La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

Ceto medio e potere, il patto sociale di Xi

Intervista a Wu Hai di Gabriele Battaglia
Wu Hai ha 46 anni e 71 hotel, più altri 60 in costru­zione. Fon­da­tore e ammi­ni­stra­tore dele­gato della Cry­stal Orange Hotel, da vent’anni negli affari, è salito di recente agli onori della cro­naca per­ché ha osato scri­vere una let­tera aperta al pre­mier cinese Li Keqiang, il numero due, per lamen­tare gli osta­coli buro­cra­tici che si parano davanti agli impren­di­tori pri­vati cinesi. Il fatto cla­mo­roso è che la let­tera di Wu non si è persa nei mille rivoli della buro­cra­zia di Stato e lui è stato per­fino rice­vuto a Zhong­na­n­hai, la resi­denza dei lea­der cinesi.
Più di tanti dis­si­denti con­ti­nua­mente rilan­ciati dai media occi­den­tali ma igno­rati in Cina, Wu Hai è signi­fi­ca­tivo per­ché rap­pre­senta quel ceto medio che con i suoi biso­gni e valori è l’interlocutore pri­vi­le­giato del potere cinese.
Wu è l’altro perno del patto sociale che regge la Cina con­tem­po­ra­nea. Chiede regole più chiare, meglio se favo­re­voli al pro­prio ceto d’appartenenza, ma comun­que chiare. Chiede pre­ve­di­bi­lità. Sa che è nella posi­zione per chie­dere, non sfida il sistema, ma lo raf­forza. È infatti attra­verso la tra­smis­sione di infor­ma­zioni atti­vata dalla sua let­tera aperta che il Par­tito rece­pi­sce indi­ca­zioni che arri­vano dal basso — dove per «basso» si intende comun­que la nuova bor­ghe­sia dina­mica — e si dota delle com­pe­tenze neces­sa­rie per atti­vare quel metodo spe­ri­men­tale che tra­sforma la Cina.
In que­sto senso, Wu è «sim­bolo» ed è la per­sona giu­sta per com­pren­dere quel nesso tra buro­cra­zia e cor­ru­zione con­tro cui la cam­pa­gna è stata lan­ciata fin dall’avvento di Xi Jin­ping, nel 2012. Per capire come fun­ziona il sistema-Cina. «Di solito abbiamo a che fare con sette diversi mini­steri per otte­nere le licenze di costru­zione degli hotel — spiega — cioè circa 360 auto­rità di distretto, per ognuna delle quali ti con­fronti con circa tre fun­zio­nari. Que­sto signi­fica che ti tocca avere a che fare con un migliaio di fun­zio­nari. Poi ci sono quat­tro o cin­que dipar­ti­menti inca­ri­cati di con­trolli e ispezioni.»
C’è un nesso tra tutta que­sta sovrab­bon­danza di buro­cra­zia e la cor­ru­zione?
"Quando ci sono più di quat­tro dipar­ti­menti coin­volti, le fun­zioni spesso si sovrap­pon­gono e le regole diven­tano poco chiare, così il pro­cesso si arre­sta. A quel punto devi tro­vare i con­tatti giu­sti affin­ché riparta."
Eccesso di regole e norme poco chiare. Cosa vi dan­neg­gia di più?
"Abbiamo biso­gno di regole chiare e costi defi­niti. Per otte­nerli è neces­sa­rio cam­biare la testa dei fun­zio­nari locali. Prima la Cina era un’economia pia­ni­fi­cata di Stato, poi è diven­tata di mer­cato. La tran­si­zione è stata un po’ rat­top­pata e i fun­zio­nari non pen­sano ancora in ter­mini di mer­cato. Nella mia let­tera ho sug­ge­rito che i rego­la­menti siano eli­mi­nati se non favo­ri­scono il libero mer­cato. La crea­ti­vità del governo con­si­ste pro­prio nel tro­vare solu­zioni che ren­dano i pro­cessi più fluidi. Aggiungo che non sono iscritto al Par­tito. Secondo me è bene che gli impren­di­tori pos­sano far sen­tire la pro­pria voce, ma oggi non ci sono dei van­taggi così grandi a essere mem­bri del Partito."
Come le è sal­tato in mente di scri­vere al pre­mier Li? Lei vive in un Paese dove la gente viene anche arre­stata, se parla troppo.
"Beh è piut­to­sto sem­plice: me ne stavo a casa a guar­dare le noti­zie alla tele­vi­sione e ho visto un ser­vi­zio in cui il pre­mier diceva che era neces­sa­rio velo­ciz­zare i pro­cessi. La mia prima rea­zione è stata «Acci­denti, que­sta è una grande idea!» Ma dato che la mag­gior parte delle atti­vità eco­no­mi­che non sfiora nep­pure il governo cen­trale, bensì quelli locali, io so per­fet­ta­mente che è pro­prio lì che nasce l’inefficienza. Quindi, se i governi locali non cam­biano la loro forma men­tis, il modo in cui usano il potere, come si fa a cam­biare il sistema? Così ho deciso di scri­vere le mie osser­va­zioni su Weibo [il prin­ci­pale social net­work cinese, ndr] senza pen­sarci troppo."
Poi è arri­vato l’invito a Zhong­na­n­hai.
"Un fun­zio­na­rio mini­ste­riale mi ha chia­mato dicen­domi di scri­vere una let­tera più for­male. L’ho fatto e, poco dopo, è arri­vata la chia­mata del governo per invi­tarmi a discu­tere dei punti che sol­le­vavo. Ci sono rima­sto di sasso. A quel punto, ho chie­sto l’indirizzo del posto dove avrei dovuto pre­sen­tarmi: «A Zhong­na­n­hai». Mi è venuto un colpo anche se ho sco­perto che i loro uffici sono meno lus­suosi di quelli che trovi presso i governi locali."
Lei ha para­go­nato la Cina a un’impresa? Poli­tica ed eco­no­mia sono la stessa cosa?
"Non penso che abbia senso discu­tere di quale sistema poli­tico sia il migliore. Il migliore sistema è quello che fa stare meglio la gente. Esi­stono società per azioni e aziende pri­vate. Si può pen­sare che le prime rap­pre­sen­tino un sistema migliore, per­ché resti­tui­scono un mag­giore ritorno agli inve­sti­tori e ren­dono felici i dipen­denti. Ma non è neces­sa­ria­mente vero. Io con­si­de­re­rei la Cina una società pri­vata — chia­mia­mola «Paese pri­vato» — in con­trap­po­si­zione a un «Paese per azioni». La poli­tica e l’economia sono diverse, ma si intrecciano."
Molti cinesi dicono che il sistema cinese deve diven­tare un «governo del popolo», non inten­dendo una demo­cra­zia occi­den­tale, ma un sistema capace di rece­pire i sug­ge­ri­menti dal basso e, al tempo stesso, di fare gli inte­ressi del popolo. Come pensa che la sua espe­rienza possa diven­tare “sistema”?
"Il nostro sistema non fun­ziona come la mag­gior parte dei Paesi occi­den­tali: in una com­pa­gnia gigante, l’amministratore dele­gato non è eletto da qual­siasi pic­colo azio­ni­sta. Se però l’impresa fun­ziona e lavora per gli inte­ressi di tutti, que­sto è bene. Quat­tro o cin­que anni fa, la mia com­pa­gnia era molto pic­cola, c’era un pro­blema fiscale e mi rivolsi a cin­que o sei uffici delle tasse per avere una rispo­sta, ma nes­suno fu in grado di dar­mela. Allora scrissi una let­tera al sito dell’ufficio sta­tale del fisco. Mi hanno chia­mato due giorni dopo per spie­garmi tutto. Hanno il loro modo di comu­ni­care, solo che la gente non lo sa, oppure non sa come o cosa dire. Biso­gna sapere cosa e come chiedere."
È pos­si­bile stare in que­sto sistema e non essere cor­rotti?
"Cos’è la cor­ru­zione? Se è pagare tan­genti, io non lo fac­cio; se è invi­tare a cena qual­cuno durante il capo­danno cinese, lo fac­cio molte volte. Spesso i fun­zio­nari non pre­ten­dono nean­che le maz­zette. Sono i busi­ness­men che pre­ten­dono di dar­gliele. La hong­bao [la «busta rossa» che con­tiene un omag­gio in denaro] va a tutti, per­fino ai medici. E non serve ad avere un trat­ta­mento spe­ciale, sem­pli­ce­mente a fare andare avanti la pro­pria pra­tica. Ci sono tan­tis­sime zone gri­gie e il sistema fun­ziona così. Voi leg­gete le sto­rie delle grandi tigri che ven­gono arre­state. Ma che ne è delle mosche? Cono­sco tan­tis­sime mosche che ven­gono arre­state, ma non so se pren­dono tan­genti, per­ché non me le chie­dono. Magari le pren­dono da qual­cuno, ma sicu­ra­mente non da me."
C’è gente che sostiene che quando la cor­ru­zione era dif­fusa e c’erano molte zone gri­gie fosse meglio. Come lo spiega?
"In pas­sato, c’era sem­pre un modo per siste­mare le cose, ades­so­non c’è più un’idea chiara dei limiti della zona gri­gia. Ho par­lato con un sin­daco che si lamen­tava: «Abbiamo paura di supe­rare la linea rossa. Ma allo stesso tempo, se non fac­ciamo nulla, il governo ci pena­lizza lo stesso». È il loro dilemma. Io credo che per il busi­ness a mag­gior parte dei pro­blemi stia nei pro­cessi di appro­va­zione a livello ammi­ni­stra­tivo. Il governo deve ren­dere chiare le regole, quando ci riu­scirà, avrà reso il sistema agile."

Fonte: il manifesto

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