
di Roberto Ciccarelli
In attesa che gli annunci di Renzi sul “Jobs Act delle partite Iva” prendano corpo (sempre che non si tratti di una fregatura) nel bilancio sociale 2014 dell’Inps è possibile fare il ritratto di una porzione minima, ma pur sempre significativa, della condizione del lavoro autonomo in Italia. I freelance sono in fuga da un regime che pretende alti contributi ma non garantisce alcuna protezione.
I lavoratori autonomi e collaboratori iscritti alla gestione separata dell’Inps sono in fuga. Un’altra conferma viene dal bilancio sociale: –78.213 (-8,6). Si è passati da 911.765 unità del 2013 a 833.552. È un calo rilevante per una cassa in attivo e si spiega per le condizioni proibitive imposte a questi lavoratori: i loro contributi non garantiscono assistenza né tutele.
Con i redditi medi da povertà, le aliquote al 27,72% rendono la vita impossibile. I contributi versati ammontano a 6.820 milioni di euro (-5,2%), 840 milioni dai professionisti e 5980 milioni dai collaboratori “precari”. Fondi che finanziano altre gestioni in perdita.
Il calo degli autonomi (4 milioni e 376 mila) è registrato anche in altri settori: tra gli artigiani (-1,6%, 1.747 milioni); coltivatori diretti (-0,8%, 453 mila). I commercianti invece aumentano: 2.175 milioni (+0,4%). Calano gli autonomi che usufruito del congedo di maternità obbligatoria: –21.1%. Chi ne usufruisce di più sono iscritte alla gestione commercianti. Le lavoratrici parasubordinate che hanno usufruito di tale diritto sono diminuite del 15,6% (8.652). Sono i numeri della crisi del quinto stato.
Questo calo si riscontra anche nei dati dell’Osservatorio sulle partite Iva del ministero del lavoro.
Ad agosto 2015 sono state aperte 16.265 nuove partite Iva. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente si osserva una flessione (-6,5%). Sembra consolidarsi la tendenza degli effetti derivanti dalle nuove forme contrattuali introdotte dal “jobs act”, accompagnate dagli incentivi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato, che sembrano aver continuato a favorire la costituzione di rapporti di lavoro dipendente rispetto a rapporti di lavoro autonomo con partita Iva.
Riguardo alla ripartizione territoriale, circa il 42% delle nuove aperture è localizzato al Nord, il 21,7% al Centro ed il 36,1% al Sud e nelle Isole. Rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, i pochi aumenti di aperture di partite IVA sono localizzati in Provincia di Trento (+11,9%), Abruzzo (+6,4%) e Sardegna (+3,8%); invece le flessioni più consistenti si sono verificate in Basilicata (-22,4%), Lazio (-12,2%) e Toscana (-11,5%).
Con riferimento alla classificazione per settore produttivo, il commercio registra, come di consueto, il maggior numero di aperture di partite Iva (25,3% del totale), seguito dalle attività professionali (11,4%) e dall’agricoltura (10,4%). Rispetto ad agosto dello scorso anno, tra i settori principali si osserva un aumento di aperture nell’istruzione (+11,7%), incrementi più contenuti per la sanità (+2,1%) e le attività immobiliari (+1,8%), mentre le flessioni più evidenti si registrano nei trasporti (-18%), edilizia (-13,3%) e servizi d’informazione (-12,2%).
Il 47,6% delle aperture è attribuibile ai giovani fino a 35 anni e il 34,1% a soggetti tra 36 e 50 anni. Rispetto al corrispondente mese dello scorso anno tutte le classi di età accusano cali di aperture, principalmente la più giovane (-6,8%).
L’osservatorio ha registrato anche le conseguenze del pasticcio del governo Renzi sul regime fiscale agevolato per gli under 35. Nello scorso mese di luglio 1.249 lavoratori hanno aderito al nuovo regime forfetario, mentre 4.016 hanno aderito al regime fiscale di vantaggio . Queste adesioni sono il 32,4% del totale delle nuove aperture. La possibilità di opzione tra i due regimi è stata prevista dal decreto “milleproroghe” ed è valida solo per l’anno in corso. Da gennaio 2016 resterà in vigore solo il regime forfetario, con le modalità che saranno chiarite da un collegato alla legge di stabilità del 2016.
Ecco dove si fugge
Il dibattito sulla gestione separata riguarda una porzione minima di partite Iva, poco meno di 300 mila persone, il 20% circa del totale. Rispetto ai lavoratori autonomi propriamente detti (oltre 3 milioni) sono una minoranza, ma la loro condizione rappresenta bene quella degli iscritti agli ordini professionali e, in generale, a coloro che sono “precari” (lavorano da “parasubordinati” ad esempio). La battaglia dell’associazione dei freelance Acta, diventata nel tempo un simbolo, ed è stata assunta da altre associazioni fino a conquistarsi la promessa di Renzi di intervenire definitivamente contro l’aumento dei contributi previdenziali al 33,72% contenuto nella riforma Fornero, per riportarla al 24% (l’aliquota di altre gestioni degli autonomi, come i commercianti). Dell’attuale 27,72%, lo 0,72% della contribuzione è dedicata a maternità, congedi parentali, malattia. Un freelance che si ammala, come Daniela Fregosi, ha tutele minori (o inesistenti) rispetto ad un collega lavoratore-dipendente.
Ffotografi, grafici e informatici lasciano da anni la gestione separata e si iscrivono alla gestione artigiani, sempre dell’Inps. I traduttori, pubblicitari, organizzatori di eventi o di ricerche di mercato scelgono la cassa commercianti che continua a crescere. La formula dei diritti d’autore offre vantaggi per quanto riguarda il compenso sullo sfruttamento economico dell’opera (un testo, una ricerca, una consulenza scritta) è escluso da qualsiasi obbligo contributivo, anche nei confronti della Gestione separata dell’Inps. Se i diritti di autore vengono percepiti nell’ambito di un lavoro autonomo, usufruiscono di un abbattimento forfettario, a titolo di deduzione forfettaria delle spese, pari al 25% (elevata al 40% se il percettore ha un’età inferiore a 35 anni). Inoltre, il professionista non deve neanche emettere la fattura.
Precari che pagano la pensione degli altri (e non ne avranno una)
Le lavoratrici e i lavoratori «parasubordinati», le partite Iva, tutti coloro che sono impiegati a tempo e in maniera intermittente. dentro e fuori la gestione seaprata dell’Inps, hanno ripianato le ingenti perdite dell’Inps.Scriveva la corte dei Conti a proposito di un bilancio precedente (2012): l’istituto si avvaleva allora (come oggi) del «massiccio saldo positivo di esercizio dei “parasubordinati” e quello delle prestazioni temporanee, i cui netti patrimoniali consentono ancora la copertura di quelli negativi delle altre principali gestioni e il mantenimento di un attivo nel bilancio generale, esposto peraltro ad un rapido azzeramento».
Dunque, in Italia i pensionati continueranno a crescere, ma il capitale garantito dai lavoratori autonomi e dai precari non basterà a «ripianare lo squilibrio» tra le gestioni in deficit. La conseguenza sarà «la dilatazione dei saldi negativi e dell’indebitamento, aggravati dal fondo dei dipendenti pubblici, in progressivo e crescente dissesto».
La Corte avverte inoltre che i lavoratori indipendenti (precari, partite Iva, intermittenti) saranno penalizzati maggiormente dal metodo contributivo. Il loro trattamento pensionistico, sempre che riescano a totalizzarlo, rischia di essere molto lontano da quello riservato a chi è andato, o andrà, in pensione con il metodo retributivo. La Corte chiese «un costante monitoraggio degli effetti delle riforme del lavoro e della previdenza sulla spesa pensionistica e una crescente attenzione al profilo di adeguatezza delle prestazioni collegate al metodo contributivo e degli eccessivi divari nei trattamenti connessi a quello retributivo, unitamente all’urgenza di rilanciare la previdenza complementare».
Resta tuttavia il mistero su come i lavoratori indipendenti, ad esempio le partite Iva che versano i contributi nella gestione separata dell’Inps con un reddito medio mensile pari a 515 euro possano finanziarsi un fondo privato. Per loro si prepara un futuro senza pensione. L’Inps, conclude la Corte, ha bisogno di «indilazionabili misure di risanamento». In realtà di una riforma del Welfare e, magari, di una ripresa che non si vede. Almeno quella del lavoro retribuito.
La bomba sociale in arrivo
Quando la prima coorte di lavoratori autonomi e precari avrà raggiunto l’età pensionabile (tra il 2035 e il 2040) con il sistema, sperimenteranno le conseguenze del sistema contributivo puro. Loro sono stati i primi a capire che non garantisce le tutele fondamentali e saranno i primi a capire cosa significa vivere con un pensione di poche centinaia di euro. Proprio come accade oggi al 12% dei pensionati che vivono con meno di 500 euro. La differenza è che, tra vent’anni, questa situazione riguarderà i lavoratori che tengono in piedi il welfare e in molti casi rappresentano la parte più viva (e la più sfruttata) del terziario e dei servizi.
I movimenti dei freelance sono da tempo impegnati a trovare una soluzione. Non altrettanto è la politica impegnata a garantire la bolla che produrrà il disastro o a rimediare agli incredibili errori compiuti dal governo Monti ai danni dei pensionati e pensionandi retributivi: gli esodati, la flessibilizzazione del’età di pensionamento, la rivalutazione, in seguito alla sentenza della consulta, delle pensioni che erano state bloccate (le pensioni superiori a 1.500 euro lordi).
Il problema del futuro riguarda la nuova forza lavoro, oggi senza prospettive.
Tra le numerose proposte in campo emerge quella della “pensione minima” o “di cittadinanza” avanzata da Acta, ma anche dalle reti dei movimenti dei freelance come la Coalizione 27 febbraio. A questo assegno minimo, uguale per tutti e riconosciuto dopo 10 o 15 anni di versamenti, si potrebbe aggiungere una parte variabile, calcolata con il metodo contributivo, proporzionale agli importi versati.
Moltissimi freelance e precari non arriveranno a percepire una pensione decente, adeguata a garantire la sopravvivenza in vecchiaia. Oggi non percepiscono alcun reddito minimo, nè tutela in caso di disoccupazione. E’ la nuova questione sociale che tutti vivono, ma nessuno vuole vedere.
Fonte: il manifesto
Manca un attenta e doverosa analisi sul perchè e sul futuro. Come sia possibile garantirsi una pensione dignitosa su un reddito medio di 515 euro mensile.....
RispondiEliminaIl problema sta tutto li e non nella pensione nel qual caso, come ormai è entrato nella mentalità comune, la pensione sranno gli altri a pagaglierla,