La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 14 agosto 2015

Una strada per cercare l'unità

di Aldo Carra
Il deca­logo del mani­fe­sto sug­ge­rendo alcuni nodi che impe­di­scono il decollo di una nuova sini­stra ci chiama ad inter­ve­nire dove ci sono carenze di ana­lisi da col­mare o punti di vista diversi da avvi­ci­nare.
Al punto 6 tre domande da bri­vido: Chi sono oggi i lavo­ra­tori? Cosa è il lavoro? Come e quanto viene rico­no­sciuto? Il solo fatto di porle signi­fica rico­no­scere che la crisi inve­ste le ragioni fon­da­tive del nostro essere.
Ed infatti è cam­biato tutto.
È cam­biato il lavoro in sé, è cam­biata la sua com­po­si­zione interna. Si è ridotto il lavoro pre­va­len­te­mente agro-industriale, con­cen­trato in aggre­gati fisi­ca­mente rico­no­sci­bili. Si è dila­tato enor­me­mente quello nei ser­vizi più dispa­rati, alle per­sone, alle comu­nità, alle imprese, in pic­cola parte con­cen­trato, in gran parte spar­pa­gliato. Sono dimi­nuiti i lavori manuali e pesanti e si sono mol­ti­pli­cati lavori “leg­geri”, alcuni intel­let­tuali e pro­fes­sio­na­liz­zati, molti altri for­te­mente banalizzati.
È cam­biata la distri­bu­zione geo­gra­fica del lavoro. Atti­vità prima tipi­che del mondo indu­stria­liz­zato si sono spo­state nei paesi emer­genti e si è pro­dotto uno straor­di­na­rio rime­sco­la­mento per cui nei paesi arre­trati emer­genti, accanto a forme arre­trate di agri­col­tura e di indu­stria pesante, si svi­lup­pano forme pro­dut­tive tec­no­lo­gi­ca­mente tra le più avan­zate al mondo. Que­sto men­tre nei paesi avan­zati si ripre­sen­tano forme di schia­vi­smo. Nei primi si avanza con­qui­stando fati­co­sa­mente nuovi diritti, nei secondi si arre­tra fati­cando a difen­dere quelli esi­stenti.
Sono venuti meno anche aspetti for­mali e con­te­nu­ti­stici che prima defi­ni­vano ed iden­ti­fi­ca­vano la pre­sta­zione lavo­ra­tiva: lavoro mate­riale e lavoro imma­te­riale, lavoro per dovere e lavoro per pia­cere, lavoro auto­nomo e lavoro dipen­dente, tempo di lavoro e tempo di vita, lavoro per il mer­cato per creare valori di scam­bio e lavoro per creare valori d’uso, oggi, si toc­cano, si con­ta­giano, si mesco­lano con­fon­dendo iden­tità, sog­get­ti­vità, appar­te­nenze. In molti casi iden­tità diverse si con­fon­dono e misce­lano in una stessa per­sona.
Ma c’è un cam­bia­mento ancora più rile­vante che riguarda il rap­porto tra lavoro e non lavoro: se prima il non lavoro costi­tuiva l’anticamera del lavoro, oggi, le società più avan­zate alle quali appar­te­niamo, si qua­li­fi­cano sem­pre di più come jobless society, società senza lavoro o con lavoro decre­scente e le stesse ana­lisi teo­ri­che pre­ve­dono una sta­gna­zione seco­lare. Non è un caso che i diver­sa­mente disoc­cu­pati, atti­va­mente in cerca di lavoro e sco­rag­giati, toc­cano i dieci milioni in Ita­lia e che la disoc­cu­pa­zione è a livelli record in tutta Europa.
Que­sto intro­duce nello sce­na­rio descritto ulte­riori cam­bia­menti e fa nascere altre domande: è pos­si­bile ipo­tiz­zare da sini­stra una ripresa eco­no­mica che ambi­sca ad una piena e buona occu­pa­zione? E, men­tre si lotta per que­sto, quale rispo­sta dare a chi sta fuori dal lavoro? Si può ricor­rere a stru­menti, tem­po­ra­nei o strut­tu­rali, come la redi­stri­bu­zione del lavoro o il red­dito di cit­ta­di­nanza?
Nella muta­zione in corso, si è rotto anche quel matri­mo­nio che sem­brava indis­so­lu­bile tra lavoro e red­dito: non c’era lavoro senza red­dito, non c’era red­dito senza lavoro. Oggi da un lato lavo­rare non è più con­di­zione suf­fi­ciente per avere un red­dito (pro­li­fe­rano tante forme di lavoro gra­tuito sulle quali il mani­fe­sto si è sof­fer­mato) e dall’altro si dif­fonde la con­vin­zione che il red­dito è un diritto a pre­scin­dere dal lavoro, un diritto di cittadinanza.
Tra que­ste due posi­zioni estre­miz­zate, lavoro senza red­dito e red­dito senza lavoro, si col­lo­cano a sini­stra posi­zioni ed orien­ta­menti diversi che attra­ver­sano par­titi, sin­da­cato, eco­no­mi­sti di sini­stra. Insomma que­sto è uno dei nodi che osta­co­lano il decollo di una nuova sini­stra.
L’idea di un red­dito di cit­ta­di­nanza si è con­cre­tiz­zata in una con­ver­genza par­la­men­tare tra parti del Pd, Sel e M5S, ma esi­stono dif­fe­renze non di poco conto con le posi­zioni del movi­mento sin­da­cale pre­senti nel Piano del Lavoro della Cgil e riba­dite da Laura Pen­nac­chi anche nel suo ultimo libro “Il sog­getto dell’economia”. In que­sto testo si afferma che il neo­li­be­ri­smo va verso la disoc­cu­pa­zione di massa e si vede nelle pro­po­ste di red­dito di cit­ta­di­nanza un rischio di abdi­ca­zione e rinun­cia, di accon­ten­tarsi di un risar­ci­mento di un lavoro che non c’è o addi­rit­tura di intro­durre un Wel­fare per la non piena occu­pa­zione. Siamo in pre­senza, per­ciò, a sini­stra, di posi­zioni diverse che riflet­tono evi­den­te­mente diverse visioni dello svi­luppo e del futuro e scale di prio­rità dif­fe­renti. .
Si pos­sono far incon­trare que­ste posi­zioni per deli­neare un dise­gno orga­nico, una stra­te­gia cre­di­bile della sini­stra?
Penso che sia pos­si­bile se da cia­scuna posi­zione si estrae il meglio senza for­zarla per con­fer­mare la pro­pria. Ad esem­pio le pro­po­ste di red­dito di cit­ta­di­nanza col­le­gano la per­ce­zione del red­dito alla dispo­ni­bi­lità ad accet­tare offerte di lavoro che dovreb­bero essere pro­po­ste dagli uffici del lavoro. Non sono, quindi pro­po­ste pura­mente assi­sten­ziali. E così la pro­po­sta di dare prio­rità e cen­tra­lità a Piani del lavoro non esclude forme di soste­gno eco­no­mico alle situa­zioni più disa­giate senza lavoro né scarta ridu­zioni di orari di lavoro che pos­sono inter­ve­nire in seguito a con­tratti di soli­da­rietà, azien­dali o ter­ri­to­riali.
Quindi una stra­te­gia uni­ta­ria non è affatto impos­si­bile se si mette al cen­tro il lavoro e se si fanno ruo­tare attorno ad esso gli altri stru­menti con­fi­gu­rando, così, un lavoro di cit­ta­di­nanza, un diritto –dovere, che con­nette eser­ci­zio della cit­ta­di­nanza attiva e red­dito di cittadinanza.
Spe­riamo che il dibat­tito aperto dal mani­fe­sto spinga i diversi pro­ta­go­ni­sti ad inter­ve­nire ed a ricer­care insieme quella sin­tesi uni­ta­ria che è sem­pre più urgente.
Anche per­ché, nel frat­tempo, il governo spreca una die­cina di miliardi per age­vo­la­zioni a piog­gia sul lavoro che pro­du­cono una bolla media­tica che dura due mesi e poi si sgon­fia con la stessa velo­cità con cui era nata. Aggiun­gendo al danno la beffa: una pic­cola parte dei gio­vani crede alla pro­messa, esce dal mondo degli sco­rag­giati e si affac­cia al mer­cato del lavoro, ma il lavoro non lo trova e fini­sce per ingros­sare le file di disoc­cu­pati che, come è noto, si cal­co­lano sulle forze di lavoro. Così invece di creare nuova occu­pa­zione si creano nuove disil­lu­sioni e la strada per una nuova sini­stra diventa sem­pre più in salita.

Fonte: Il manifesto

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