
di Corrado Oddi
Diversi interventi che si sono cimentati con il «decalogo per l’alternativa» proposto da Norma Rangeri hanno già evidenziato come il tema della costruzione di un nuovo soggetto politico, adeguato a questo scopo nei tempi odierni, sia operazione tutt’altro che semplice.
Il punto di fondo che dà ragione di questa difficoltà è che siamo immersi in un contesto che è radicalmente diverso da quello frequentato dalle sinistre nel Novecento e che rende improponibili le pure rivisitazioni delle sue grandi narrazioni di quell’epoca, sia quella comunista che quella socialdemocratica. È alle nostre spalle il paradigma del capitalismo produttivo-fordista incentrato nello spazio dello Stato-nazione, su cui tutta la sinistra novecentesca si è forgiata, sia nella versione di un capovolgimento rivoluzionario di quel modello produttivo sia in quella di un compromesso avanzato, basato sullo Stato sociale e sull’espansione della democrazia rappresentativa.
Diversi interventi che si sono cimentati con il «decalogo per l’alternativa» proposto da Norma Rangeri hanno già evidenziato come il tema della costruzione di un nuovo soggetto politico, adeguato a questo scopo nei tempi odierni, sia operazione tutt’altro che semplice.
Il punto di fondo che dà ragione di questa difficoltà è che siamo immersi in un contesto che è radicalmente diverso da quello frequentato dalle sinistre nel Novecento e che rende improponibili le pure rivisitazioni delle sue grandi narrazioni di quell’epoca, sia quella comunista che quella socialdemocratica. È alle nostre spalle il paradigma del capitalismo produttivo-fordista incentrato nello spazio dello Stato-nazione, su cui tutta la sinistra novecentesca si è forgiata, sia nella versione di un capovolgimento rivoluzionario di quel modello produttivo sia in quella di un compromesso avanzato, basato sullo Stato sociale e sull’espansione della democrazia rappresentativa.
Il capitalismo finanziario che si è affermato a partire dagli
anni 80 del secolo scorso, e la cui crisi odierna non pare comunque
metterne in discussione la continuità, ha costruito un paesaggio
assolutamente differente rispetto al «secolo breve». Predominio
della finanza, globalizzazione dei mercati e ridimensionamento
dello Stato-nazione, forte salto tecnologico nell’organizzazione
della produzione e nei sistemi di comunicazione e informazione,
«privatizzazione» dello spazio pubblico e della politica,
diversificazione sociale e scomposizione dei soggetti
collettivi e delle loro forme organizzate sono altrettante tessere
di un mosaico inedito, che non può essere interpretato e tantomeno
contrastato con le lenti del passato.
Del resto, non casualmente, l’esperienza socialdemocratica
europea è sostanzialmente giunta al capolinea, come, da ultimo,
evidenzia l’insipienza e la subalternità mostrata nelle vicende
della Grecia. Viceversa, non c’è dubbio che, al di là delle
differenze, l’esperienza di Syriza e Podemos sono lì a dire che
è possibile riprendere le fila di un discorso e di una
soggettività alternativa solo dentro un’innovazione profonda
rispetto alle esperienze delle sinistre che avevamo conosciuto
precedentemente.
In questo quadro, emergono alcuni nodi di fondo che diventa
ineludibile affrontare per costruire un processo costituente per
una nuova soggettività politica a sinistra. Con voluta
parzialità, ne indico tre, che però a me sembrano decisivi. Il primo
riguarda lo spazio europeo, nel senso che, prima ancora di una
discussione sul debito o sull’euro, bisogna avere la
consapevolezza che è perlomeno a questa scala che si gioca la
vicenda della possibilità dell’alternativa e che, dunque, è a
questo livello che si tratta di connettere le forze e le proposte,
al di là delle soluzioni intermedie che si potranno praticare.
Il secondo tema di fondo riguarda la relazione tra soggettività
sociale e quella politica. Ormai è diventato senso comune
riconoscere che il sociale si è politicizzato e la politica non
può che socializzarsi. Si stenta però a trarre le conseguenze di
quest’affermazione, non solo rispetto al riconoscimento
dell’autonomia dei movimenti sociali rispetto alla politica, ma
soprattutto avendo presente che, se mai sia stato vero in passato,
oggi non è riproponibile il «monopolio» dell’azione politica da
parte di un attore centrale e che, invece, una nuova soggettività
politica dovrà inventarsi sia forme originali di intreccio con
l’iniziativa nella società sia elementi di pluralismo interno,
assumendolo come proprio tratto costitutivo. Per certi versi, allo
stesso modo, anche il tema del rapporto tra «alto e basso» va
ricollocato. Una volta giustamente usciti dall’assunzione canonica
della regolazione verticale tra questi due livelli, occorre andare
al di là anche della semplificazione del primato dell’iniziativa
dal basso. La nuova complessità e articolazione sociale richiede un
approccio più ricco e mobile nel ridefinire la relazione tra
questi due piani, capace di rileggerli e valorizzarli entrambi.
Il terzo snodo di riflessione riguarda la questione
dell’oppressione nella pervasività del capitalismo finanziario.
Accanto al permanere dello sfruttamento del lavoro, nelle forme
moderne con cui viene proposto, non si può non vedere come il
processo di mercificazione generalizzata, operato dallo stesso,
faccia emergere nuove condizioni di subordinazione
e eterodirezione sociale e addirittura della persona, in tutte le
sfere dell’esperienza vitale. Producendo, peraltro, forme
specifiche di conflitto, almeno potenziale, che danno ragione della
strutturalità e persistenza di nuove soggettività e movimenti
sociali.
Insomma, stringendo il ragionamento, avanzare sulla strada della
costruzione di una soggettività politica alternativa nel nostro
Paese, comporta avere chiaro che essa non può basarsi su un puro
processo di ricomposizione politica di tutto ciò che si muove o si
muoverà a sinistra del Pd renziano. Ciò è evidentemente
necessario, così come il mettere in campo una nuova leadership
diffusa, anche dal punto di vista generazionale, ma non
è sufficiente. Anzi, se questa diventa la questione centrale da cui
partire, occorre sapere che non si riusciranno a superare logiche
autoreferenziali e frammentazione dei soggetti. Assieme a ciò,
e per certi versi ancora prima, viene la priorità di costruire un
pensiero e un progetto forte e la costruzione della
partecipazione diffusa, del radicamento e del conflitto sociale,
a cui peraltro vari soggetti possono contribuire.
In particolare, per una soggettività politica adeguata
all’oggi il tema di un pensiero che sappia leggere il mondo, di un
progetto di società e di un programma delle scelte da compiere
continua a rimanere un «fondamentale» che non si può saltare
a piè pari. Ho avuto modo di dire e di scrivere in passato che un
soggetto politico della contemporaneità dovrebbe essere radicale
nei contenuti, maggioritario nello sguardo, innovativo nelle
forme. Forse, per andare anche al di là di questo che potrebbe essere
semplicemente un buon slogan, varrebbe la pena proporsi di
redigere collettivamente, dentro una grande discussione
partecipata, le «Tesi per un soggetto politico di alternativa».
Se non altro, potrebbe essere un modo per ampliare ulteriormente il
dibattito e dargli un’anima più consistente.
Fonte: il manifesto
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