
di Giuseppe Acconcia
Nel Kurdistan turco è guerra senza esclusione di colpi. 16
soldati di Ankara (31 secondo il partito di Ocalan, incluso il
colonnello, Ilker Çelikcan) sono stati uccisi domenica notte ad
Hakkari. Due bombe hanno colpito veicoli militari mentre
passavano per Geliya Doski presso Daglica, al confine tra Turchia,
Iraq e Iran. Il governo turco ha risposto con attacchi di F-4 e F-16
contro il Pkk per vendicare le bombe che hanno colpito i militari.
Il premier ad interim, Ahmed Davutoglu ha cancellato un viaggio
nella città di Konya e indetto una riunione di emergenza con il capo
dello staff dell’esercito, Hulusi Akar, e il capo dell’Intelligence,
Hakan Fidan.
Nelle principali città del Kurdistan turco vige il coprifuoco da
settimane, dopo la campagna di Ankara contro il Pkk, lanciata il
24 luglio scorso e che ha causato la morte di centinaia di
combattenti kurdi. In varie municipalità i cittadini hanno
dichiarato l’autonomia e organizzato comitati di auto-difesa.
Dall’inizio del conflitto tra Ankara e Pkk sono oltre 40 mila i morti
tra gli affiliati al partito di Ocalan.
Dal 2013 è stato dichiarato il cessate il fuoco con le autorità
turche che avrebbe determinato il possibile disarmo del Pkk se
fosse entrata in vigore la dichiarazione di Palazzo Dolmahbace,
negoziata dal partito della sinistra filo-kurda (Hdp), e poi
stracciata da Erdogan in seguito alla vittoria elettorale del
partito di Demirtas che, entrando in parlamento il sette giugno
scorso, ha scompaginato gli equilibri politici in Turchia. In
seguito all’attacco di Hakkari, Erdogan ha accusato il Pkk di aver
sfruttato il processo di pace per «tradire il paese accumulando
armi». Demirtas invece ha condannato gli attacchi chiedendo una
tregua immediata.
A Cizre, roccaforte di Hdp dove il partito ha ottenuto oltre il
90% dei voti lo scorso giugno, i carri armati dell’esercito hanno
occupato il centro urbano. Tre abitazioni sono state date alle
fiamme, tra i morti un neonato che non è stato trasportato in tempo
in ospedale perché le ambulanze non sono potute entrare nei
quartieri controllati dall’esercito. Ci sarebbero almeno altri tre
morti a Cizre, secondo fonti di Hdp, Mehmet Emin Levent, Sait
Cagdavul e Cemile Cagirga, una bambina di 13 anni.
Neppure gli attacchi alla stampa indipendente si sono placati.
150 sostenitori di Erdogan hanno marciato verso la sede del
quotidiano Hurriyet, lanciando pietre. Anche la destra
nazionalista Mhp ha criticato l’attacco. Mentre la giornalista
olandese freelance, Frederike Geerdink, che da tempo vive e lavora
a Diyarbakir, è stata arrestata per la seconda volta dall’inizio
dell’anno con l’accusa di sostenere il Pkk.
Scontri anche nel Kurdistan siriano (Rojava). In assenza degli
annunciati bombardamenti della coalizione internazionale
contro l’Isis la guerra per la conquista della città di Marea, 20
chilomentri a nord di Aleppo. Sarebbero almeno 47 i morti nelle
ultime 24 ore. Gli Usa si erano impegnati per interventi aerei
rafforzati contro chiunque (Isis e truppe governative)
minacciasse i ribelli sostenuti da Washington, dando il via libera
all’attuazione del piano turco per la formazione di safe-zone in
Siria. Il confine turco-siriano resta off-limits per i profughi che
fuggono da Rojava.
Ieri un quinto scafista turco, responsabile del traffico di
migranti tra Bodrum e Kos, costato la vita a decine di rifugiati, tra
cui il piccolo Aylan Kurdi, la cui immagine ha fatto il giro del
mondo, è stato arrestato dalla polizia turca.
Fonte: il manifesto
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