
di Massimo Villone
Invenzione. Secondo il dizionario, ideazione, creazione
o introduzione di oggetti, prodotti, strumenti e altre cose
precedentemente non esistenti. E ci siamo, con la riforma
costituzionale. Si sente di un accordo nel Pd: aprire al senato
elettivo, ma senza toccare il testo già approvato, che — ahimè — dice
il contrario. Un senato elettivo i cui componenti non sono eletti.
Una insostenibile aporia, e un’invenzione. Con un senato elettivo,
ma non troppo, il genio italico colpisce ancora. La chiave sarebbe
un listino.
Come quello che un tempo avevamo a livello regionale, e che a furor
di popolo era stato sostanzialmente espunto nella ultima stagione
statutaria. Doveva servire a portare presenze qualificate
e competenze nei consigli regionali a sostegno dei governatori,
ed era poi in prevalenza diventato luogo di mercimonio politico
o asilo per amici, sodali, parenti e clienti. Che si voglia adesso
rispolverare a livello nazionale già segnala quanto sia bassa la
mediazione.
Un parlamentare è davvero eletto se viene personalmente scelto
dagli elettori, in una diretta competizione con altri. Qualunque
altro sistema, nel degrado generale che ci accompagna, non promette
buoni risultati. Un listino presumibilmente votato in blocco e in
collegamento con un candidato governatore o con una lista di
partito, significa invece un senato di nominati, per di più — se
rimane il testo fin qui approvato — scelti da chi non merita e tra chi
non merita. E che si aggiunge a una camera parimenti composta in
larga misura di nominati, per l’infernale meccanismo dei capilista
a voto bloccato. Tutto, pur di evitare che il popolo sovrano scelga
chi lo rappresenta.
Pare che una parte della tremebonda dissidenza Pd sia
disponibile. Visti i precedenti, non meraviglia, anche se non se
ne capisce la ragione. Senza cambiamenti radicali del copione sono
già oggi dei morti che camminano, e ben dovrebbero saperlo. Fa
tenerezza — o forse rabbia — la menzione dei malesseri della «nostra
gente», del «nostro popolo», che qualche leader, un tempo
autorevole, timidamente mette in campo. Erano richiami frequenti
nel gruppo dirigente di quella che fu una grande sinistra. Avevano un
peso reale, perché segnavano il comune sentire che legava la base al
vertice del partito, e la condivisione profonda di valori e di
obiettivi.
Ma qualcuno dovrebbe spiegare che oggi quel popolo non c’è più. E che è stato disperso non da una strega cattiva, ma da una ditta che ha cambiato ragione sociale. Cosa ha a che fare con quel popolo un partito che toglie ai lavoratori gli strumenti per la propria difesa, che sbaracca la scuola pubblica, che taglia i servizi essenziali, che non combatte le diseguaglianze, che addirittura toglie ai poveri per dare ai ricchi come si progetta con l’Imu e la Tasi? È un disegno regressivo, e la radice è nella ricerca di voti ovunque si possano raccogliere. Dov’è un progetto di sinistra? E se si nega il progetto, si nega anche il «popolo» che in esso si può riconoscere. Del resto, chi ha avuto modo di frequentare anche occasionalmente i circoli territoriali del Pd sa che ormai i militanti di oggi sono molto diversi da quelli di un tempo. Il «popolo» che fu se n’è andato, in massa. E la speranza dell’esangue sinistra Pd di riconquistare il partito male si colloca nel «popolo» di oggi.
Ma qualcuno dovrebbe spiegare che oggi quel popolo non c’è più. E che è stato disperso non da una strega cattiva, ma da una ditta che ha cambiato ragione sociale. Cosa ha a che fare con quel popolo un partito che toglie ai lavoratori gli strumenti per la propria difesa, che sbaracca la scuola pubblica, che taglia i servizi essenziali, che non combatte le diseguaglianze, che addirittura toglie ai poveri per dare ai ricchi come si progetta con l’Imu e la Tasi? È un disegno regressivo, e la radice è nella ricerca di voti ovunque si possano raccogliere. Dov’è un progetto di sinistra? E se si nega il progetto, si nega anche il «popolo» che in esso si può riconoscere. Del resto, chi ha avuto modo di frequentare anche occasionalmente i circoli territoriali del Pd sa che ormai i militanti di oggi sono molto diversi da quelli di un tempo. Il «popolo» che fu se n’è andato, in massa. E la speranza dell’esangue sinistra Pd di riconquistare il partito male si colloca nel «popolo» di oggi.
Proprio per questo il disegno renziano è coerente, e non di
sinistra. Gli argomenti che lo sostengono sono inesistenti. Il
risparmio di spesa si riduce a spiccioli, e più o meglio si
perseguirebbe tagliando in modo bilanciato il numero di deputati
e senatori. Il bicameralismo paritario può essere superato
mantenendo il carattere elettivo, come l’esperienza di molti paesi
ampiamente dimostra. L’obiettivo vero è invece proprio l’asservimento
delle assemblee elettive all’esecutivo e al leader, e la riduzione
degli spazi di democrazia e di partecipazione. A questo sono
funzionali il sistema elettorale col suo megapremio di
maggioranza al singolo partito e il ballottaggio, e la riforma
costituzionale. A questo fine, un ectoplasma di senato è un ottimo
risultato. E non dimentichiamo la maggiore difficoltà di ricorso
al referendum popolare. A cosa serve tutto questo se non a zittire
il dissenso, per portare avanti politiche che un tempo avremmo
definito antipopolari, e che oggi per alcuni recano il segno della
modernità?
Quindi, lasciamo in pace il «nostro popolo». Non sarà riconquistato
con appelli sentimentali, ma solo difendendo gli spazi di
democrazia che ad esso possono dare voce. Si combatta dunque fino
in fondo per un senato genuinamente elettivo. Questo è oggi il
terreno di scontro, e le invenzioni di Renzi lasciamole a lui. Anzi,
non vorremmo che qualcuno ce lo copiasse. Brevettiamolo,
e mettiamolo sul mercato.
Fonte: il manifesto
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