La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 16 settembre 2015

Se chiedere di pagare le tasse è una rivoluzione

di Luca Kocci
Le dichia­ra­zioni di papa Fran­ce­sco sul paga­mento dell’Imu da parte della Chiesa, rila­sciate l’altro ieri all’emittente cat­to­lica por­to­ghese Rádio Rena­sce­nça, sono state pre­sen­tate come dirom­penti dalla mag­gior parte dei media: «Svolta sull’Imu» hanno tito­lato i più tie­pidi, «Rivo­lu­zione» i più acca­niti. Eppure, se lette con animo equi­li­brato, le affer­ma­zioni del pon­te­fice appa­iono ovvie. «Alcune con­gre­ga­zioni dicono: ’Ora che il con­vento è vuoto, fac­ciamo un albergo e pos­siamo rice­vere gente, così ci man­te­niamo e ci gua­da­gniamo’ — ha detto Ber­go­glio -. Ebbene, se vuoi fare que­sto, paga le tasse», «se lavora come hotel, paghi le tasse, come qual­siasi altra per­sona. Sennò l’attività non è molto sana».
Insomma, anche gli enti eccle­sia­stici, se svol­gono atti­vità com­mer­ciali, devono pagare le tasse. Un ele­men­tare prin­ci­pio di rispetto della lega­lità, che non ci sarebbe nem­meno biso­gno di riba­dire (ben­ché un ex pre­mier, Ber­lu­sconi, durante una con­fe­renza stampa, affermò di sen­tirsi «moral­mente auto­riz­zato ad eva­dere le tasse»).
Ma se la dichia­ra­zione del papa ha fatto così rumore e ha spiaz­zato parte del mondo cat­to­lico — il diret­tore di Avve­nire, Marco Tar­qui­nio, si è affret­tato a pre­ci­sare al Cor­riere della Sera: «Le parole del papa non erano rivolte all’Italia», ma «ai por­to­ghesi» — è per­ché è tutt’altro che scon­tata. Come dimo­strano le ripo­ste che pochi giorni fa il con­si­gliere comu­nale e pre­si­dente dei Radi­cali ita­liani Ric­cardo Magi ha otte­nuto dal Dipar­ti­mento risorse eco­no­mi­che del Cam­pi­do­glio: solo a Roma, su un cam­pione di 299 strut­ture (246 di pro­prietà di enti eccle­sia­stici), quasi due terzi non ha mai pagato o ha pagato irre­go­lar­mente le impo­ste locali — soprat­tutto Ici e Imu, ma anche Tasi e Tari -, per un’evasione di oltre 19 milioni. O come hanno dimo­strato le recenti sen­tenze della Cas­sa­zione che hanno con­dan­nato due scuole cat­to­li­che livor­nesi a pagare l’Ici mai ver­sata nel periodo 2004–2009, per un importo di 422mila euro. E come dimo­strano soprat­tutto tutti i mec­ca­ni­smi (sem­pre boc­ciati dall’Europa, dopo le denunce dei Radi­cali) ela­bo­rati dai governi che si sono suc­ce­duti dal 2005 ad oggi — Ber­lu­sconi: esen­zione totale; Prodi: esen­zione per gli immo­bili non esclu­si­va­mente» com­mer­ciali; Monti: paga­mento solo sulla super­fi­cie impie­gata per atti­vità com­mer­ciali — per esen­tare dal paga­mento di Ici e Imu gli immo­bili di pro­prietà eccle­sia­stica (e delle orga­niz­za­zioni no profit).
Se le cose stanno così, allora, le parole di papa Fran­ce­sco hanno un evi­dente valore di richiamo per gli enti eccle­sia­stici. A comin­ciare dagli immo­bili di pro­prietà del Vati­cano — sui quali Ber­go­glio potrebbe inter­ve­nire subito -, anche loro piut­to­sto disin­volti nel paga­mento di alcune impo­ste, ma subito pronti ad acco­gliere esen­zioni (dai con­tras­se­gni per la Ztl all’acqua).
C’è poi un altro aspetto che rende l’affermazione di papa Fran­ce­sco par­zial­mente con­trad­dit­to­ria con quanto egli stesso aveva detto nel set­tem­bre 2013: in visita al Cen­tro Astalli (cen­tro di acco­glienza per rifu­giati e richie­denti asilo, gestito dai gesuiti), aveva richia­mato i reli­giosi: «I con­venti vuoti non ser­vono alla Chiesa per tra­sfor­marli in alber­ghi e gua­da­gnare i soldi. I con­venti vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cri­sto che sono i rifu­giati». Ora invece pare ret­ti­fi­care: vanno bene i con­venti diven­tati alber­ghi, pur­ché paghino le tasse.

Fonte: il manifesto 

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