La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 8 settembre 2015

Il nuovo muro di Neta­nyahu

di Michele Giorgio
Mai come in que­sti giorni la destra euro­pea e quella israe­liana par­lano la stessa lin­gua. Sem­brava di ascol­tare il lea­der unghe­rese Vik­tor Orbán quando dome­nica il pre­mier israe­liano Neta­nyahu, rispon­dendo all’appello del capo dell’opposizione Yitz­hak Her­zog per l’ingresso in Israele di una parte dei pro­fu­ghi siriani, ha spie­gato che il Paese è «troppo pic­colo» per acco­glierli. «Israele è un pic­colo Paese — ha detto Neta­nyahu alla riu­nione del governo — e non abbiamo la pro­fon­dità geo­gra­fica e demo­gra­fica (per assor­birli). Ecco per­chè dob­biamo con­trol­lare le nostre fron­tiere». Il Libano, che è più pic­colo di Israele, ne ha accolti un milione sino ad oggi. «Non lasce­remo che Israele sia som­merso da un’ondata di immi­grati clan­de­stini e atti­vità ter­ro­ri­sti­che», ha aggiunto Neta­nyahu. Sullo sfondo, pesanti come un maci­gno, le con­si­de­ra­zioni dell’opinionista Gideon Levy che, su Haa­retz, ha scritto che «Israele non ha nes­sun diritto di strac­ciarsi le vesti per la morte di Aylan Kurdi (il pic­colo pro­fugo curdo siriano morto in mare, ndr) né di sin­ghioz­zare per la foto, né di fin­gere shock, né di offrire aiuto e sicu­ra­mente non di fare pre­di­che all’Europa».
«Vi è un ter­ri­to­rio disa­strato che Israele ha creato nel suo cor­tile (Gaza,ndr), un’ora e un quarto di mac­china da Tel Aviv», ha aggiunto Levy.

Her­zog, aveva lan­ciato il suo appello dopo una con­ver­sa­zione al tele­fono con Kamal al Lab­wani, un rap­pre­sen­tante dell’opposizione anti Bashar Assad che ha visi­tato Israele, man­tiene rap­porti sta­bili con Tel Aviv e in pas­sato ha offerto la ces­sione defi­ni­tiva allo Stato ebraico del Golan siriano in cam­bio di un inter­vento delle forze armate israe­liane a soste­gno della galas­sia di forze isla­mi­ste radi­cali, qae­di­ste e jiha­di­ste che com­bat­tono con­tro il governo di Dama­sco. Natu­ral­mente Her­zog e il suo inter­lo­cu­tore al Lab­wani, espo­nente della “Siria futura”, non hanno preso in alcuna con­si­de­ra­zione l’ingresso di altri pro­fu­ghi, sto­rici, quelli pale­sti­nesi, che atten­dono dal 1948, forti di una riso­lu­zione dell’Onu, la 194, di ritor­nare ai vil­laggi e alle città da cui furono cac­ciati o costretti a fug­gire. Ai pro­fu­ghi pale­sti­nesi ha pen­sato invece il pre­si­dente dell’Anp Abu Mazen che ha rivolto un appello all’Onu e alla comu­nità inter­na­zio­nale affin­chè fac­ciano pres­sioni su Neta­nyahu e il suo governo e lasci entrare in Cisgior­da­nia i rifu­giati pale­sti­nesi fug­giti da Yar­mouk e altri campi a causa della guerra civile siriana. In casa pale­sti­nese que­ste parole hanno susci­tato discus­sioni. Men­tre ad alcuni l’idea del pre­si­dente è apparsa una solu­zione cre­di­bile, in linea con il diritto inter­na­zio­nale, altri invece l’hanno inter­pre­tata come una rinun­cia indi­retta al “diritto al ritorno” dei pro­fu­ghi pale­sti­nesi ai loro cen­tri abi­tati d’origine (ora in Israele), in acco­gli­mento alla visione di un mini Stato di Pale­stina (a Gaza e in alcune por­zioni della Cisgior­da­nia) con­te­ni­tore di tutti i pale­sti­nesi (forse anche quelli che oggi vivono in Gali­lea) accanto a Israele Stato del popolo ebraico.

Intanto, ancora a pro­po­sito di migranti e pro­fu­ghi di guerra, Neta­nyahu ha annun­ciato che Israele ini­zierà a costruire una bar­riera alla fron­tiera con la Gior­da­nia, il quarto Muro eretto dallo Stato ebraico. L’annuncio dei lavori della bar­riera rap­pre­senta l’ultima deci­sione presa nel qua­dro della poli­tica di rigetto dei migranti e richie­denti asilo, in par­ti­co­lare quelli afri­cani (quasi tutti suda­nesi ed eri­trei), adot­tata dagli ultimi tre governi israe­liani gui­dati da Neta­nyahu. L’autorizzazione del gabi­netto di sicu­rezza era arri­vata già alla fine di giu­gno, in acco­gli­mento della rac­co­man­da­zione dei ser­vizi di sicu­rezza di esten­dere la bar­riera che divide Israele dall’Egitto anche al con­fine gior­dano, in modo da pro­teg­gere il nuovo aero­porto di Timna, a 12 km da Eilat. La parte del Muro già auto­riz­zata cor­rerà per 30 km da Eilat a nord, ma Neta­nyahu vor­rebbe allun­garla sino alle Alture del Golan. 240 km di con­fine tra Israele e Gior­da­nia più i 95 km cisgior­dani tra i Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati e la Gior­da­nia. Così, con la moti­va­zione della difesa da pos­si­bili infil­tra­zioni di cel­lule jiha­di­ste e di pro­fu­ghi, Israele si ter­rebbe tutta la Valle del Giordano.

Fonte: il manifesto

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