La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 13 agosto 2015

Droghe: prevenzione e riduzione del danno. In Italia è tabù

di Francesca Sironi
Basterebbero", se delle risposte semplici possono bastare, tre colonne. Che sono:prevenzione, analisi, cultura del divertimento. Ignorate dalle istituzioni da anni, e oggi superate dalla fretta di dare risposte politiche alla cronaca, ovvero alla morte di tre adolescenti dall'inizio dell'estate. Tre morti di droga, anche se uno di loro sembra soffrisse di una grave cardiopatia. I loro volti sui giornali: un ragazzo di 16 anni, una giovane di 17, ammazzati da sostanze troppo forti prese in party troppo rumorosi. Le loro morti si potevano evitare?
«Sì», suggerisce Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele. Ma non chiudendo i locali, non riempiendo le feste di polizia, non pensando che le droghe si possano debellare come un virus. C'è una quarta strada, più sottotono, ma che da anni sta dando risultati importanti e ormai consolidati soprattutto in Nord Europa: la riduzione del danno.
Che sta nel «superare il tabù della presenza delle droghe e dare strumenti concreti per prevenire le overdose o gli abusi distruttivi di stupefacenti», spiega Martina Tisato, operatrice sociale di Milano che da anni lavora al fianco degli adolescenti.
Primo, quindi: la prevenzione. «Si chiamano interventi di "outreach": sappiamo che alle feste e nei locali notturni c'è una concentrazione da quattro a 25 volte superiore di persone che usano sostanze rispetto alla norma», spiega Grosso: «Per questo è importante che in queste occasioni ci siano operatori sanitari specializzati. Lì, sul posto. Che siano capaci di entrare in contatto con i giovani. Senza discorsi moralizzanti».
Prevenzione, dice Martina: «Significa spiegare esistenza, effetti, conseguenze delle droghe. Senza far finta che gli stupefacenti siano fantasmi di cui si devono occupare altri. Ma dando ai ragazzi mezzi per sapere cosa stanno facendo e come prevenire il peggio». Nel 2004-2005 qualche tentativo era stato intavolato, fra Torino, grazie al Gruppo Abele, e Milano, e il Sud, per rendere questa prospettiva concreta, nelle scuole ma anche all'interno delle discoteche e dei grandi eventi.
Poi però un discorso politico omogeneo (criminalizzazione, sicurezza) ha sotterrato i risultati presentati, e i piccoli laboratori mobili sono stati limitati spesso a statistiche e questionari. E soprattutto sono arrivati i tagli: «Negli ultimi dieci anni i fondi per questo tipo di operazioni sono stati dimezzati», aggiunge Grosso: «A Torino ormai riusciamo a essere presenti in un solo locale a settimana. Quando ci fanno entrare».
Secondo: le analisi. Nelle feste in cui l'invito è perdere il controllo, i laboratori mobili possono eseguire test sulle droghe che circolano: controllano pastiglie e mix in bottiglia, permettono di sapere esattamente cosa c'è dentro il composta, cosa si sta per assumere. Mostrano così anche quanto principio attivo è sufficiente per raggiungere il risultato cercato ("lo sballo") senza correre il rischio di morirne.
Esistono, questi laboratori mobili. In Spagna, in Austria. E funzionano, spiega Martina: «Perché a differenza di quello che si può pensare, i ragazzi non evitano il discorso. Alcuni hanno paura, e chiedono. Altri lo fanno per curiosità. Altri ancora perché gliel'ha consigliato un amico. Intanto, hanno almeno un luogo dove avere risposte alle loro domande. Nel momento in cui ne hanno bisogno».
Far conoscere incentiva alla consumazione? No, ribadiscono gli esperti. Conoscere permette di evitare le overdose. E basta. Discorso astratto, in ogni caso, in Italia, perché portare sostanze è in qualsiasi caso illegale, anche se è solo per sottoporle a un test in un laboratorio mobile, come invece avviene altrove. «Sarebbe un discorso pragmatico, semplicemente», ricorda il presidente onorario del Gruppo Abele: «Che serve a noi per aiutare chi è più a rischio: ovvero chi non sa cosa sta assumendo. E ai pronto soccorso per sapere effettivamente i veleni in circolo nel corpo di chi sta male, risparmiando tempo prezioso».
Terzo. Più alla radice. Il divertimento. «È possibile che non riusciamo a mettere in discussione un'idea del divertimento univoca, che si aggrappa alle sostanze come veicolo per la perdita di controllo? Con l'idea quindi che solo se "assenti" ci si possa divertire? Possibile che non riusciamo a parlare di autostima, di piacere, di non giudizio, fra i giovani?», chiede Martina: «Certo, se gli unici spazi di aggregazione sono discoteche dalla consumazione obbligatoria all'ingresso, la prospettiva è chiara. Forse dovremmo offrire qualcosa di diverso». 

Fonte: L'Espresso

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.