La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 12 agosto 2015

Il Senato nella foresta

di Massimo Villone
Napo­li­tano risponde sulla riforma costi­tu­zio­nale a Scal­fari (La Repub­blica, 9 ago­sto) dichia­rando essen­ziale che non vi siano «due isti­tu­zioni rap­pre­sen­ta­tive della gene­ra­lità dei cit­ta­dini, sot­traendo al senato solo (e a quel punto inso­ste­ni­bil­mente!) il potere di dare la fidu­cia al governo». In breve, il senato di seconda scelta è car­dine indi­spen­sa­bile della riforma. Non siamo e non saremo d’accordo, per mol­te­plici motivi.
Il primo. È antica sag­gezza che biso­gna saper vedere la fore­sta al di là dei sin­goli alberi che la com­pon­gono. È invece quel che accade qui, se si valuta il senato non elet­tivo come ele­mento a sé stante. Nella riforma costi­tu­zio­nale, va visto insieme al governo in par­la­mento, all’incidenza sugli organi di garan­zia, agli stru­menti di demo­cra­zia diretta, alla com­pres­sione delle auto­no­mie territoriali.
A que­sto si aggiun­gono altre riforme, tra cui anzi­tutto la legge elet­to­rale, ed anche la riforma della Pub­blica ammi­ni­stra­zione. Le inno­va­zioni sono uni­vo­ca­mente orien­tate a con­cen­trare il potere su palazzo Chigi, senza costruire un effi­cace sistema di checks and balan­ces. Non bastano a tal fine le lima­ture della camera sull’originario testo del senato.
Il secondo. In tale con­te­sto, è cru­ciale l’insostenibile leg­ge­rezza dei par­titi, ormai sostan­zial­mente privi di radi­ca­mento ter­ri­to­riale e di una mili­tanza che vada al di là di cam­pa­gne e comi­tati elet­to­rali. La siner­gia con l’Italicum (legge 52/2015) apre la porta a feno­meni estremi di per­so­na­liz­za­zione, e tra­duce la con­cen­tra­zione del potere su palazzo Chigi in una con­cen­tra­zione sul lea­der del par­tito reso arti­fi­cio­sa­mente mag­gio­ri­ta­rio dal sistema elet­to­rale taroc­cato. È già suc­cesso, con Renzi, e domani suc­ce­de­rebbe ancora, con altri. La legge sui par­titi è di là da venire, e quel che si sa non fa spe­rare bene. A quanto pare il tema cen­trale è come ridurre all’obbedienza il dis­senso interno.
Il terzo. Un ceto poli­tico regio­nale e locale senza qua­lità tra­dur­rebbe nella più alta sede di rap­pre­sen­tanza i cacic­chi di ter­ri­to­rio, o i loro sodali, amici, clienti, parenti che già popo­lano le istituzioni.
Que­sto potrebbe solo raf­for­zare i peg­giori tratti della poli­tica regio­nale e locale, senza dare forza alle isti­tu­zioni nazio­nali. Negli anni Novanta fu fatta una grande scom­messa su regioni ed enti locali per rivi­ta­liz­zare il paese. È fal­lita, e oggi quelle isti­tu­zioni sono in larga misura il ven­tre molle del sistema Ita­lia. Basta leg­gere le cro­na­che giu­di­zia­rie e le rela­zioni della Corte dei conti. Il biso­gno di oggi è l’esatto con­tra­rio di quel che si voleva ieri. E non basta certo a pareg­giare il conto il rispar­mio — in larga misura appa­rente — delle inden­nità ai senatori.
Il quarto. Almeno fun­zio­nasse. Ma si potrà mai legi­fe­rare meglio attra­verso un pro­ce­di­mento che sem­bra il labi­rinto del Mino­tauro? Come si può pen­sare che il senato eser­citi fun­zioni di con­trollo e vigi­lanza essendo popo­lato da chi ha inte­resse a trat­tare con l’esecutivo per i fondi da desti­nare al ter­ri­to­rio, base pri­ma­ria del pro­prio potere oggi e domani? E per­ché affi­dare al voto di sin­daci e con­si­glieri regio­nali le que­stioni bio­e­ti­che, sulla morte e sulla vita, e per­sino sulla revi­sione della Costi­tu­zione, incluse le libertà di tutti? Ne hanno par­lato in cam­pa­gna elet­to­rale? Hanno chie­sto un man­dato ai pro­pri cit­ta­dini, insieme a quello per la siste­ma­zione delle fogna­ture o per la via­bi­lità e i trasporti?
Il quinto. La forza di una Costi­tu­zione è data dalla ampia con­di­vi­sione dei valori che essa esprime. Sap­piamo tutti che la riforma passa solo con i numeri dati da una legge elet­to­rale inco­sti­tu­zio­nale, e forse con l’appoggio deci­sivo dei vol­ta­gab­bana. Sap­piamo tutti che viene non da un’investitura popo­lare come qual­cuno ama far cre­dere, ma da uno scam­bio di ver­tice per molti inac­cet­ta­bile. Vediamo la pochezza degli argo­menti a favore, e la sor­dità alle cri­ti­che. Vediamo ogni giorno che la si vuole far pas­sare con la minac­cia di crisi e nuove ele­zioni. La vediamo pog­giare sulla paura di per­dere le pol­trone oggi occu­pate, o per domani ago­gnate, nei palazzi del potere. E que­sta dovrebbe essere la «nostra» Costi­tu­zione? Mai.
Domande, cen­sure, dubbi da tempo avan­zati e tut­tora senza rispo­sta. Non basta citare qual­che sup­po­sto pre­ce­dente. La riforma del 2001 del titolo V (cen­tro­si­ni­stra, ora legge costi­stu­zio­nale 3/2001) e quella del 2005 sulla Parte II (cen­tro­de­stra, respinta dal voto popo­lare il 25 giu­gno 2006), appro­vate a colpi di mag­gio­ranza e schiac­ciando il dis­senso, furono entrambe pessime.
Quanto alle Bica­me­rali, ope­ra­vano quando i par­titi non erano ancora eva­ne­scenti ecto­pla­smi. E non offrono più un raf­fronto utile.
È dun­que essen­ziale che il senato sia eletto diret­ta­mente, pur nell’ambito di un bica­me­ra­li­smo dif­fe­ren­ziato. Napo­li­tano cita Gram­sci affer­mando che biso­gna respin­gere la «paura dei pericoli».
È giu­sto. Ma altra cosa è il ragio­nato, con­sa­pe­vole, con­vinto, pro­fondo dissenso.

Fonte: il manifesto

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