La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

Storie d'acqua. A Reggio Emilia dopo il referendum il Pd ha cambiato idea

di Giovanni Stinco
Chissà se il caldo di ago­sto por­terà con­si­glio al Par­tito demo­cra­tico di Reg­gio Emi­lia. Per­ché a giu­di­care dalle dichia­ra­zioni degli scorsi mesi, la pub­bli­ciz­za­zione dell’acqua nella città del tri­co­lore sem­bra essere tra­mon­tata. E di con­se­guenza l’idea che il Pd, a Reg­gio da sem­pre par­tito di governo, possa impe­gnarsi per far rispet­tare dav­vero l’esito del refe­ren­dum sull’acqua del 2011. Un refe­ren­dum, si disse all’epoca, trai­nato anche e soprat­tutto dal voto di massa delle regioni «rosse» d’Italia, e in Emilia-Romagna a pri­meg­giare fu pro­prio la città dell’allora sin­daco Gra­ziano Del­rio. Alle urne andò il 68% dei votanti, un ple­bi­scito per l’acqua pub­blica, due «sì» per togliere l’acqua dal mer­cato e andare verso la pub­bli­ciz­za­zione del servizio.
Entu­sia­smo, dichia­ra­zioni festose: dopo il refe­ren­dum la ripub­bli­ciaz­za­zione sem­brava dav­vero a por­tata di mano. I comi­tati Acqua bene comune por­ta­rono in mani­fe­sta­zione a Reg­gio oltre mille per­sone, in più in un momento in cui il ser­vi­zio idrico era già in pro­roga — e quindi non sarebbe stato impos­si­bile pro­get­tare un futuro senza Iren, la mul­tiu­tilty che ha gestito e tutt’ora gesti­sce l’acqua a Reg­gio Emi­lia e pro­vin­cia. E così partì un per­corso, gui­dato dai sin­daci del ter­ri­to­rio e dell’assessore all’ambiente Mirko Tutino (Pd) che portò all’elaborazione di un piano det­ta­gliato, con tanto di stu­dio eco­no­mico di fat­ti­bi­lità com­mis­sio­nato ad una società esterna. «Si tratta solo di capire se sarà una Spa 100% pub­blica o un’azienda spe­ciale di diritto pub­blico» spie­gava ancora un anno fa Tutino. Il ter­re­moto è arri­vato a giu­gno, con un riu­nione della dire­zione pro­vin­ciale Pd di Reg­gio Emi­lia finita in piena notte con un comu­ni­cato dirom­pente. La ripub­bli­ca­zione, diceva il docu­mento, met­te­rebbe «poten­zial­mente a repen­ta­glio l’equilibrio economico-finanziario di nume­rosi Comuni già ad oggi espro­priati della pro­pria auto­no­mia di bilan­cio». Dav­vero ripub­bli­ciz­zare un ser­vi­zio con pro­fitti garan­titi e inve­sti­menti ripa­gati total­mente dalle bol­lette può man­dare in tilt i bilanci comunali?
La Camera del Lavoro cit­ta­dina ha bol­lato le paure dei demo­cra­tici come «immo­ti­vate». Così un comu­ni­cato che invi­tava la poli­tica locale a valu­tare bene la que­stione: «E’ vero che il Governo nazio­nale spinge verso la pri­va­tiz­za­zione delle aziende par­te­ci­pate dagli enti locali, quindi capiamo benis­simo la pru­denza di un sin­daco nell’andare ad impe­gnare per molti anni il pro­prio comune in una ope­ra­zione che gli dicono essere por­ta­trice di vin­coli molto pesanti, ma dopo le nostre veri­fi­che rite­niamo che tali norme non si appli­chino al caso di Reg­gio Emi­lia». «La verità è che il Pd nazio­nale per l’acqua ha da tempo scelto un mer­cato pri­va­ti­stico o semi-privatistico imper­niato attorno alle mul­tiu­ti­lity come Iren – com­menta Andrea Caselli dei comi­tati Acqua bene comune – Se le leggi nazio­nali non aiu­tano di certo il per­corso reg­giano, è anche vero che la poli­tica locale non ha mai bril­lato di corag­gio. Poi qual­cuno dovrebbe avere il corag­gio di dire quale strade seguire quando sarà scar­tata la gestione in house. Vista la nor­ma­tiva euro­pea non resta che la gara euro­pea o a dop­pio oggetto, e quindi la per­ma­nenza dei pri­vati nella gestione di un bene che dovrebbe essere comune e total­mente pubblico».
In realtà la par­tita potrebbe non essere chiusa. Nono­stante le parole dal segre­ta­rio regio­nale Pd Cal­vano — «No all’ideologia» ha detto a luglio rife­ren­dosi alla pos­si­bile ripub­bli­ciz­za­zione – nes­suna strada è stata ancora uffi­cial­mente imboc­cata. Ago della bilan­cio sarà il Comune di Reg­gio Emi­lia. A sen­tire l’assessore comu­nale al bilan­cio Fran­ce­sco Notari, l’ipotesi della gestione 100% pub­blica sem­bra tra­mon­tata. «L’operazione por­te­rebbe da 80 a 200 milioni il debito di Reg­gio Emi­lia –ragiona Notari — E se le cose andas­sero male, ci fos­sero inve­sti­menti inat­tesi o un aumento delle insol­venze? Un debito del genere met­te­rebbe in crisi la città. Noi vogliamo gestire con tra­spa­renza e effi­cienza la società, ma senza fare debito. Fare debito e con­trol­lare il cda dell’azienda è una maniera vec­chia e sor­pas­sata di inten­dere la gestione pub­blica. Noi ter­remo alta qua­lità e tra­spa­renza, che poi è quello che vuole il cit­ta­dino». A set­tem­bre la deci­sione definitiva.

Fonte: il manifesto

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