La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 22 ottobre 2015

Cosa legittima la difesa

di Francesco Petrelli
Indi­gna il fatto che venga inda­gato per omi­ci­dio volon­ta­rio il povero pen­sio­nato di Vaprio D’Adda che ha ucciso il ladro entrato notte tempo nel suo vil­lino, o che un ladro, gra­ve­mente ferito a colpi di arma da fuoco dal deru­bato, abbia otte­nuto dai giu­dici un cospi­cuo risar­ci­mento o che venga messo sotto pro­cesso il rapi­nato che ha fred­dato (con un’arma vera) due rapi­na­tori (armati di un’arma giocattolo).
Ma non è que­stione di “buo­ni­smo” se magi­stra­tura e col­let­ti­vità pre­ten­dono che, nella difesa dei pro­pri diritti, i cit­ta­dini non si tra­sfor­mino in ven­di­ca­tori con licenza di uccidere.
L’esercizio della forza da parte di un pri­vato cit­ta­dino minac­ciato nei suoi diritti è rego­lata da un ben diverso bilan­cia­mento degli inte­ressi che sono alla base di uno Stato di diritto. Lo Stato, che ha l’esclusivo mono­po­lio della forza, deroga a tale mono­po­lio solo in casi ecce­zio­nali, quando la minac­cia al pro­prio o all’altrui diritto sia tale da non con­sen­tire alcuna alternativa.
Certo, non è mai facile sta­bi­lire quale sia il con­fine tra la legit­tima difesa ed un uso ecces­sivo della vio­lenza, quale sia la pro­por­zione fra diritti di qua­lità diversa (la vita, l’integrità fisica, la pro­prietà …). I giu­dici sba­gliano nell’applicare la legge? Può darsi. Sba­gliano nel con­dan­nare cit­ta­dini che, tra­volti dall’ira, aprono il fuoco con­tro ladri in fuga? A volte sì. Sba­gliano nel con­dan­nare chi ben avrebbe potuto richie­dere l’intervento della poli­zia e si è invece fatto giu­sti­zia da sé? Cer­ta­mente capita che i giu­dici pos­sano sba­gliare nel non facile eser­ci­zio della giu­ri­sdi­zione. Ma si tratta quasi sem­pre di que­stioni con­tro­verse, nelle quali è dif­fi­cile rico­struire i fatti ed apprez­zare sce­nari psi­co­lo­gici nei quali nes­suno ha a dispo­si­zione una bilan­cia per pesare, in una man­ciata di secondi, l’intensità e la qua­lità delle pro­prie emo­zioni, e le con­se­guenze delle pro­prie reazioni.
E’ facile, di fronte a casi come quelli che di recente sono rim­bal­zati sulla cro­naca, sti­mo­lare il tra­ci­mare dei sen­ti­menti più visce­rali, il risen­ti­mento sociale, i males­seri pro­fondi di una società che si sente insi­cura e spesso minac­ciata dal cri­mine. Ma non è que­sto il com­pito della poli­tica e dell’informazione. Ci si aspetta, in casi come que­sti, che il gior­na­li­sta fac­cia soprat­tutto cro­naca ed opera di verità, e che la poli­tica for­ni­sca gli stru­menti per poter com­pren­dere come una società civile non possa fare a meno di alcune regole fon­da­men­tali, e che il pro­blema è, caso­mai, quello di appli­carle cor­ret­ta­mente ed omo­ge­nea­mente tali regole.
La società che, altri­menti, si pro­pi­zia è una società nella quale nes­sun giu­dice giu­dica i com­por­ta­menti dei cit­ta­dini (e tanto meno quelli delle forze dell’ordine), nes­suno valuta se si sia con­dan­nato a morte un ladro di bici­clette, se sia fatto legit­timo uso delle armi con­tro un bor­seg­gia­tore, se piut­to­sto che chia­mare il 112 si sia pre­fe­rito, troppo sbri­ga­ti­va­mente, usare la dop­pietta tirata fuori dall’armadio.
L’informazione ha un com­pito alto e deli­cato, ed è quello di for­mare una opi­nione pub­blica con­sa­pe­vole dei limiti della giu­sti­zia, ma anche della sua inso­sti­tui­bi­lità. Una società che lascia liberi i cit­ta­dini di difen­dere, come meglio cre­dono, la loro pro­prietà, senza lacci e lac­ciuoli, senza bilan­cia­menti, senza limiti e senza inu­tili leggi, è un Far West redi­vivo nel quale ogni indi­vi­duo, esente da qual­si­vo­glia pos­si­bile rim­pro­vero, si sosti­tui­sce alla forza pub­blica, al giu­dice e, in fin dei conti, allo Stato. Un indi­vi­duo che, alla fine, fat­tosi legge, non tol­lera più alcun con­trollo e fini­sce come quel tale che tempo fa ha preso a colpi d’arma da fuoco un auto­ve­lox, inten­dendo anche que­sto, in fondo, come un insin­da­ca­bile gesto di legit­tima difesa.

Fonte: il manifesto 

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