La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 8 settembre 2015

Tsipras il paladino, Tsipras il traditore

di Tonino Bucci
Tsipras il paladino, Tsipras il traditore. Capiamoci bene, la storia insegna che gli uomini hanno bisogno di eroi, di figure in cui identificarsi. Ma anche di esempi negativi, di fedifraghi, di capri espiatori. Fin qui, niente di male, niente di anormale. È un elemento risaputo negli studi di psicologia delle masse, persino rivalutato nella sua funzione dai filosofi della politica. La figura carismatica è uno degli ingredienti dei movimenti antagonistici che permette a soggettività individuali, ognuna portatrice di domande differenti, di riconoscersi in soggetti collettivi. Senza questo ingrediente la politica – nello specifico, quella conflittuale – semplicemente non funziona. Nei momenti topici c’è sempre qualcuno che occupa questo posto. La storia abbonda di esempi. Non vale la pena perder tempo a discutere se Tsipras sia un leader. Lo è, punto. Nonostante tutto, è lì a giocarsi la rielezione. Men che mai, ha senso tirare in ballo la categoria (im)morale di tradimento. Per quale motivo Tsipras avrebbe dovuto mangiarsi le promesse elettorali? Per opportunismo? Per mantenere il potere? Non essendo sprovvisto di acume politico, il segretario di Syriza ha rassegnato le dimissioni e fugato l’ombra del sospetto. Con questo sgomberiamo il campo da inutili discussioni tra detrattori e agiografi.
I problemi sono altri. Purtroppo, c’è da aggiungere. Perché la questione di fronte alla quale si trova attualmente Syriza e, di converso, tutti i movimenti e i partiti alla sinistra della socialdemocrazia in Europa, appare insormontabile. Tsipras ha fatto quel che poteva fare. A lui e al suo governo non si può imputare di non aver intavolato estenuanti trattative con i vertici della zona dell’Ue, andate avanti per mesi fino al limite della resistenza. Appunto. Proprio qui sta il dramma. Syriza si è scontrata con i limiti della sua proposta politica o, se si preferisce una versione più consolatoria, con i margini strettissimi che oggi la realtà pone alle ricette della sinistra radicale. Nulla da obiettare sul piano che il governo Tsipras ha provato a realizzare – che, poi, è quello con cui aveva vinto le elezioni. La gran parte delle forze a sinistra della socialdemocrazia si ritrovano accomunate dalla stessa proposta, per inciso, la più ragionevole e condivisibile: restare nell’euro per forzare i limiti e cambiare le regole del gioco. Gli sforzi del governo greco, però, non sono bastati. Il titanismo dell’impresa è la miglior prova di cui disponiamo che, ad oggi, non ci sono le condizioni oggettive per attuarla con successo. È una linea che per essere efficace ha bisogno di essere accettata dalla controparte. La sinistra greca ha dimostrato che si possono vincere le elezioni, poi un referendum, poi probabilmente di nuovo le elezioni, ma se Schäuble e compagnia bella non cedono e non accettano le richieste, cosa fare? Aspettare che la propria posizione politica diventi egemone anche negli altri paesi europei, oggi in Grecia, domani in Spagna, poi si spera in quelli che contano di più, e nel frattempo rassegnarsi a digerire a malincuore programmi di austerità che dall’opposizione si definivano inaccettabili? Oppure prepararsi a un piano B, all’uscita dall’euro, e dare così implicitamente per morto e sepolto il piano A? Per nera che la si veda, la sinistra radicale, grazie ai greci, può trarre una grande lezione politica dalla loro vicenda. Anzi, due. La prima è che una proposta teorica è valida se supera la prova del governo. Se è incompatibile con la realtà significa che è troppo astratta o troppo in anticipo sui tempi. Allora bisogna inventarsi qualcosa di diverso. La seconda è che, a volte, anche le sconfitte possono cambiare la realtà e le persone, persino gli avversari. Se non si perdono di vista stile, onestà e intelligenza.

Fonte: Esseblog

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