di Michele Raitano e Roberto Fantozzi
Di evasione in Italia si discute molto, senza apparentemente riuscire a trovare adeguati meccanismi di contrasto. Nella discussione accademica l’argomento più gettonato è la stima di quanto si evade e dei differenti comportamenti di adesione agli obblighi fiscali (tax compliance nell’espressione inglese) da parte di lavoratori autonomi e dipendenti. Le cifre presentate nei vari studi si rincorrono tra loro e, talvolta, divergono, ma tutti gli studi sono concordi nel segnalare che l’Italia è (e lo è da lungo tempo) un paese ad alta evasione e di questa si avvantaggiano quasi esclusivamente le varie categorie del lavoro autonomo.
Anche a causa della mancanza di dati adeguati, minore attenzione viene dedicata ad indagare quali siano le determinanti della tax compliance. La letteratura economica sottolinea che l’evasione è un fenomeno complesso, legato a molteplici fattori strutturali (ad esempio il tipo di struttura produttiva) e norme istituzionali. Dal contributo pionieristico di Allingham e Sandmo del 1972, le scelte di evasione vengono interpretate all’interno di un modello di ottimizzazione nel quale il contribuente razionale sceglie quanto evadere comparando il vantaggio derivante dalla sotto-dichiarazione (legato all’entità delle aliquote di imposta) con la probabilità di essere scoperto e l’entità dell’eventuale punizione.
Più recentemente la letteratura ha però suggerito che, oltre che al confronto fra vantaggio e penalità attesa, si deve guardare anche alla cosiddetta “tax morale”, una norma sociale la cui forza è influenzata dal comportamento degli altri membri della collettività e, in primis, dagli atteggiamenti dei leader politici.
Più recentemente la letteratura ha però suggerito che, oltre che al confronto fra vantaggio e penalità attesa, si deve guardare anche alla cosiddetta “tax morale”, una norma sociale la cui forza è influenzata dal comportamento degli altri membri della collettività e, in primis, dagli atteggiamenti dei leader politici.
Tuttavia, in Italia (e, a dire il vero, anche negli altri paesi) un’attenzione praticamente nulla è stata dedicata ad analizzare l’impatto del ciclo politico sui comportamenti di evasione e elusione dei contribuenti. In altri termini, non ci si è finora interessati ad indagare se differenti atteggiamenti dei politici dei vari schieramenti verso l’evasione e l’elusione fiscale (dall’aperto contrasto, alla blanda opposizione, alla tacita accettazione) contribuiscano a modificare i comportamenti dei contribuenti quando cambia la coalizione al governo. E, di conseguenza, non si è distinto se eventuali effetti siano legati alle politiche di contrasto effettivamente adottate, piuttosto che alla percezione di un clima più meno o propenso ai comportamenti fiscalmente scorretti.
In un nostro recente lavoro, sfruttando una banca dati particolarmente adatta a tale scopo proveniente dagli archivi amministrativi dell’INPS, abbiamo invece indagato, mediante appropriate tecniche di stima econometrica, se il cambiamento della coalizione di Governo in Italia possa aver influenzato i comportamenti di tax compliance dei contribuenti.
La nostra analisi si riferisce al decennio 1996-2005, l’unico nella storia della Repubblica italiana caratterizzato da un effettivo ciclo politico in cui due coalizioni di diverso colore si sono alternate al governo completando l’intera legislatura. Durante tale periodo, infatti, si sono alternati tre governi di centro-sinistra dal 1996 al 2001 (con Prodi, D’Alema e Amato come Presidenti del Consiglio) e, in seguito alle elezioni di maggio 2001 e fino ad aprile 2006, il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi.
Studiare l’effetto del cambiamento di governo avvenuto nel corso del 2001 sui comportamenti di tax compliance dei contribuenti italiani appare particolarmente interessante per una duplice ragione.
In primo luogo, gli appartenenti alle due coalizioni elettorali in competizione tendevano a manifestare atteggiamenti di segno opposto nei confronti dei comportamenti fiscali scorretti: gran parte dei politici di centro-sinistra reputava la lotta all’evasione fiscale una priorità, tanto che l’allora ministro delle Finanze Vincenzo Visco fu soprannominato “Dracula” dalla stampa vicina al centro-destra; di contro, non si può non ricordare che Silvio Berlusconi, oltre a tappezzare l’Italia coi manifesti “Meno tasse per tutti”, dichiarava di continuo che “Il prelievo fiscale corretto si aggira intorno a un terzo del reddito; quando le tasse sono tra il 50 e 60% è troppo e così è giustificato mettere in atto l’elusione o l’evasione”.
In secondo luogo, a tali diversi atteggiamenti hanno fatto seguito azioni di contrasto all’evasione di diversa ispirazione quando le due coalizioni di sono alternate al governo. Nel 1998 la coalizione di centro-sinistra fece entrare in vigore gli Studi di settore, un sistema che prevede la possibilità di verifica per i contribuenti che dichiarano redditi inferiori ad una soglia prestabilita, basata su un algoritmo calcolato dalle autorità fiscali in funzione di alcune caratteristiche dei contribuenti. Al contrario, la coalizione di centro-destra introdusse diverse sanatorie, come lo “scudo fiscale” per i redditi da capitale e le attività detenute irregolarmente all’estero nel 2001 e il condono fiscale su IRPEF, IVA e altre imposte indirette nel 2002 e nel 2003, anno in cui fu anche depenalizzato il reato di “falso in bilancio”.
Più in generale, sia in seguito alle dichiarazioni e agli atteggiamenti dei leader politici, sia delle azioni di contrasto effettivamente attuate, si può ipotizzare che i lavoratori autonomi – la cui tax compliance differisce fortemente da quella dei dipendenti, data la maggiore possibilità per i primi di sotto-dichiarare i redditi da lavoro (riducendo artificialmente i proventi o aumentando i costi di produzione) – potrebbero aver percepito nel periodo 2001-2006 un’atmosfera più favorevole nei loro confronti, così modificando i propri comportamenti fiscali.
La strategia di analisi del nostro lavoro è partita proprio dall’ipotesi (ampiamente condivisa nella letteratura) della diversa possibilità di modificare i comportamenti fiscali da parte di autonomi e dipendenti. Assumendo che la variazione relativa dei redditi dichiarati da queste due categorie di lavoratori possa, sotto appropriate condizioni, rappresentare una proxy affidabile della modifica della tax compliance, abbiamo dunque stimato se i diversi atteggiamenti delle due coalizioni verso i lavoratori autonomi e, più in generale, verso l’evasione fiscale abbiano condotto a un’effettiva variazione dei redditi dichiarati dagli autonomi (relativamente a quelli dei dipendenti privati) in seguito al cambiamento di coalizione al Governo avvenuto nel 2001.
In dettaglio, il dataset a nostra disposizione, che registra le storie retributive longitudinali di un campione rappresentativo di occupati registrate negli archivi amministrativi dell’INPS, consente di comparare le storie retributive dei dipendenti del settore privato e delle due più ampie categorie di lavoratori autonomi, gli artigiani e i commercianti. Guardando al semplice andamento dei redditi lordi da lavoro dichiarati all’INPS da dipendenti privati, artigiani e commercianti nel periodo 1996-2005 (Figura 1), emerge una prima chiara evidenza descrittiva della riduzione della distanza fra redditi dichiarati da dipendenti e autonomi durante gli anni di governo del centro-sinistra – nel periodo 1996-2000 il gap reddituale medio passò da 2800 a 1000 euro annui a prezzi costanti – e di un suo successivo aumento durante il quinquennio di governo di centro-destra, a causa della caduta dei redditi dichiarati da artigiani e commercianti registrata a partire dal 2002 in poi (nel 2005 il gap era nuovamente cresciuto fino a circa 2400 Euro annui).
L’analisi descrittiva della Figura 1, pur se evocativa, non consente però di determinare se e in quale misura l’andamento del divario retributivo fra dipendenti e autonomi sia imputabile al ciclo politico. Al fine di isolare l’effetto dello “shock” del cambio di Governo nel 2001 sui redditi relativi di autonomi e dipendenti, abbiamo allora condotto una serie di regressioni panel ad effetti fissi, controllando stime per una serie di caratteristiche individuali e trend macroeconomici.
Ovviamente, un’eventuale riduzione del reddito dichiarato dagli autonomi potrebbe discendere da un ciclo economico loro avverso, anziché dalla mera crescita di evasione e elusione fiscale. Tuttavia, tutti gli indicatori sulle condizioni economiche relative di autonomi e dipendenti sono concordi nel segnalare che dal 2000 in poi non si è registrata una caduta del tenore di vita relativo degli autonomi (che renderebbe allora coerente una caduta del loro reddito dichiarato). Al contrario, sia i dati ISTAT che quelli della Banca d’Italia, mostrando una crescita relativa di consumi e risparmi delle famiglie dei lavoratori autonomi, negano con chiarezza l’esistenza di un trend avverso ai lavoratori autonomi in quelli anni, in coerenza, del resto, con gli studi che hanno segnalato come alcune categorie di lavoratori in proprio si siano avvantaggiati al momento del changeover lira-euro. Di conseguenza, è lecito ritenere che, in un periodo in cui le condizioni economiche relative degli autonomi siano migliorate, un’eventuale riduzione dei loro redditi relativi sia un chiaro segnale di peggioramento della loro tax compliance.
Sulla base di queste assunzioni, le nostre stime hanno quantificato che per effetto del solo cambiamento di governo nel 2001 i redditi dichiarati da artigiani e commercianti si sono ridotti del 7,2% rispetto a quelli dei dipendenti privati e un’ampia e significativa riduzione del reddito dichiarato dagli autonomi durante gli anni di governo del centro-destra è stata confermata da tutti i modelli di stima applicati nel corso della nostra ricerca per validare i nostri risultati. In aggiunta, va segnalato che, in valori assoluti, il divario tra i redditi dichiarati dai lavoratori autonomi e dipendenti aumenta notevolmente nel periodo 2002-2005 passando dal -4,4% nel 2002 al -14,0% nel 2005.
La metodologia di analisi da noi adottata non riesce a distinguere in quale misura la riduzione della tax compliance sia stata determinata dall’influenza di singole misure di policy o dall’effetto di una percezione generale meno avversa all’evasione. La crescita continua del divario dei redditi dichiarati da autonomi e dipendenti dal 2001 in poi sembra però coerente con un graduale fenomeno di erosione della tax morale, connessa anche agli effetti disincentivanti di lungo periodo indotti dai continui provvedimenti di condono.
Allo stesso tempo, l’interpretazione dell’andamento della tax compliance nel decennio 1996-2005 potrebbe essere anche differente: le misure introdotte dai Governi di centro-sinistra potrebbero aver accresciuto il reddito dichiarato dagli autonomi, senza modificare nel profondo la loro tax morale. Di conseguenza, il cambiamento di coalizione del governo, accompagnato da un clima più favorevole e dall’introduzione dei condoni potrebbe avere in breve tempo ricondotto verso elevati livelli di evasione, sia mediante la percezione di minori controlli sia mediante l’ulteriore indebolimento delle norme sociali contrarie all’evasione.
Quale che sia la causa ultima delle tendenze osservate, rimane evidente che i comportamenti fiscali degli individui possano essere influenzati, anche in un breve lasso di tempo, dalle misure introdotte e dagli atteggiamenti di cittadini e politici e entrambi questi aspetti agiscono tra loro in interazione. E questa lezione andrebbe tenuta chiaramente a mente quando si intende far affidamento su un piano di recupero dell’evasione che appare prioritario per ragioni di equilibrio dei conti pubblici, di efficiente competizione fra imprese e, ultimo ma non meno importante, di equità distributiva.
Fonte: eticaeconomia.it
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