La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

Quattro anni dalla lettera Bce a Berlusconi. Passano i premier, resta la sostanza

di Luigi Pandolfi
Nel quarto anniversario della lettera che l'allora presidente della Bce Jean Claude Trichet ed il suo successore Mario Draghi spedirono riservatamente a Berlusconi per raccomandargli misure più incisive dal lato della riorganizzazione dei servizi pubblici essenziali e del mercato del lavoro, oltre ad una ulteriore stretta sui conti dello Stato in linea con gli obiettivi di finanza pubblica imposti dai trattati, si può tranquillamente affermare che, a prescindere dagli avvicendamenti di questi anni a Palazzo Chigi, ancora oggi essa costituisce il decalogo essenziale dell'azione di governo nel nostro Paese. Straordinaria, in questo senso, la staffetta tra Berlusconi, Monti, Letta e Renzi: dalla manovra da 45 miliardi dell'agosto 2011 all'attuale riforma costituzionale, passando per il decreto Salva Italia ed il Jobs Act, tutto è stato ed è assolutamente in linea con gli indirizzi di Eurotower. I premier passano, il programma resta. In fondo, l'ex Cavaliere l'aveva candidamente riconosciuto, prima di fare le valigie: "Andiamo nella direzione chiesta dalla Banca Centrale europea". Tutti gli altri non l'ammetteranno mai, ma i fatti, in questo caso, sono davvero ostinati.
A proposito di quella lettera, si è parlato spesso di "indebita ingerenza" negli affari dello Stato italiano, di "commissariamento del Paese", perfino di "colpo di stato". In verità, si trattò di un intervento assolutamente normale da parte dell'unico potere sovrano che oggi regna in Europa. Affermazione iperbolica? Nient'affatto. L'attuale governance dell'eurozona si basa su due pilastri: rinuncia degli Stati alla propria sovranità monetaria e austerità come metodo e sostanza di governo. In mezzo, ci sono solo i rapporti di forza tra centro e periferia, frutto di marcati squilibri commerciali e, di conseguenza, della perversa logica del debito.
In questo quadro, il potere indipendente della Bce è posto a garanzia della stabilità e della continuità del sistema, nel quale agli Stati è preclusa qualsiasi possibilità di concepire in modo autonomo le proprie politiche economiche e di bilancio, anche nel ciclo avverso. Parliamo di un contesto relazionale dove le finalità del sistema sono perseguite anche mediante azioni di Shock and awe, come la recente vicenda greca, e la stessa storia degli spread italiani, hanno ampiamente dimostrato. Insomma, se oggi uno Stato dell'eurozona non è disposto o non è in grado di ristabilire la fiducia degli investitori, per citare proprio la famosa lettera della Bce al governo italiano, c'è sempre lo spettro del suo fallimento che può ricondurlo sulla retta via. Eppure, come ha fatto osservare recentemente Gustavo Zagrebelsky su La Repubblica, l'ipotesi che uno stato fallisca non è affatto ovvia. E' diventata ovvia - almeno in linea teorica - dentro il sistema in cui siamo immersi, nel quale gli Stati hanno perso il diritto all'ultima parola nel rapporto con i propri creditori, diventando un contraente come tutti gli altri. Questione gigantesca, senza dubbio, che rimanda direttamente al tema del potere in Europa, e di chi lo esercita in nome di chi e di che cosa. Ragioniamo. In questi anni, alla cessione di sovranità degli Stati verso le istituzioni europee non si è accompagnato un processo di democratizzazione delle stesse. Viceversa, si sta procedendo a tagliare spazi di democrazia ad ogni livello sul piano interno. C'è una logica in tutto questo: la velocità che caratterizza i mercati finanziari è incompatibile con le dinamiche della democrazia. Nell'epoca dell'algorithmic trading non c'è spazio per discussioni inutili nelle assemblee elettive, per le mediazioni della politica, per la visione a lungo termine. Il tempo è denaro. A maggior ragione se gli Stati sono ridotti al rango di un attore qualsiasi sulle piazze finanziarie. D'altronde, se per "ristabilire la fiducia degli investitori" si possono perfino cancellare la sanità e la scuola pubblica, a chi potrebbe importare la soppressione di un'assemblea elettiva? Il discredito della politica, oggi, è peraltro a livelli altissimi. E non solo per i fenomeni di corruzione e per i privilegi della casta, che pure ci sono e pesano. Conta molto anche la percezione di inutilità che si ha della stessa. Ma l'impotenza (percepita come inutilità) della politica deriva anch'essa dal processo di esautoramento delle istituzioni democratiche in ambito comunitario, com'è facile convenire. Delitto perfetto: si cancella la democrazia col consenso del popolo. E con l'aiutino delle forze demagogico-populiste che soffiano sul fuoco dell'anti-politica.
Ecco la vera sfida per i prossimi anni, allora: contendere al potere finanziario la guida delle nostre società, riaffermando il primato della politica e della democrazia. Una sfida europea, nel nostro caso, resasi ancora più stringente dopo l'umiliazione inflitta alla Grecia.

Fonte: Huffington Post

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