La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 15 agosto 2015

È un reato penale: riduzione in schiavitù

di Antonio Bevere
È inte­res­sante l’ostentata sor­presa ‚unita a scarsa infor­ma­zione, di gran parte della classe poli­tica per la morte di due immi­grati e di una cit­ta­dina ita­liana, avve­nuta que­sta estate nelle cam­pa­gne del Meri­dione, e prin­ci­pal­mente per la pre­senza di altri cit­ta­dini ita­liani tra que­sti lavo­ra­tori, da con­si­de­rare vit­time del reato, pre­vi­sto dall’articolo 600 codice penale, di ridu­zione in ser­vitù.
Essa dimo­stra la scarsa cono­scenza, da parte anche dell’area pro­gres­si­sta, di quella cro­naca giu­di­zia­ria che dovrebbe essere stru­mento e sti­molo per meglio orga­niz­zare le lotte in difesa della salute e della dignità dei lavo­ra­tori.
Ai miei tempi, le sen­tenze dei «pre­tori di assalto», pro­nun­ciate in difesa dei prin­cipi della Costi­tu­zione e quindi a tutela dei lavo­ra­tori e dell’ambiente, erano dif­fuse, stu­diate e con­di­vise da ope­rai, sin­da­ca­li­sti e stu­denti, men­tre erano ber­sa­glio di invet­tive, pro­ce­di­menti disci­pli­nari, accuse di par­ti­gia­ne­ria, con­trolli dei ser­vizi segreti.
Le pre­ture sono state abo­lite, ma alcuni giu­dici – a pre­scin­dere da eti­chette cor­ren­ti­zie — con­ti­nuano a pro­nun­ciare sen­tenze neces­sa­ria­mente di parte: nel con­flitto, por­tato nelle aule giu­di­zia­rie, tra esi­genze di pro­fitto ed esi­genze sociali, danno pre­va­lenza alle seconde, con­for­me­mente alla nostra Costi­tu­zione che rico­no­sce la libertà di ini­zia­tiva eco­no­mica pri­vata, a con­di­zione che non leda l’utilità sociale, la sicu­rezza, la libertà, la dignità umana.

Que­ste sen­tenze e i loro autori hanno perso, però, il carat­tere prov­vi­den­ziale ed eroico e la bene­vola noto­rietà negli ambienti pro­gres­si­sti: i potenti pro­prie­tari di imprese e dei mezzi di infor­ma­zione stanno addi­rit­tura por­tando avanti una moderna e astuta cam­pa­gna di satira poli­tica, secondo cui que­sti giu­dici, presi da ansia don­chi­sciot­te­sca per la salute di lavo­ra­tori e cit­ta­dini, minano le fon­da­menta del sistema pro­dut­tivo, spa­ven­tano i finan­zia­tori stra­nieri, aggra­vano la crisi dell’occupazione.
I moderni eroi creati dalla stampa e dalla tele­vi­sione pro­gres­si­sti sono diven­tati i magi­strati che — senza rinun­ciare alla col­lo­ca­zione nel terzo potere — si offrono come guar­die togate nel mondo delitto poli­tico, lasciando il fati­coso lavoro giu­di­zia­rio e inven­tando un nuovo tipo di ambi­gua fun­zione pub­blica, che si esprime ogget­ti­va­mente nel campo del giu­ri­di­ca­mente e del «poli­ti­ca­mente cor­retto».
Que­sto vuoto cono­sci­tivo tra cro­naca giu­di­zia­ria e avan­guar­dia poli­tica, come già accen­nato, è venuto par­ti­co­lar­mente in luce con la morte di tre lavo­ra­tori (una donna ita­liana e due immi­grati) nelle cam­pa­gne della Sud, nell’ambito del feno­meno cri­mi­noso — ampia­mente svi­lup­pato in Puglia — della ridu­zione in ser­vitù, cioè del feno­meno dello sfrut­ta­mento sel­vag­gio della mano d’opera.
Sono decenni che la magi­stra­tura segnala la radi­cata pre­senza nel nostro sistema pro­dut­tivo orto­frut­ti­colo di un tipico con­tratto di lavoro, in cui il sog­getto attivo (datore di lavoro o il cosid­detto «capo­rale»), appro­fit­tando della situa­zione di neces­sità dell’altro con­traente e avva­len­dosi del reclu­ta­mento in vio­la­zione del divieto di inter­me­dia­zione, sti­pula un accordo oppure crea una situa­zione di fatto, in cui pone il lavo­ra­tore in uno stato di sog­ge­zione con­ti­nua­tiva costrin­gen­dolo a pre­sta­zioni lavo­ra­tive che ne com­por­tano lo sfrut­ta­mento, (esem­pio: ser­vitù della gleba). Si vedano al riguardo le sen­tenze non recenti della Cas­sa­zione numero 3909 del 1990, numero 2841 del 2007, numero 37489 del 2004. Quest’ultima sen­tenza riguarda pro­prio la cam­pa­gna pugliese, con pro­ta­go­ni­ste donne extra­co­mu­ni­ta­rie, rin­chiuse a chiave in un caso­lare, pre­le­vate esclu­si­va­mente per essere por­tate nei campi agri­coli, venendo pri­vate di gran parte degli emo­lu­menti gior­na­lieri.
Ancora la Puglia e i suoi campi riguar­dano la sen­tenza numero 40045 del 2010 (cit­ta­dini dell’Europa orien­tale con retri­bu­zioni net­ta­mente infe­riori alle pro­messe, costretti a vivere in alloggi fati­scenti, privi di ser­vizi e con scarsi ali­menti) e la sen­tenza numero 14591 del 2014 (14 cit­ta­dini rumeni, di cui uno dodi­cenne, il cui con­tratto di lavoro pre­ve­deva la neces­sa­ria media­zione di un con­na­zio­nale e l’impegno a non chie­dere il misero com­penso pat­tuito, pena l’esclusione da que­sto sporco mer­cato del lavoro).
Que­sti pro­cessi si sono svolti con mode­sta atten­zione dei cit­ta­dini ed è auspi­ca­bile che almeno per quelli che deri­ve­ranno dalle dram­ma­ti­che vicende di quest’estate i mezzi di infor­ma­zione tol­gano la sor­dina e diano ade­guata atten­zione alle inda­gini e alle deci­sioni, posto che il capi­ta­li­smo ita­liano da decenni vive anche sull’incivile sfrut­ta­mento dei lavo­ra­tori ita­liani e stra­nieri nelle cam­pa­gne del Meri­dione.
È inte­res­sante che un pre­si­dente regio­nale — dopo la fune­sta eco dei tre morti — comu­nica ai cit­ta­dini che «qui si parla di reati, non è solo un feno­meno eco­no­mico».
Si tratta, quindi, di una ver­go­gna nazio­nale e non sol­tanto per­ché i pro­dotti pugliesi, cam­pani, cala­bresi sono acqui­stati all’ingrosso e al minuto, con­su­mati e insca­to­lati in tutto il Bel Paese; ma anche per­ché riguarda il livello di civiltà e la dignità del popolo e delle isti­tu­zioni .
È depri­mente che i ver­tici della sini­stra locale hanno sostan­zial­mente omesso di effi­ca­ce­mente atti­varsi e di agire poli­ti­ca­mente e giu­ri­di­ca­mente con­tro l’incivile arre­tra­mento del ter­ri­to­rio for­mal­mente da essi governato.

Fonte: il manifesto

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