trap­pone il governo di Bar­cel­lona a quello di Madrid. Un inter­ro­ga­tivo che si com­prende meglio se si tiene pre­sente quanto sta­bi­li­sce la Costi­tu­zione ibe­rica all’articolo 8: l’esercito «ha come mis­sione garan­tire la sovra­nità e l’indipendenza della Spa­gna, difen­dere la sua inte­grità ter­ri­to­riale e l’ordinamento costituzionale». Un pre­cetto figlio della tran­si­zione con­cor­data fra regime fran­chi­sta e forze demo­cra­ti­che, e che porta il segno del potere di con­di­zio­na­mento che i mili­tari, alla morte del dit­ta­tore, ancora conservavano.

Furono i 14 anni di governo del socia­li­sta Felipe Gon­zá­lez (1982–1996) a boni­fi­care par­zial­mente le forze armate, la cui avver­sione alla demo­cra­zia era emersa nel 1981 con il famoso ten­ta­tivo di golpe del colon­nello Tejero. Ma i resi­dui di fran­chi­smo non sono mai del tutto scom­parsi: nel 2006 il tenente gene­rale José Mena Aguado, il numero due nella gerar­chia dell’esercito, fu rimosso dal ruolo per avere pub­bli­ca­mente auspi­cato un inter­vento mili­tare a tutela dell’integrità dello stato.
Nel mirino, allora, c’era il nuovo Sta­tuto di auto­no­mia della Cata­lo­gna in corso di ela­bo­ra­zione, che pre­ve­deva più com­pe­tenze per la regione di Bar­cel­lona, non certo l’indipendenza. Se tanto bastò a «inner­vo­sire» alcuni ver­tici mili­tari, c’è da cre­dere che l’esplicito dise­gno seces­sio­ni­sta del gover­na­tore cata­lano Artur Mas stia ren­dendo gli ambienti mili­tari madri­leni ancora più turbolenti.
I son­daggi sta­ranno sicu­ra­mente con­tri­buendo a far cre­scere la ten­sione in vista del 27 set­tem­bre, giorno di ele­zioni che si pre­an­nun­ciano come una sorta di «ple­bi­scito» pro o con­tro la seces­sione dal resto della Spagna.
Secondo gli ultimi rile­va­menti, pub­bli­cati dome­nica dal quo­ti­diano cata­lano El Perió­dico, le due liste indi­pen­den­ti­ste sono a un passo dalla mag­gio­ranza asso­luta nel par­la­mento di Bar­cel­lona, pari a 68 seggi: l’aggregazione tra­sver­sale Junts pel Sí (che rag­gruppa il cen­tro­de­stra di Mas e la sini­stra repub­bli­cana) oscil­le­rebbe fra 60 e 62 depu­tati, e la sini­stra radi­cale della Cup ne otter­rebbe 7–8.
Numeri ai quali non cor­ri­sponde, tut­ta­via, una mag­gio­ranza asso­luta nel voto popo­lare: Junts pel Sí è data al 38,8%, men­tre la Cup al 6%. Terza forza sono i cen­tri­sti di Ciu­da­da­nos (da 25 a 27 seggi), seguiti da Cata­lu­nya Sí que es Pot, la lista che rag­gruppa Pode­mos, Izquierda unida e altri movi­menti di sini­stra (da 15 a 17).
I meno votati sareb­bero socia­li­sti e popo­lari, rispet­ti­va­mente quinta e sesta forza. Se l’esito delle urne, tra meno di venti giorni, rispec­chierà le inchie­ste di opi­nione, sarà molto impor­tante la scelta della Cup, la sini­stra radi­cale indi­pen­den­ti­sta: unirsi alla com­pa­gine del gover­na­tore Mas in una coa­li­zione di governo «anti-Madrid», oppure restare all’opposizione.
E pre­sto sarà tempo di deci­sioni defi­ni­tive anche per Pode­mos e Izquierda unida (Iu) sulla crea­zione di liste comuni per le poli­ti­che di dicem­bre. Il movi­mento di Pablo Igle­sias (che ha appena «ingag­giato» l’economista Tho­mas Piketty come con­su­lente) sta cam­biando orien­ta­mento: da un’iniziale «no» all’intesa con Iu si è pas­sati all’apertura di sem­pre mag­giori spi­ra­gli, a cui cor­ri­sponde la piena deter­mi­na­zione a tro­vare un’intesa da parte di Alberto Gar­zón, gio­vane lea­der di Iu.
Un cam­bio di stra­te­gia, quello di Pode­mos, dovuto sia a forti pres­sioni che ven­gono da set­tori affini (come il movi­mento dei sin­daci), sia ai son­daggi meno inco­rag­gianti di qual­che mese fa.

Fonte: il manifesto

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