La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 13 agosto 2015

La democrazia come condivisione dell’esperienza La lezione di John Dewey

di Vasco D'Agnese
La relazione fra la crescita e lo sviluppo della democrazia e l’educazione è un tema da sempre all’attenzione della comunità scientifica e non solo. Almeno a partire dall’opera di Dewey, infatti, l’analisi delle forme e delle metodologie educative e formative appare strettamente correlata – e non potrebbe essere diverso – alla crescita ed allo sviluppo effettivo della forma – e della sostanza – democratica.
A questo hanno condotto diversi elementi, storico-sociali, prima che strettamente scientifici. Troppo spesso, infatti, nella vita quotidiana come nelle riflessioni più ampie e «meditate» che conduciamo, diamo per scontato che il vivere in paesi democratici sia la norma.
Ciò è, chiaramente, infondato, non solo per l’esistenza – ampia – di regimi tuttaltro che democratici ma, anche e soprattutto per due motivazioni «interne» alla nostra cultura:
a) la nostra, quella che definiamo in modo ampio « democrazia occidentale», è una democrazia a tratti solo formale: la distanza esistente fra il «cielo astratto» dei diritti e la concretezza, talvolta la ristrettezza e l’insufficienza della loro realizzazione nella vita e nell’esistenza delle persone è, purtroppo, ampia; b) in tempi storicamente recenti abbiamo assistito alla trasformazione di democrazie compiute, mature in regimi totalitari (la Germania ne è stato il caso più eclatante); ciò ci mostra, evidentemente, che il rischio della perdita di un bene tanto prezioso è sempre presente, sempre attuale; c) lo scivolamento verso forme autoritarie di potere, la perdita o la sospensione dei diritti fondamentali dell’uomo, prima ancora che del cittadino è, purtroppo, un tema all’ordine del giorno, non solo nel nostro paese. Ampie zone grigie di sopraffazione e negazione della persona umana sono purtroppo documentate quasi quotidianamente. E’ soprattutto si quest’ultimo punto che questo lavoro vuole insistere, mostrando come il fondo della questione, il nodo principale sia innanzitutto educativo, attenendo al rapporto fra sviluppo e realizzazione dell’individuo e sviluppo e realizzazione della democrazia come forma di condivisione dell’esperienza (Dewey 1930).
La democrazia come condivisione dell’esperienza
Il pedagogista e il filosofo che ha posto con maggiore forza e chiarezza il tema del nesso educazione-democrazia è, senza dubbio, John Dewey. La sua attenzione, la sua «devozione» alla forma democratica va ben oltre quella che è l’attenzione verso una forma di governo. Nella sua opera il modo di vivere democratico è il fondamento per la crescita e lo sviluppo soggettivo, prima ancora che essere una forma di stato:
"La democrazia è più di una forma di governo: è innanzitutto il vivere insieme, il condividere e comunicare l’esperienza. L’insieme delle persone che condividono un interesse, così che ognuno debba riferire la propria azione a quella degli altri, e debba considerare l’azione degli altri rispetto alla propria significa la caduta di tutte le barriere di classe, razza, e nazionalità […]. La crescita in quantità e qualità dei punti di contatto denota una grande diversità di stimoli ai quali un individuo deve rispondere. […] Questi assicurano una liberazione, una realizzazione delle personali possibilità che rimangono inibite fintanto che lo stimolo all’azione è parziale […]." (Dewey, 1916, 101, la traduzione e il corsivo sono a cura di chi scrive)
L’estensione della condivisione dell’esistente e la crescita di possibilità, collettive ed individuali sono il cuore della democrazia – e dell’educazione ‒
È fondamentale notare come Dewey superi, nella sua analisi, la contrapposizione fra il tema della condivisione della vita associata e quello della realizzazione della libertà personale. La realizzazione del soggetto avviene nella condivisione e nella comunicazione (Dewey 1929a, 1938; Bentley, Dewey, 1949). Senza queste non c’è non solo la vita associata ma neanche la libertà soggettiva.
La lezione deweyana appare quanto mai attuale. Per motivi che qui non è possibile analizzare nel dettaglio, ma che comunque occorre ricordare, la condivisione di esperienze, la cooperazione oper un comune obiettivo appaiono sempre più antitetici rispetto alla realizzazione piena della soggettività: come se il soggetto potesse realizzarsi in un vuoto di relazioni o, come purtroppo spesso capita, in un pieno di competizione contro altri soggetti. Il punto che maggiormente interessa è che ciò è infondato non solo per motivi etici che attengono alla necessità – ed alla bellezza – della condivisione, ma, soprattutto, per motivi che possiamo definire ontologici: l’essere umano nasce per condividere e comunicare la propria esperienza e l’esperienza è tale solo se comunicata. Attreverso la comunicazione del proprio vissuto questo acquista consistenza e spessore; la consapevolezza che deriva dalla relazione non è un che di aggiunto a ciò che facciamo e viviamo quotidianamente, ma ne costituisce, se è possibile usare questo termine, l’essenza. Questa essenza è resa possibile, pensabile, agibile, dalla democrazia stessa, come luogo di condivisione.
Educare è, infatti, dare forma all’interno di un processo di condivisione di valori e conoscenza e pensare l’educazione significa pensare la cultura che la ospita (Dewey 1916). Ciò che occorre evidenziare da un punto di vista educativo, dal punto di vista di una educazione concreta, calata nella prassi, che la orienti e interagisca con la sua effettività, è che il modo nel quale pensiamo ai processi di partecipazione, costruzione della cittadinanza e democratizzazione è legato non solo allo stato dell’economia e delle relazioni politiche, ma, più profondamente, al modo nel quale pensiamo e agiamo la democrazia e il rapporto con l’altro; questo, ovviamente, richiama una dimensione implicita, che difficilmente viene posta a tema. Rispetto a questo esiste anche il rischio, come evidenziato in precedenza, di una mancanza di concretezza. L’opinione che sostiene questo lavoro è che la questione educativa necessiti più di altre di una riflessione continua e profonda sugli assunti pragmatici che strutturano il nostro modo di agire con l’altro. Il nodo educazione-democrazia è centrale non solo – ovviamente – riguardo ai processi educativi, ma rispetto ai destini della comunità nella sua ampiezza e complessità ed attiene ad una dimensione pedagogicamente fondante: quella della scelta, dell’intenzionalità trasformativa.
Se agisco è perché credo di essere nel giusto, non soltanto perché credo di effettuare una delle diverse scelte possibili in un panorama indifferente. Ciò che in educazione è fondante è proprio questo aspetto soggettivo della credenza, la forza e l’impegno con i quali viene perseguito il progetto e l’azione formativa, e non semplicemente il fatto che tale azione venga dichiarata equivalente ad altre possibili strade – perché, di fatto, chi educa non le intende in tal modo quando le agisce‒. Il problema che, allo stato, rimane tale, cioè rimane questione aperta, è come tale univocità della credenza si innesti sulla situazione di radicale crisi della verità che fonda, più che attraversare, non soltanto il pensiero ma la prassi e l’esistenza dell’Occidente. È bene sottolineare nuovamente che tale problema è di ordine pragmatico, non teoretico, e che viene incontrato – che lo si sappia o no – ogni qualvolta si è in educazione o in ricerca.
Educare, infatti, significa agire per il cambiamento, promuovendolo, alimentandolo o anche, semplicemente, mostrandolo. Educare, quindi, implica l’indicazione al soggetto in formazione di una possibile trasformazione in vista di un fine. Più che mai in pedagogia, la teoria ha una valenza prassica, chiama in causa il livello etico, prima ancora di quello teoretico. Educare è agire in vista di un cambiamento, di una trasformazione auspicata e possibile; educare è, quindi, costitutivamente, un’azione progettuale valorialmente orientata. Che lo si voglia o meno, l’educazione è educazione per ciò che si reputa importante, valido, vero, utile, giusto. Si educa per ciò che si ritiene che valga, e ciò proprio in un momento nel quale, per ragioni sociali e teoretiche insieme, il valore e la sua determinazione sono temi poco definibili. La crisi di modelli di legittimazione forte, sociali, politici e scientifici è in pedagogia ancira più forte e drammatica. La possibilità data al ricercatore ed all’educatore di costruire modelli innovativi, non iscritti già nell’ordine del possibile, e la responsabilitàche da ciò deriva sono temi fondanti, e per il lavoro educativo, e per la crescita e lo sviluppo della democrazia.
Se l’educazione è il processo nel quale l’uomo diventa uomo e la società diventa tale (Dewey, 1916, 1929b, 1938) l’educazione stessa è il cuore del problema. La democrazia è nata in Occidente e pensarla al di fuori della sua cultura di appartenenza è insensato: lo spazio di azione e riflessione aperto dai Greci è ancora il nostro spazio. Il punto è che, però, oramai da diverso tempo, abbiamo anche preso consapevolezza del lato oscuro della nostra cultura, che non è casuale, essendo legato al nostro sguardo verso l’altro. La crisi del progetto illuministico, che ha mostrato le sue contraddizioni interne e la sua dipendenza culturale (Biesta 2007, 2010; Giroux e McLaren 1989; Horkheimer e Adorno 2002; Rancière 2003), la consapevolezza di occupare, nello spazio della conoscenza una posizione di potere (Foucault 1984) hanno sfidato e tuttora sfidano il sistema e le pratiche educative (Smeyers, Blake, Smith, Standish, 2000).
Scelta e responsabilità educativa: il fondamento democratico
Educare – ed educarsi – è, quindi, costitutivamente, scegliere. Scegliere i modi, i tempi e i metodi o, anche, i non-metodi, nel caso-limite di una educazione priva di guida. La scelta non è eludibile, e non per dovere morale, ma perché la vita, l’esistenza stessa si presenta come tale. Il punto è, quindi, come e in base a cosa si sceglie in educazione. Quando si domanda circa il fondamento dell’educazione, non si chiede di esibirne le certezze a partire dalle quali l’edificio pedagogico prende forma, il terreno granitico sul quale i valori sono fondati, ma i valori scelti fra altri, le teorie scelte fra altre, i modelli costruti ex-novo o agiti fra quelli disponibili.
Il richiamo alla radicalità della responsabilità, in educazione, risulta ancor più cogente proprio per il nesso che viene a prodursi fra conoscenza e scelta. Se il modello cognitivo classico, nel quale procedure garantite facevano emergere la trama profonda della realtà, interrogandola correttamente, non appare più praticabile, allora ogni forma di conoscenza si presenta come il frutto di una scelta, situata qui ed ora, che risponde alla responsabilità di chi la compie. Anzi: proprio il richiamo alla responsabilità ed alla trasparenza della scelta come procedura cognitiva limita la possibilità di arbitri, consapevoli o no, poiché ognuno è chiamato a motivare in misura maggiore il proprio conoscere, non essendo questo «conficcato» nella realtà.
Se la questione principale, che tuttora rimane come problema aperto, è che ogni apparato teorico, oggi più che mai, è il frutto di una scelta del ricercatore e dell’educatore, il frutto di una decisione, allora il livello etico è implicato in prima battuta rispetto a quello teoretico. La validazione stessa delle teorie è legata a quella che Rorty definiva la «conversazione» della comunità scientifica (Rorty 1976).
Il problema è che la filosofiaL’epistemologia pura, può anche non scegliere; il suo senso ed il suo obiettivo possono legittimamente risiedere nella ricchezza della conversazione prodotta, nel confronto, mai definitivo, fra paradigmi. La filosofia può scegliere la ricchezza interpretativa senza necessariamente risolverla, ma continuando a interrogarsi sui temi scelti. La filosofia, in sostanza, non è obbligata all’azione (anche se, a partire da Marx, passando per Gramsci, Ranciére, Foucault, Freire abbiamo anche modelli di impegno filosofico decisamente diversi). La ricerca educativa, anche quella di natura più propriamente teorica, in quanto ricerca sull’agire educativo, in quanto sapere-agire trasformativo, deve, quanto meno, indicare strade possibili; in altri termini deve effettuare una scelta, sapendo che così indica e costruisce modelli che assumono carattere regolativo per l’esistenza.
Come afferma Dewey, infatti, "La società non solo può continuare a vivere attraverso la trasmissione e attraverso la comunicazione, ma nella trasmissione e nella comunicazione." (Dewey 1930, p. 5; la traduzione ed il corsivo sono a cura di chi scrive)
Se l’educazione è il modo dell’uomo di progettarsi e progettare, di curarsi e di avere cura dell’altro – tanto che rinunciare ad essa significa rinunciare all’umano – allora le dimensioni della scelta e dei valori per i quali si sceglie sono, parimenti, modi che fondano l’umano nel suo esser proprio. Scelta e valori nascono con l’uomo, non sono ad esso successivi. In questo senso non si dà una non-scelta, o una scelta che non si radichi in un orizzonte valoriale.
E se, spingendoci un po’ più in là, la riflessione, il pensiero su se stessi è ciò che determina a fa nascere il soggetto a sé e al mondo, la riflessione sull’educazione – la pedagogia – è quanto di più radicale l’uomo abbia in quanto essere che si progetta e sceglie e riflette su tale nesso. Nel comprenderci come oggetti che si progettano, ci comprendiamo come soggetti educabili, come soggetti pedagogici. La situazione nella quale siamo come esseri umani è immediatamente educativa, nella misura in cui siamo soggetti che riflettono e progettano.
L’educazione – come comprensione dell’evento educativo e come progettazione dell’azione educativa – è così costitutiva dell’umano. L’umano è tale in quanto educabile. Non poter prescindere dall’educazione significa, in altri termini, che la scelta riguarda il come educare e non il se educare – in tal senso la non-educazione è una scelta educativa. Quindi l’atto di scelta, di decisione, si dà insieme all’umano, come condizione che ne costituisce la possibilità. L’essenza della crescita e dello sviluppo della democrazia sono nella crescita e nello sviluppo dell’educazione come condivisione e trasformazione dell’esperienza; come, contemporaneamente, come trasformazione del soggetto e della società.
"[…] lo stesso processo del vivere insieme educa. È questo che amplia ed illumina le esperienze; stimola ed arricchisce l’immaginazione." (Dewey 1930, 7; la traduzione ed il corsivo sono a cura di chi scrive)
Democrazia e soggetto, condivisione e realizzazione soggettiva possono essere solo concepite insieme attraverso e nell’educazione. È forse questa una delle più attuali e importanti lezioni di John Dewey, ancora più importante, decisiva, in un momento, quello attuale, di perdita di riferimenti e «caduta delle ideologie».
Proprio su questo tema è forse il caso di spendere qualche parola: il termine ideologia, sia al livello del linguaggio comune, sia al livello scientifico ha assunto una connotazione per così dire poco lusinghiera. Lo si utilizza per mostrare quanto una persona o un paradigma siano pregiudizialmente prevenuti, incardinati su schemi precostituiti, superati. Se invece trattiamo questo termine nel suo significato autentico, vediamo come l’ideologia, ossia l’insieme di valori e conoscenze che fondano una prassi, sia non solo necessaria ma inevitabile. Ciò che poccorre evitare – ed anche qui la lezione deweyana è fondamentale – è il suo congelamento, il suo porsi come realtà onnicomprensiva, perché tale non è né può essere.
La mobilizzazione di valori e conoscenze, non come cambiamento e adeguamento all’esistente, ma come dinamismo interno di questi, sono, oggi, elementi fondamentali per la comprensione e l’azione educativa, a qualunque livello questa sia agita.

Riferimenti bibliografici

Biesta G. (2007), Education and the democratic person: towards a political understanding of democratic education, in Teachers College Record, 109.3, pp. 740–769.

Dewey J. (1916), Democracy and Education. An Introduction to the Philosophy of Education, The MacMillan Company, New York.

Dewey J. (1929a), The Quest for Certainty. A Study on the Relation of Knowledge and Action, Minton, Balch & Company, New York.

Dewey J. (1929b), My Pedagogic Creed, in Journal of the National Educational Association, 18.9, pp. 291-295.

Dewey J. (1930), Democracy and Education. An Introduction to the Philosophy of Education, The MacMillan Company, New York.

Dewey J. (1938), Logic: The Theory of Inquiry, Henry Holt and Company, New York.

Foucault M. (1984), La volontà di sapere, tr. it., Feltrinelli, Milano.

Giroux H. A., McLaren P. (1989), Introduction: Schooling, cultural Politics and the Struggle for Democracy, in Giroux H. A., McLaren P., Ed., Critical Pedagogy, the State, and Cultural Struggle, State of University New York Press, Albany.

Horkheimer M., Adorno, T. W. (2002), Dialectic of Enlightenment. Philosophical Fragments, Stanford University Press, Stanford.

Rancière J. (2003), The Philosopher and His Poor, Duke University Press, Durham, North Carolina.

Rorty R. (1976), La filosofia e lo specchio della natura, tr. it., Bompiani, Milano.

Smeyers P., Blake N., Smith R., Standish P. (2000), Education in an Age of Nihilism: Education and Moral Standards, Routledge/Falmer, London.

Fonte: Educazione democratica

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.