
di Michele Giorgio
Mai come in questi giorni la destra europea e quella
israeliana parlano la stessa lingua. Sembrava di ascoltare il
leader ungherese Viktor Orbán quando domenica il premier
israeliano Netanyahu, rispondendo all’appello del capo
dell’opposizione Yitzhak Herzog per l’ingresso in Israele di una parte
dei profughi siriani, ha spiegato che il Paese è «troppo piccolo»
per accoglierli. «Israele è un piccolo Paese — ha detto Netanyahu
alla riunione del governo — e non abbiamo la profondità geografica
e demografica (per assorbirli). Ecco perchè dobbiamo controllare
le nostre frontiere». Il Libano, che è più piccolo di Israele, ne ha
accolti un milione sino ad oggi. «Non lasceremo che Israele sia
sommerso da un’ondata di immigrati clandestini e attività
terroristiche», ha aggiunto Netanyahu. Sullo sfondo, pesanti come
un macigno, le considerazioni dell’opinionista Gideon Levy che, su
Haaretz, ha scritto che «Israele non ha nessun diritto di stracciarsi
le vesti per la morte di Aylan Kurdi (il piccolo profugo curdo
siriano morto in mare, ndr) né di singhiozzare per la foto, né di
fingere shock, né di offrire aiuto e sicuramente non di fare
prediche all’Europa».
«Vi è un territorio disastrato che Israele ha creato nel suo cortile (Gaza,ndr), un’ora e un quarto di macchina da Tel Aviv», ha aggiunto Levy.
«Vi è un territorio disastrato che Israele ha creato nel suo cortile (Gaza,ndr), un’ora e un quarto di macchina da Tel Aviv», ha aggiunto Levy.
Herzog, aveva lanciato il suo appello dopo una conversazione al
telefono con Kamal al Labwani, un rappresentante dell’opposizione
anti Bashar Assad che ha visitato Israele, mantiene rapporti stabili
con Tel Aviv e in passato ha offerto la cessione definitiva allo
Stato ebraico del Golan siriano in cambio di un intervento delle forze
armate israeliane a sostegno della galassia di forze islamiste
radicali, qaediste e jihadiste che combattono contro il governo
di Damasco. Naturalmente Herzog e il suo interlocutore al
Labwani, esponente della “Siria futura”, non hanno preso in alcuna
considerazione l’ingresso di altri profughi, storici, quelli
palestinesi, che attendono dal 1948, forti di una risoluzione
dell’Onu, la 194, di ritornare ai villaggi e alle città da cui furono
cacciati o costretti a fuggire. Ai profughi palestinesi ha
pensato invece il presidente dell’Anp Abu Mazen che ha rivolto un
appello all’Onu e alla comunità internazionale affinchè facciano
pressioni su Netanyahu e il suo governo e lasci entrare in
Cisgiordania i rifugiati palestinesi fuggiti da Yarmouk e altri
campi a causa della guerra civile siriana. In casa palestinese queste
parole hanno suscitato discussioni. Mentre ad alcuni l’idea del
presidente è apparsa una soluzione credibile, in linea con il
diritto internazionale, altri invece l’hanno interpretata come una
rinuncia indiretta al “diritto al ritorno” dei profughi
palestinesi ai loro centri abitati d’origine (ora in Israele), in
accoglimento alla visione di un mini Stato di Palestina (a Gaza e in
alcune porzioni della Cisgiordania) contenitore di tutti
i palestinesi (forse anche quelli che oggi vivono in Galilea) accanto
a Israele Stato del popolo ebraico.
Intanto, ancora a proposito di migranti e profughi di guerra,
Netanyahu ha annunciato che Israele inizierà a costruire una
barriera alla frontiera con la Giordania, il quarto Muro eretto
dallo Stato ebraico. L’annuncio dei lavori della barriera rappresenta
l’ultima decisione presa nel quadro della politica di rigetto dei
migranti e richiedenti asilo, in particolare quelli africani (quasi
tutti sudanesi ed eritrei), adottata dagli ultimi tre governi
israeliani guidati da Netanyahu. L’autorizzazione del gabinetto di
sicurezza era arrivata già alla fine di giugno, in accoglimento
della raccomandazione dei servizi di sicurezza di estendere la
barriera che divide Israele dall’Egitto anche al confine giordano, in
modo da proteggere il nuovo aeroporto di Timna, a 12 km da Eilat. La
parte del Muro già autorizzata correrà per 30 km da Eilat a nord, ma
Netanyahu vorrebbe allungarla sino alle Alture del Golan. 240 km di
confine tra Israele e Giordania più i 95 km cisgiordani tra
i Territori palestinesi occupati e la Giordania. Così, con la
motivazione della difesa da possibili infiltrazioni di cellule
jihadiste e di profughi, Israele si terrebbe tutta la Valle del
Giordano.
Fonte: il manifesto
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