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di Roberto Ciccarelli
Al workshop Ambrosetti di Cernobbio ieri Renzi è arrivato in
elicottero con lo scalpo dell’articolo 18 e ha riscosso il plauso di
Gian Maria Gros Pietro (Intesa San Paolo) e Federico Ghizzoni
(Unicredit) per l’«intervento energico» «che ha «conquistato la
platea». Dopo una grandinata durata mezz’ora, la rentrée
settembrina è girata al bello. Davanti ad una platea congeniale
alla sua epica ciclistica («l’Italia è come il ciclista caduto,
rientrato nel gruppo di testa, alla ricerca della maglia rosa»), Renzi
ha fatto l’occhiolino alla classe che ha sottoscritto il 22 agosto
una pubblicità a pagamento sul Corriere della Sera. Leggerlo oggi,
confrontandolo con il rosario di cose fatte e rivendicazioni
snocciolato ieri a Cernobbio conferma la coerenza dello
«story-telling» di Palazzo Chigi. Le veline sono le stesse.
Partiamo dai dati fatali sull’occupazione e il Pil. Da quando
l’Istat ha rivisto al rialzo il Pil annuo (+0,6%) e attestato la
crescita degli occupati (+0,8%), Renzi sprizza di gioia. «Siamo al
Governo da 18 mesi , i numeri di oggi ci dicono che abbiamo avuto un
aumento dei posti di lavoro 236mila unità – ha detto — L’italia ha perso
927mila posti di lavoro durante la crisi: un recupero del 25% che non
è sufficiente ma è un dato di fatto che i numeri dicano questo e che
la zona dove si recuperano posti di lavoro è il mezzogiorno». È come
paragonare le mele con le pere. Il dato sui posti perduti
dall’inizio della crisi è diverso da quello attuale.
In più i nuovi
posti di lavoro sono trainati dagli ultracinquantenni (+5,8%),
trattenuti al lavoro dall’inasprimento dei requisiti imposti dalla
riforma Fornero a dispetto dei più giovani dall’età compresa tra i 15
e i 34 anni (-2,2%) e 35–49 anni (-1,1%). A questa si aggiunge la
disuguaglianza territoriale: sebbene a livello nazionale il tasso
di disoccupazione sia sceso al 12,1% (a giugno era al 12,5, ai
minimi dal 2013), mentre quello di occupazione è salito al 56,3%
(+0,1% sul mese e +0,7% sull’anno), a Sud la disoccupazione resta
stabile al 20,2% mentre al Nord del 7,9%. Dai dati Istat evocati
a Cernobbio risulta che la crescita non produce occupazione
stabile [jobless recovery], la disoccupazione generale resta
stabile e riguarda 3 milioni e 100 mila individui.
Sullo sbandierato aumento di 44 mila occupati in un mese e 235
mila in un anno (per ora) hanno influito soprattutto i contratti
a termine (+3,3%), il part-time involontario (sette casi su dieci)
e solo in minima parte i dipendenti a tempo indeterminato (+0,7%)
sostenuti dagli ingenti esoneri contributivi previsti a corredo
del Jobs Act. Un dato assai modesto, e in flessione da giugno, che
conferma un aspetto culturale decisivo del governo Renzi,
interessato al lavoro dipendente – e non alle partite Iva — e a
premiare l’impresa con sussidi a pioggia. Quella che lo ha
applaudito ieri a Cernobbio quando ha ascoltato dal premier
«l’articolo 18 non c’è più, l’Italia ha cambiato pagina».
Peccato non avere detto che, da almeno cinque anni, il boom del
lavoro a termine ha negato alla maggioranza dei nuovi assunti questo
beneficio. In compenso, uno dei decreti attuati del Jobs Act impone
a questi assunti controlli a distanza, da oggi potranno essere spiati
attraverso pc, tablet, telefoni, videocamere.
Dopo qualche battuta, applaudita, contro la minoranza Pd, lo
show ha puntato sull’abolizione di Imu e Tasi nel 2016, taglio
dell’Ires nel 2017 e poi l’irpef nel 2018. è la ricetta forte per
l’autunno e Renzi ha puntato tutte le sue fiches. Dopo la Corte dei
Conti, la Cgil, ieri il think tank prodiano Nomisma – calcoli alla
mano – ha bocciato lo sfavillante progetto: la cancellazione
della tassa sulla prima casa «non persegue obiettivi di
redistribuzione del carico fiscale nel senso di una maggiore
equità». Il taglio dell’Imu darebbe uno stimolo modesto al mercato
(inferiore all’1%), le famiglie proprietarie avrebbero uno
sgravio di 17 euro e a beneficiarne sarebbero quelle «con
disponibilità reddituali elevate». «Appare alquanto faticoso
individuare la linea di politica economica che si intende
perseguire». Che gufi, quelli di Nomisma.
Fonte: il manifesto
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